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Dichiarazione di Rosanna FILIPPIN

Alla data della dichiarazione: Assessore  Comune Bassano del Grappa (VI) (Partito: PD)  - Assessore  Comune Bassano del Grappa (VI) (Partito: PD) 


 

L'intervento da neosegretario del Pd Veneto.

  • (15 novembre 2009) - fonte: partitodemocraticoveneto.org - inserita il 16 novembre 2009 da 31

    Cari amici,

    la nostra assemblea ha una responsabilità grande. Oggi si chiude un percorso, quello del nostro congresso. Trasformare questo traguardo in un nuovo punto di partenza dipende solo da noi.

    Quando penso alle primarie del 25 ottobre, penso sempre che quel giorno è successo qualcosa di straordinario. Nessun partito, né in Italia né in Europa, riesce a coinvolgere milioni di persone nella scelta del suo progetto politico e della sua leadership.
    Il Partito Democratico riesce a farlo. Possiamo e dobbiamo esserne orgogliosi. Questa è la nostra carta d’identità. Ciò che ci distingue.

    Abbiamo dimostrato a tutto il paese che non abbiamo perso la sintonia con il nostro popolo. E abbiamo anche dimostrato che i nostri iscritti e i nostri elettori non vivono su due pianeti diversi.

    Gli elettori delle primarie sono il nostro patrimonio più prezioso, il nostro maggiore punto di forza. Tre milioni di italiani. Quasi 180 mila veneti. La loro fiducia non va tradita.
    L’orgoglio per quello che abbiamo fatto è sacrosanto. Ma da solo non basta. Serve anche il coraggio. Il coraggio di scelte chiare per il futuro.

    Certamente dobbiamo partire da noi: da quello che siamo e da quello che vogliamo fare. Ma la sfida più importante non è quella per il governo del partito, ma quella per il governo del Veneto. Dobbiamo decidere con quali parole nuove rivolgerci agli elettori della nostra Regione.

    Io ho una mia idea sul tipo di Partito Democratico che dobbiamo costruire. La dico in tre parole. Ci serve un Partito Democratico che sia Veneto per davvero, cioé più simile alla nostra terra.
    Un partito concreto.
    Un partito innovatore.
    Un partito fiero delle sue radici.
    Un partito determinato nella sua autonomia, innanzi tutto sulle alleanze e le candidature.

    Credo che ci serva un partito popolare e vicino al cuore vero della nostra regione: il mondo produttivo e del lavoro. E quando dico lavoro, intendo il lavoro in tutte le sue forme: da quello dell’operaio a quello dell’artigiano, da quello dell’insegnante a quello dell’imprenditore. Perché il lavoro è la storia di questa terra, il segreto del suo successo nel passato e, soprattutto, l’unica speranza per il suo futuro.

    Non possiamo nasconderci dietro a un dito. Da qui alle elezioni regionali abbiamo compiti impegnativi da affrontare. E tempi molto stretti per farlo. Questo richiede, da parte di tutti noi, uno scatto di determinazione e di coesione.
    In un congresso dividersi è normale. Ma da oggi in campo dobbiamo giocare come una squadra sola: quella del Partito Democratico.

    Dobbiamo anche cambiare passo, alzare lo sguardo. E tarare lo strumento-partito in funzione della nuova fase che si apre ora.

    Dalle elezioni regionali ci separano solamente 131 giorni. È un tempo breve, brevissimo. Che dobbiamo usare al meglio. Innanzi tutto valutando attentamente lo scenario che abbiamo di fronte.

    Nel centrodestra si sta manifestando una competizione accesa. Ad oggi non sappiamo se prevarrà l’attaccamento alle poltrone o se Lega e Pdl correranno divisi. Ma alcune cose sono invece già chiare:
    Il Partito Democratico è una delle tre principali forze politiche del Veneto. Governa 4 capoluoghi di provincia su 7. È la principale forza di opposizione. Non può rassegnarsi a giocare un ruolo da spettatore, né fare da stampella alle tattiche altrui.

    Le primarie ci hanno consegnato una forza importante. Quei 176 mila veneti che hanno votato il 25 ottobre si aspettano che il Partito Democratico giochi da protagonista la sua partita. Abbiamo il dovere di dare loro un nostro progetto di governo per il Veneto.

    Le forze con cui il Pd ha condiviso l’opposizione al centrodestra sono degli interlocutori naturali in vista delle prossime regionali. Ma non credo possano essere i nostri interlocutori esclusivi.
    Il 2010 non è il 2005. E noi dobbiamo avere la forza di fare scelte coraggiose.
    Credo che con il mondo delle liste civiche un confronto sia doveroso. Perché danno voce a un Veneto che non accetta le etichette delle appartenenze politiche nazionali, a un Veneto che ragiona sui problemi con concretezza e modernità. A un Veneto che non accetta padroni: né dogi berlusconiani, né condottieri con la camicia verde.

    Credo che anche con l’Udc un confronto sia possibile e necessario. E che il nuovo segretario del Partito Democratico debba farsene carico. Non si tratta di salvare il soldato Galan, ma di verificare tutte le convergenze utili ad evitarci il destino di un Veneto a trazione leghista.

    Non mi piace il partito degli affari berlusconiano.
    Ma non mi piace nemmeno la visione del mondo che ha la Lega. Una visione che non ha spazio per la solidarietà, che soffia sul fuoco delle paure, che strumentalizza i valori della nostra tradizione per una becera ricerca di visibilità.

    Credo infine che un confronto, al di là delle forze politiche e dei tavoli di trattativa, serva con la società reale. Perché tra il mondo reale e quello della politica c’è un distacco sempre più preoccupante. E tocca a noi costruire una proposta in grado di superarlo.

    Su alcuni grandi temi si decide il futuro della nostra Regione:
    Penso ad esempio alle politiche per la convivenza tra vecchi e nuovi veneti.

    La Lega propone un approccio sostanzialmente razzista ai problemi dell’integrazione. La vicenda della discussione regionale sul Fondo per la non autosufficienza è lì a dimostrarlo. Tocca a noi indicare un’alternativa. Perché senza una seria politica dell’integrazione, l’equilibrio sociale nelle nostre comunità è destinato a saltare.

    La Lega ha illuso gli elettori con il suo “pacchetto sicurezza”. Cioè meno risorse per le forze dell’ordine e più chiacchere sulle ronde e la sicurezza fai da te. Quello che serve al Veneto, invece, è un serio “pacchetto convivenza”.
    E tocca a noi realizzarlo.

    Oppure pensiamo al sistema socio-sanitario. In una società che invecchia, come la nostra, questo tema sarà sempre più decisivo.
    Il ruolo della Regione è centrale: la grande parte del bilancio regionale va in spesa sanitaria. Eppure, proprio su questo fronte, il centrodestra ha fallito. A tutt’oggi manca un serio piano socio-sanitario. Sarà impossibile approvarne uno, fino a quando la sanità sarà terreno di competizione tra la lottizzazione leghista e quella del Pdl.

    E che dire delle scelte sull’energia e sul nucleare? Mentre in tutto il mondo i governi si attrezzano per rilanciare lo sviluppo attraverso la green economy, il nostro governatore ha offerto il Veneto per la costruzione di una centrale nucleare.
    Anche su questo fronte, dobbiamo indicare una chiara alternativa. In primo luogo perché contestiamo la scelta del nucleare: sul piano della sicurezza, della compatibilità ambientale e pure su quello della convenienza economica.

    E in secondo luogo, perché il Veneto non è una proprietà del suo governatore. E non tocca a Galan decidere a mezzo stampa il destino delle comunità locali.

    Ma un'altra nota dolente è quella delle infrastrutture e delle reti di collegamento della metropoli veneta. Un polmone industriale e produttivo come quello veneto ha bisogno di un sistema di infrastrutture moderno. Ma non basta un’opera come il Passante per risolvere i problemi. In questi anni, ancora nulla è stato fatto di concreto per rilanciare il progetto di un sistema metropolitano di superficie. Manca una strategia sull’intermodalità.

    E mentre il governo nazionale ha derubato il Veneto di quel primo esperimento di federalismo autostradale costruito grazie anche al governo Prodi, in Veneto quasi ogni nuovo progetto infrastrutturale è realizzato in project financing, cioè con un costo pagato dai cittadini. Questo è il bilancio del federalismo in salsa leghista: condoni permanenti per i Comuni amici del governo del premier, come quello di Catania, e pedaggi da pagare per i cittadini del Veneto.

    Per non parlare degli altri contenuti del federalismo fiscale.
    Come sanno bene i nostri amministratori, l’abolizione dell’Ici non è stata compensata da un vero federalismo. E mentre la spesa dei ministeri romani è esplosa negli ultimi anni, il Patto di stabilità impedisce persino ai comuni virtuosi di spendere i soldi che hanno in cassa. È così che l’economia locale viene paralizzata. E tre ministri veneti nel Governo Berlusconi non sono serviti a cambiare questo dato di fatto.

    Ma i fallimento del centrodestra regionale non si fermano qui. Anni di chiacchere sul federalismo non hanno portato nulla alla montagna veneta. Toccherà al Partito Democratico farsi carico di questo tema. Servono misure decise: con l’applicazione di un regime fiscale di vantaggio per le attività economiche dei territori che scontano la concorrenza delle regioni a statuto speciale.

    Su nessuno dei temi che ho citato, Lega e Pdl parlano con una voce comune. E i risultati sono sotto i nostri occhi: nessun piano socio-sanitario regionale, un piano regionale dei trasporti fermo a 20 anni fa, scelte contraddittorie sulle politiche per l’energia, una riforma dello statuto al palo da anni. E un consiglio regionale con tassi di assenteismo e improduttività che farebbero impazzire il Ministro Brunetta.

    In tempi in cui la rapidità delle scelte è tutto, la competizione tra Lega e Pdl ha prodotto una paralisi impressionante dell’attività politica e amministrativa.

    In tempi in cui il futuro di un’azienda veneta è condizionato anche dalla politica economica che sarà decisa in Germania o dalla concorrenza di competitori usciti magari dalle regioni della Cina profonda, la Lega offre solo il localismo, come se di fronte a una tempesta bastasse chiudere gli occhi, anziché cambiare rotta.

    In tempi in cui la società affronta sfide mai sperimentate prima sul fronte della convivenza, tra italiani e stranieri, tra giovani e anziani, tra lavoratori protetti e lavoratori precari, il centrodestra offre il vicolo cieco della paura, come se un esorcismo cancellasse i problemi. Invece non è così. I problemi si affrontano con politiche adeguate. Non voltando la testa da un’altra parte.

    Il centrodestra regionale è una casta in cerca di conservazione.
    Il Veneto merita di più e questo perché, come questa estate hanno scritto in un loro documento i nostri Sindaci dei comuni capoluogo, il Veneto è “la più avanzata frontiera di sperimentazione dei processi di trasformazione del nostro paese”.

    Credo che quel documento riassumesse bene le sfide che la nostra terra deve affrontare e che una proposta politica seria deve raccogliere.

    La prima sfida è quella del lavoro e dell’impresa: sfide che in una regione come la nostra, dove le piccole e medie imprese sono la fibra del tessuto economico, vanno di pari passo. Inevitabilmente.

    La sfida di questo mondo deve essere la nostra sfida. La nostra proposta di governo non deve saper parlare soltanto ai nostri elettori. Deve saper parlare al mezzo milione di aziende che operano in Veneto. E ai loro lavoratori. Se non c’è prospettiva per questo tessuto di imprese, non c’è futuro per il Veneto, né coesione possibile per le nostre comunità.

    A livello regionale dobbiamo batterci per usare gli strumenti che il centrodestra ha paralizzato. Penso a Veneto Sviluppo, una finanziaria regionale rimasta bloccata dalla competizione tra Lega e Pdl proprio quando più necessario sarebbe stato un suo intervento a sostegno delle Pmi. E a livello nazionale, dobbiamo batterci per interventi che riducano il costo del lavoro, per una riforma dell’Irap che non penalizzi chi investe sull’occupazione, per un sistema fiscale che non incentivi la rendita e per un sistema del welfare che tuteli i lavoratori privi di tutele: non solo i precari, ma anche, ad esempio, i piccoli artigiani.

    Ma il Veneto è una frontiera anche per i problemi delle autonomie locali. Ormai è chiaro quanto poco concreto sia il federalismo voluto dalla Lega Nord. Proprio quando dovrebbero dare un impulso all’economia locale, con un piano di piccole opere immediatamente cantierabili, i nostri comuni, che sono comuni virtuosi, sono soffocati dalle maglie strettissime di un patto di stabilità irrazionale, che impedisce di usare risorse anche a chi è capace di risparmiare.

    E il Veneto è una frontiera delle politiche di sostenibilità ambientale. Siamo una regione che deve raccogliere la sfida della green economy. Perché la ricerca nel campo del risparmio energetico, delle energie rinnovabili, dell’edilizia eco-compatibile, possono rappresentare altrettante opportunità di sviluppo: per le nostre aziende e per il nostro sistema di formazione e ricerca universitaria.

    E siamo una regione in cui serve una scelta chiara: per la riqualificazione del territorio, contro il suo consumo incontrollato.

    Il Veneto, infine, è una frontiera della convivenza. In pochi anni, abbiamo assorbito un’immigrazione di proporzioni europee. Quella che altri paesi hanno accumulato in decenni. È inevitabile che questo crei tensioni e problemi. Una politica di governo deve gestire queste tensioni, non fomentarle. Occorre investire sulle politiche di integrazione, a partire dal mondo della scuola e anche cercare soluzioni più avanzate sul nodo della cittadinanza: considerando ad esempio il passaggio dallo ius sanguinis allo ius solii.
    Altrimenti non sarà mai possibile stabilire quell’equilibrio necessario tra il valore di regole valide per tutti e l’idea di una società aperta, che non teme chi è diverso da noi.

    Il Partito Democratico deve essere il garante di questa idea di società, aperta ai diritti di tutti, inclusiva verso le diversità, coesa sulle regole che consentono una convivenza davvero civile tra tutti i cittadini.

    Se sono nuove le sfide da affrontare, nessuno, né il centrodestra, né noi, può pensare semplicemente di riproporre le ricette di ieri.
    Ecco perché serve, anche da parte nostra, il coraggio di osare. E la capacità di ritornare ad ascoltare la nostra Regione portando il nostro partito là dove la gente sta. In fondo, per riuscire a vincere in una terra che non politicamente vicina, è questo che hanno fatto i nostri Sindaci.

    Per tornare a vincere in Veneto, ci serve la stessa sintonia con il territorio che hanno saputo conquistare i nostri amministratori. Per questo credo che il loro ruolo, nel futuro del Pd Veneto, non possa essere limitato alla testimonianza. Da segretaria, spero che questi Sindaci accettino di essere a mio fianco. Perché loro rappresentano la nostra più concreta esperienza di governo. ed è da qui che dobbiamo ripartire.

    Tra l’assemblea regionale del 15 novembre e le elezioni del 27 marzo non ci sono nemmeno 20 settimane.
    Dobbiamo muoverci rapidamente.
    Ritornare da subito al lavoro nei territori, provincia per provincia.
    Riallacciare un dialogo con le forze vive della nostra regione: il mondo del lavoro e dell’impresa, quello dell’associazionismo e della cooperazione, il mondo delle autonomie locali, quello della formazione e dell’innovazione. Per costruire la proposta del Pd a partire dall’ascolto del Veneto reale.

    Ci serve un partito all’altezza dei tempi. E questo richiede la chiarezza di alcune scelte. Innanzi tutto relative allo “strumento-partito”.

    C’è una nuova generazione da coinvolgere e responsabilizzare.
    Ci sono organismi dirigenti da far funzionare al meglio.
    Un esecutivo regionale snello, che concili l’esigenza del pluralismo con la rappresentanza dei territori. Una direzione regionale più leggera ed efficiente. E dato che su questo punto è necessaria una modifica dello statuto, credo sia indispensabile avviare questo iter immediatamente: con l’istituzione di una commissione incaricata di redigere una proposta di revisione, da sottoporre per l’approvazione all’Assemblea regionale al massimo entro 30 giorni.

    C’è un rapporto più stretto da costruire tra la segreteria regionale e quelle provinciali.
    A pochi mesi dalle elezioni regionali, ci servono contatti più frequenti e regolari.
    E anche scelte chiare sull’uso delle risorse, per assegnarne il 50% all’attività dei circoli e delle strutture provinciali.
    C’è un patrimonio da mettere a frutto: quello dei nostri amministratori, che sono stati capaci, anche in anni difficili per il nostro partito, di costruire, nei fatti e non a parole, il modello di un Pd capace di vincere. E infine c'è un percorso da tracciare verso le regionali, che richiede in tempi rapidi, io credo non più di 30 giorni, decisioni da parte della direzione regionale.

    Abbiamo un partito vitale. E abbiamo un rapporto solido con gli elettori delle primarie.
    Sono due nostri punti di forza. E credo che dobbiamo usarli: - Per costruire liste competitive alle prossime elezioni regionali, con candidati scelti attraverso una larga consultazione degli iscritti.
    - E per scegliere un candidato al ruolo di Governatore che riceva da elezioni primarie la forza di un’autentica investitura popolare. Quella che mancherà ai nostri avversari, rassegnati a subire il baratto romano sulle candidature.

    Noi siamo il Partito Democratico.
    Siamo quelli che non sono condannati a scegliere il meno peggio tra due alternative entrambe sbagliate.
    Siamo quelli che non sono condannati ad attendere le mosse altrui.
    Siamo quelli che, con l’orgoglio della propria storia, hanno avuto il coraggio di incamminarsi lungo una rotta nuova.

    Il 27 e il 28 marzo, per il Veneto, si aprirà in ogni caso una nuova pagina politica.
    Cosa sarà scritto in quella nuova pagina, adesso, dipende da noi. Non dobbiamo dimenticarcelo mai.

    Fonte: partitodemocraticoveneto.org | vai alla pagina

    Argomenti: Candidature, pd, territorio, veneto, bilancio regionale, regione veneto, identità, programma politico, lega, candidati, elezioni regionali 2010, dirigenti, dirigenti capaci, direzioni regionali, iscritti, Primarie PD | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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