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Dichiarazione di Enrico MORANDO

Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) 


 

La madre di tutte le riforme: quella del mercato e del diritto del lavoro

  • (26 giugno 2009) - fonte: www.pietroichino.it - inserita il 29 giugno 2009 da 31

    L’imminente Convenzione nazionale del Pd è chiamata a scegliere leader e linea politica del partito, dopo la convulsa fase della sua costituzione (ottobre 2007), della sconfitta elettorale e del primo anno di opposizione al Governo di centro-destra.

    In questo documento provo a riassumere, dal mio punto di vista, i termini essenziali del confronto.

    Nei cinque punti (la nuova alleanza tra merito e bisogni;
    partito di centrosinistra a vocazione maggioritaria;
    partito aperto, degli iscritti e degli elettori;
    un nuovo internazionalismo democratico;
    una scelta chiara tra linee alternative) propongo di illustrare i cardini del posizionamento politico - funzione, natura e linea politica - che ritengo preferibile per il Pd.

    1) LA NUOVA ALLEANZA DEL MERITO E DEI BISOGNI

    Il Pd è un partito di centrosinistra, nato per cambiare l’Italia, secondo i principi di libertà, eguaglianza e solidarietà, attraverso una nuova alleanza del merito e dei bisogni: le componenti più dinamiche della società unite a quelle più esposte al rischio di esclusione da un credibile progetto di cambiamento, che promuova la coesione sociale anche per raggiungere più elevati traguardi di efficienza economica e metta la crescita del reddito nazionale al servizio di una maggiore giustizia e mobilità sociale.

    Per far ripartire l’ascensore sociale, ridurre progressivamente le aree dello smaccato privilegio e della disperata emarginazione, far crescere in modo stabile e duraturo la ricchezza nazionale, colmare il ritardo di sviluppo del Mezzogiorno, diffondere il benessere e irrobustire la classe media, cambiare lo Stato Sociale per renderlo davvero capace di aiutare chi resta indietro a camminare con gli altri, il progetto di cambiamento del Paese deve aggredire ogni forma di chiusura corporativa, creare dispari opportunità positive a favore delle donne e dei giovani, portare concorrenza dove non ce n’è o non ce n’è abbastanza, valorizzare il lavoro in quanto tale, dipendente o autonomo che sia, imporre alla Pubblica Amministrazione - dalla Giustizia agli apparati per la sicurezza -, insieme ai principi di trasparenza e valutazione indipendente, anche tempi, risultati e costi tratti dalle migliori esperienze europee e mondiali, iniettare nella società, nell’economica e nello Stato robuste dosi di meritocrazia, ridare prestigio alla politica riducendone i costi e riconsegnando nelle mani dei cittadini il potere di decidere, col voto, sulla rappresentanza e sul governo.

    L’Italia che da quindici anni cresce meno dell’Europa, che è il Paese con minore mobilità sociale, con più elevati livelli di disuguaglianza, e con il più rapido invecchiamento della popolazione, ha un drammatico e urgente bisogno di questo cambiamento.

    Il centro-destra fa leva sulla paura e alimenta il suo populismo con la politica dell’annuncio rassicurante. Il centro-sinistra può prevalere - nella competizione democratica - solo se allontana da sé (e dalla sua immagine) la tentazione di reagire in chiave meramente tattica, promuovendo un “suo” conservatorismo. Volto ad affermare interessi diversi rispetto a quelli tutelati dal centro-destra, ma pur sempre conservatorismo.

    La missione del Pd coincide con l’interesse di fondo del Paese: dare alla Politica italiana la forza necessaria per piegare la resistenza dei difensori dello status quo, impegnando la maggioranza del popolo nel sostegno a un progetto di cambiamento che riconosce e tutela gli interessi delle generazioni presenti, ma li compone in un ordine gerarchico che assegna priorità a quelli delle generazioni future.

    L’evidenza dei guasti provocati dall’estremismo liberista, dalla disordinata de-regolazione di istituzioni bancarie e finanziarie da cui dipende la stabilità dell’intero sistema economico, non deve indurre ad una reazione altrettanto estrema a favore dell’intervento statale in ogni ambito e per ogni problema. Da un lato è necessario essere vigili per impedire che gli interessi e le concezioni economiche che hanno provocato la deregolazione e la crisi non ostacolino progetti di intervento e di regolazione decisi e severi quanto basta per risolvere le difficoltà attuali e impedire che insorgano crisi analoghe in futuro: ostacoli in tal senso già si intravedono e li denunciano autorità come Paul Volcker, Warren Buffett e Gorge Soros, non certo degli statalisti.

    D’altro lato occorre essere consapevoli che lo Stato conosce fallimenti altrettanto seri quanto quelli del mercato, e in Italia, coll’inquinamento partitico e la debole qualità dell’amministrazione pubblica che ci contraddistingue, dovremmo saperlo bene. Il Partito Democratico, per la sua cultura e le sue ambizioni maggioritarie, respinge posizioni ideologiche pregiudizialmente favorevoli all’uno o all’altro polo della regolazione, allo Stato o al mercato, e ambisce a esercitare, per ogni caso concreto, una discrezione intelligente. Resto dunque convinto, per il caso italiano, che una posizione liberale equilibrata come quella espressa nel discorso del Lingotto sia quella più adatta ad attuare la visione del merito e dei bisogni che ho appena illustrato, l’unica adatta a un partito di centrosinistra.

    2) IL PD, PARTITO DI CENTROSINISTRA A VOCAZIONE MAGGIORITARIA

    Un progetto così radicale di rinnovamento del Paese può essere solo il frutto di un lungo ciclo di governo riformista. Il Pd è nato per renderlo possibile. È stato proprio il Pd - con il suo atto di nascita, rifiutando la “divisione del lavoro” tra centro e sinistra; con la posizione che ha assunto prima delle elezioni Politiche del 2008, respingendo la logica delle coalizioni “contro”, troppo larghe e troppo disomogenee per garantire cambiamento nella stabilità - a rafforzare il gracile e malcerto bipolarismo italiano, favorendone la riorganizzazione attorno a due grandi formazioni politiche a vocazione maggioritaria.

    Il Pd non è un partito di sinistra, ma di centrosinistra.
    È il soggetto politico perno del centro-sinistra italiano, in quanto partito a vocazione maggioritaria. Nel duplice senso che è dotato di una leadership individuale e collettiva, di un radicamento sociale e territoriale, di una cultura politica, di un profilo ideale e programmatico tali da poter credibilmente aspirare ad interpretare le esigenze e le speranze della maggioranza del popolo e a raccoglierne il consenso. E che ispira la propria iniziativa, le proprie posizioni politico- programmatiche, la propria organizzazione e vita democratica interna allo svolgimento di questa funzione: costituire “naturalmente” l’asse della alternativa di governo al centro-destra.
    Vocazione maggioritaria non è sinonimo di pretesa di autosufficienza: il Pd può ritenere utile - al fine della realizzazione del suo progetto di cambiamento del Paese - la costruzione di coalizioni con altri partiti di centro-sinistra. Si tratterà, in quel caso, di coalizioni del tutto diverse da quella dell’Unione, perché caratterizzate dalla presenza, al loro interno, di un partito egemone, il cui leader è automaticamente leader dell’intera coalizione; e il cui programma è perfettamente compatibile - anche se non coincidente - col programma della coalizione stessa.

    È la regola democratica cui si ispirano le coalizioni in tutta Europa. Ferma restando la pari dignità politica di ciascuno dei partiti contraenti l’accordo, sono gli elettori a decidere i rapporti di forza al suo interno. Antidemocratica, e foriera di instabilità e fibrillazione delle coalizioni, è semmai la soluzione opposta, di cui l’Italia ha fatto esperienza nella fase finale della Prima Repubblica. Mentre la soluzione diarchica - il capo del governo appartiene al principale partito di governo, ma non è il leader del partito stesso - è tipica di democrazie bloccate, che non conoscono l’alternanza.

    Il Pd intende dunque costruire alleanze elettorali e di governo con altri partiti e movimenti politici, ma rifiuta la logica della divisione del lavoro tra le forze che le compongono: all’uno il compito di rappresentare gli orientamenti e le istanze più tradizionalmente raccolti dalle forze “di sinistra”, all’altro la rappresentanza “del centro moderato”, e così via, fino a partiti personali o espressione di una singola issue.
    Il Pd assume su di sé il compito di rappresentare direttamente l’intero arco dei valori e degli interessi del centro-sinistra: dalle istanze dei ceti più dinamici dell’imprenditoria, della scienza e della conoscenza, fino all’operaio monoreddito con due figli a carico e l’affitto da pagare. Per questo, riconosce priorità al suo progetto di cambiamento, non al sistema delle sue alleanze politiche.

    È infatti la credibilità della leadership e del progetto del principale partito del centro-sinistra il fattore che può realizzare - attraverso un lungo e sicuro lavoro nella società italiana e nei diversi territori - una profonda incursione nell’elettorato oggi maggioritario del centro-destra, per acquisire il consenso delle sue componenti più sensibili al sistema di interessi e valori tipici dell’alleanza tra merito e bisogni.
    L’obiettivo del Pd è dunque chiaro: entro il 2013, e partendo dai rapporti di forza elettorale scaturiti dal voto del 2008, deve mettersi in grado di strappare due milioni di voti al centro-destra. Un compito che nessun altro, piccolo partito di centro può seriamente proporsi.

    Scaturisce dalla consapevolezza di questa funzione la scelta di far nascere il Pd da un atto costituente come quello del 14 ottobre 2007, che ha visto protagonisti più di tre milioni di cittadini italiani. È la volontà di assumere effettivamente questa funzione che ha spinto all’identificazione - fissata nello Statuto - tra la figura del Segretario e quella del candidato Presidente del Consiglio. Ed è in perfetta coerenza con questa identificazione che il Pd ha deciso - una volta per tutte - di far scegliere il suo leader non dai soli iscritti al partito, ma da tutti i cittadini italiani che vogliono farlo, senza alcuna limitazione che non sia la pubblicità di quella loro partecipazione.

    3) PARTITO APERTO, DEGLI ISCRITTI E DEGLI ELETTORI

    Il Pd è un partito di iscritti ed elettori: ai primi, il potere di definire, gestire e dirigere l’iniziativa quotidiana del partito e il suo rapporto con la società e il territorio; di costruire sedi e strumenti della elaborazione politica e programmatica; di promuovere la formazione dei dirigenti, a tutti i livelli; di selezionare l’offerta politica - leader e linea - da presentare ai cittadini elettori, per la scelta definitiva. Ai secondi, il potere di decidere col voto - individuale e segreto - sul Segretario nazionale, la linea politica e la composizione - su base territoriale - dell’Assemblea Nazionale. E di fare altrettanto alla dimensione regionale.
    Per la scelta dei suoi candidati alle cariche monocratiche - Sindaco, Presidente di Provincia e Presidente di Regione - il Pd ricorre al metodo delle elezioni Primarie, aperte a tutti i cittadini-elettori.
    Ad elezioni Primarie si deve ricorrere anche nel caso della partecipazione del Pd a coalizioni con altri partiti: il coinvolgimento dei cittadini elettori nella scelta dei candidati alle cariche monocratiche è infatti un cardine irrinunciabile del progetto del Pd per il rinnovamento e il miglioramento della qualità della politica.

    È il modello di partito aperto - nel quale tutte le cariche sono effettivamente contendibili, secondo procedure esigibili, fissate una volta per tutte - descritto dallo Statuto del Pd. Si deve tuttavia constatare un’enorme distanza tra la realtà del Pd in questo anno e mezzo e le previsioni statutarie: un tesseramento asfittico, tardivo e timoroso di rivolgersi con fiducia, per chiederne l’adesione, ai tre milioni e mezzo di cittadini “costituenti”.
    Primarie come eccezione, invece che come regola; spesso concepite come extrema ratio, quindi tenute troppo a ridosso della scadenza elettorale. Candidati alle elezioni Politiche (da eleggere su sterminate liste bloccate, come da assurda legge elettorale in vigore) scelti senza alcuna effettiva e ben regolata partecipazione a decidere né degli iscritti (che non c’erano), né degli elettori.
    Una gestione quotidiana del partito più affidata allo sforzo di giustapposizione dei gruppi dirigenti dei due partiti cofondatori che al “rimescolamento” delle energie disponibili, vecchie e nuove. Una dialettica interna più caratterizzata dalla presenza delle correnti interne ai Ds e alla Margherita che da nuove aggregazioni politico-culturali.

    Limiti e difetti spiegabili, almeno in parte, con lo stato di emergenza in cui il Pd ha vissuto dalla sua nascita. Imperdonabili, se permanessero nella fase che si apre colla Convenzione di Ottobre 2009.

    Lungi dal rimettere in discussione le norme chiave dello Statuto - quelle poste a presidio della natura e della funzione innovativa del Pd - la prossima Convenzione Nazionale deve assumere l’impegno ad una loro puntuale attuazione, entro la Primavera prossima, così che le Elezioni Regionali del 2010 possano essere affrontate - a partire dalla scelta con le Primarie dei nuovi candidati Presidenti entro il dicembre di quest’anno - da un Pd che sia effettivamente, anche sotto il profilo della sua struttura organizzativa e della sua vita interna, quello che ha promesso di essere, col suo atto di nascita e il suo Statuto.

    Il carattere del Pd come partito nazionale, federale perché fondato sull’autonomia statutaria e politica delle sue articolazioni regionali, non si è fino ad oggi affermato, anche a causa della scelta di eleggere i Segretari Regionali nel contesto della elezione del Segretario nazionale:
    quest’ultima ha prevalso su tutto, relegando quasi dovunque la “costruzione” del partito regionale ad assumere i caratteri di un mero effetto di “trascinamento” della scelta nazionale. L’autonomia politica dei gruppi dirigenti regionali e locali ne è uscita menomata, al punto da far ritenere a molti preferibile il modello seguito dal Pdl, tutto orientato alla nomina dei dirigenti regionali e provinciali da parte del leader nazionale. Se nomina deve essere, sia almeno trasparente e consenta imputazione di responsabilità.

    Il Pd può e deve essere alternativo al Pdl anche per questo aspetto essenziale: deve quindi esaltare l’autonomia degli organismi regionali (e, in ogni regione, locali) attraverso la Convenzione Regionale - ben distinta da quella nazionale - che definisce linea e leadership in un contesto di piena contendibilità delle relative cariche di direzione del partito.

    Agli organismi regionali - senza mediazione ed intervento degli organismi nazionali del partito - deve essere interamente assegnata la quota del finanziamento pubblico delle campagne elettorali regionali e locali.

    4) UN NUOVO INTERNAZIONALISMO DEMOCRATICO

    Per un nuovo internazionalismo democratico.
    Con la leadership di Obama, per una gestione multilaterale della ordinata transizione ad un nuovo assetto del mondo, di tipo multipolare. Per lo sviluppo ben regolato della globalizzazione, contro una reazione alla crisi economica che punta - come vuole la destra - sulla riduzione del livello di interdipendenza, sul protezionismo e sulla rinazionalizzazione delle politiche economiche.

    Le parole chiave: democrazia ed Europa.

    Democrazia come pace (non c’è mai stata guerra tra due democrazie). Come sviluppo economico e sociale (la democrazia rende più sostenibile e dà profondità temporale al capitalismo). Come incivilimento.

    Europa come polo attrattivo di pace e democrazia.
    Come modello di coesione sociale e di economia sociale di mercato. Come soggetto coprotagonista del nuovo governo della globalizzazione. Come soggetto di politica internazionale e di sicurezza, per la pace e i diritti umani.

    Per tutto questo, è necessario lavorare alla costruzione di una nuova Internazionale Democratica, organizzazione dei riformisti a dimensione globale: c’è il leader (Obama);
    c’è la missione (il governo della globalizzazione secondo principi di libertà, giustizia e coesione sociale, equilibrio ambientale); ci sono le tradizioni, le esperienze e le organizzazioni che possono farla nascere (i partiti Democratici di USA, India, Sud Africa, Brasile, Italia e i Partiti dell’Internazionale Socialista).

    In Europa, la scelta di dar vita subito ad un nuovo gruppo dei riformisti - che raccolga Democratici, Socialisti, Laburisti, Liberali di sinistra, altre formazioni di centrosinistra - è il primo passo per la formazione di un unitario Partito Europeo della Internazionale Democratica.

    Solo questo nuovo assetto politico-organizzativo dei riformisti rappresenta una risposta adeguata da un lato all’esigenza di costruire la mobilitazione politica e l’elaborazione politico-programmatica corrispondenti alla dimensione delle grandi questioni globali;
    dall’altro alla crisi e alle crescenti difficoltà della socialdemocrazia europea, emerse con drammatica evidenza dal recente voto per il Parlamento dell’Unione. In questo senso, l’intuizione da cui è nato il Pd italiano trova conferma della sua fecondità, ai fini della ridefinizione del profilo politico ideale e programmatico dell’intero centro-sinistra europeo.

    La crisi mette l’Europa di fronte ad una scelta: un nuovo balzo nel processo di unità politica o un progressivo scivolamento verso la rinazionalizzazione, con la crisi dello stesso mercato unico.

    Il centrodestra (Tremonti) esalta il ritorno delle leve della politica europea nelle mani dei singoli governi nazionali.

    Il centrosinistra europeo deve battersi per l’immediata attuazione del Trattato di Lisbona, per le cooperazioni rafforzate, per un salto in avanti sul terreno della integrazione nel campo della politica internazionale e della sicurezza (esercito europeo), per un effettivo coordinamento delle politiche economiche e fiscali, per una politica comune di investimenti pubblici, finanziati attraverso eurobond, per una gestione coordinata dei crescenti debiti pubblici, per limitare il ricorso alla concorrenza fiscale tra i Paesi europei e completare il mercato unico.

    Anche per questo è urgente una vigorosa iniziativa politica dei riformisti volta alla elezione del Presidente della Commissione, da parte del Parlamento, così da politicizzare la competizione elettorale e politica a dimensione europea, combattere l’indifferenza e l’astensionismo di tanta parte dei cittadini, superando al tempo stesso i rischi insiti in una gestione per accordo consociativo - tra i due maggiori raggruppamenti politici - delle istituzioni comunitarie.

    Questa Europa - nel contesto della radicale svolta impressa da Obama alla politica interna e internazionale degli USA - può essere coprotagonista di una ripresa di ruolo della Politica, nel governo e nel superamento degli squilibri globali. Alla condizione, naturalmente, che sia davvero in grado di rielaborare una convincente nozione di interesse comune, da far valere - parlando con una sola voce - nelle organizzazioni come il WTO, il Fondo Monetario e la Banca mondiale. E che sappia assumersi pienamente le conseguenti responsabilità, senza scaricare i compiti più gravosi e rischiosi (Afghanistan) sugli USA.

    5) UNA SCELTA CHIARA TRA LINEE ALTERNATIVE

    Questa visione della funzione del Pd, della sua natura, della sua collocazione internazionale e della sua organizzazione rappresenta uno sviluppo coerente delle scelte operate nella fase costituente e nella predisposizione del posizionamento del Pd per le Elezioni Politiche del 2008. Nel dibattito che si è sviluppato dopo la sconfitta, è emersa una visione alternativa: nella società italiana - per mille ragioni, tra le quali emerge la capacità delle singole componenti sociali “corporate” di resistere al cambiamento - non ci sarebbe una maggioranza riformista da organizzare politicamente. O, almeno, non ci sarebbe nel breve-medio periodo. Dunque, secondo questa diversa visione, il progetto del Pd - almeno nel breve-medio periodo - deve prevalentemente assumere il profilo di una proposta di mediazione tra interessi organizzati, per ciò che attiene ai contenuti; e di tradizionale coalizione di partiti - “di “sinistra” e di “centro” - per ciò che attiene alla formula politica.
    Non è un caso che - nella migliore elaborazione di questa linea - gli orientamenti politico-culturali prevalenti nella società italiana vengono riassunti attraverso la triade “progressisti, populisti e moderati” (Enrico Letta), che allude, in termini di sua rappresentazione politica, a “sinistra, destra, centro”.

    Il punto di contrasto è dunque chiaro, ed è indispensabile che lo si affidi agli iscritti ed elettori del Pd, per una scelta altrettanto chiara: partito riformista di centrosinistra a vocazione maggioritaria o partito “progressista” di sinistra che promuove l’alleanza coi “moderati”, prevalentemente rappresentati da un partito di centro?

    Fonte: www.pietroichino.it | vai alla pagina

    Argomenti: giustizia, legge elettorale, usa, parlamento europeo, partito democratico, pubblica amministrazione, europa, centrosinistra, voto, alleanze, elezioni politiche 2008, mercato, prima repubblica, congresso pd, wto, trattato di Lisbona, Obama, elezioni regionali 2010, merito, riformisti, liste bloccate, diritto al lavoro, primarie, bisogni | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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