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Dichiarazione di Pier Paolo BARETTA

Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) 


 

Dalla Parte dell'Italia

  • (14 luglio 2012) - fonte: www.youdem.tv - inserita il 18 luglio 2012 da 24893

    Nei giorni scorsi il Presidente del Consiglio, oltre alla infelice frase sulla concertazione, confondendola con consociativismo, ha anche detto che, mano a mano che ci avviciniamo alla elezioni l’attacco speculativo nei nostri confronti aumenterà.

    Questa affermazione è stata, contrariamente a quell’altra, sottovalutata. Ed, invece, pone una rilevante questione economica e politica, del tutto inevasa, ma, ogni giorno che passa e i nostri guai non diminuiscono, del tutto ineludibile: e, cioè, il rapporto tra la politica, la democrazia ed i mercati.

    Un anno e mezzo fa, circa, in occasione di un seminario del gruppo parlamentare, approfittando della presenza e della esperienza di governo di Prodi ed Amato, feci loro una domanda un poco provocatoria: “quando la politica deve o può litigare coi mercati e quando andarci d’accordo?”. Devo ammettere che non ho avuto risposta e, forse, era già tardi per porre la domanda.

    Fatto sta che il quesito è sempre più, drammaticamente attuale. Lo dimostra tutte le vicende economiche di questi tempi, lo conferma la insensata dichiarazione di Moody’s di ieri, ma anche la positiva risposta dei risparmiatori; il che propone anche una riflessione più concreta su cosa, poi, sia davvero questo “mercato”. Il mercato non è un’entità metafisica e Moody’s non è l’Arcangelo Gabriele…

    Come la globalizzazione ci dice che non c’è un solo capitalismo, ma tanti, diversi capitalismi, che mutano, evolvono in continuazione; così i mercati non sono ununicum e, se la un lato c’è chi specula e va combattuto, dall’altra parte c’è chi investe e favorisce la crescita. Questa parte dei mercati va aiutata e sostenuta. Ma, è troppo evidente che lo scarto tra i sacrifici richiesti ai cittadini e alle famiglie, la buona volontà dei governi, gli sforzi per risanare i conti pubblici e rilanciare la crescita e non trovano corrispondenza nella reazione dei mercati, che, anche quando non speculano, non concedono nulla e non riconoscono questo immenso sforzo collettivo in atto in paesi come la Grecia, la Spagna, l’Italia.

    Non si tratta di perorare alcuna indulgenza. Gli errori ci sono stati nel passato, gravi, da parte dei governi ed in generale da parte di un sistema economico e sociale che ha confuso il bene prezioso del benessere diffuso con il mito della crescita infinita.

    E, forse, è da qui che dovremo ripartire, da una coraggiosa riflessione sul modello di crescita che l’Europa e l’occidente vuole per sé. Ecco, perché trovo sbagliato mettere in contrasto la urgenza del risanamento dei conti pubblici con la necessità dello sviluppo. Il rigore è l’austerità sono sbagliati se sono iniqui e depressivi, non se consentono di liberare risorse bloccate dall’eccesso di spesa pubblica e da burocrazie miopi..

    Ma una politica espansiva che ricalcasse l’errore del modello di sviluppo attuale ci porterebbe rapidamente verso nuove disastrose crisi.

    In tale ottica l’equilibrio del bilancio è una virtù non una colpa, la capacità didistinguere tra benessere e spreco, tra consumi e consumismo, tra stato sociale universale e universalismo di Stato è una risorsa e non una rinuncia. Le persone, le famiglie, le comunità hanno ben chiaro questo snodo, spesso di più dei loro rappresentanti sociali e politici; ma non sanno come fare. Anche perché non vedono futuro.

    In un’ epoca dove la crisi economica è accompagnata da una crisi di valori e grandi ideali, la reazione alle difficoltà, all’impoverimento, al disagio non si traduce in protagonismo propositivo, ma in disaffezione, assenteismo ed in qualche minoritario ribellismo. Spetta a noi, e quando dico noi, intendo proprio noi, il partito democratico e le forze dei centro sinistra; le associazioni d’impresa e sindacali, liberate dai rischi di corporativismo che, inevitabilmente, si annidano nelle pieghe del disagio, rispondere a questa grande sfida.

    Certo non il centro destra che ricandidando Berlusconi ci ripropone proprio quel modello culturale ed economico che, oltre ad essere abagliato, non ha nemmeno funzionato.

    La prospettiva di futuro, la speranza che dobbiamo offrire non è la negazione del lungo periodo di transizione che ci attende, ma la idea di un popolo in cammino, attraverso il guado di difficili momenti, verso una prospettiva di serenità, prima ancora che di comodità.

    Per questo la domanda da cui sono partito deve trovare una risposta. Non solo perche dell’attuale condizione di difficoltà generale le responsabilità non sono solo dei governi, ma anche proprio dei mercati finanziari che hanno gonfiato, più volte, lebolle sino a quella che ancora pesa su di noi con la attuale crisi. .

    Ma, anche perché, contrariamente ad una opinione che, scontando un inutile senso di colpa, propone ai riformisti e ai progressisti solo cautela, penso che Hollande, Bersani, Obama, potranno consolidare le nostre politiche di governo solo se affrontiamo questo nodo del rapporto tra politica democrazia e mercati.

    La Democrazia è lenta, troppo lenta e va rinnovata, ma senza democrazia non c’è eguaglianza e trasparenza. La politica è fiacca e va rigenerata, ma senza politica non c’è futuro. L’Europa è divisa e va unita, perché senza Europa non c’è globalizzazione.

    Ciò significa che il dibattito sul Montismo oltre Monti o sull’alternativa a Monti, che sembra appassionarci rischia - come ha detto Bersani nella sua relazione - di essere fuorviante se non parte dalla chiarezza definitiva che dalle elezioni dovrà scaturire il governo politico del paese e che il nuovo governo (il governo Bersani per essere chiari) dovrà da un lato continuare scelte che si stanno facendo ora – il nostro appoggio a Monti non è strumentale – ma, al tempo stesso dovrà ampliare l’orizzonte nell’ottica di equilibrio a cui ho prima accennato. Ed è esattamente quell’orizzonte che distingue tra un governo tecnico ed uno politico.

    Ma, contano molto allora i messaggi che in questo tempo daremo ai cittadini. Un messaggio univoco, omogeneo. Contano le politiche che proponiamo. E, io penso che nei prossimi mesi il Pd, in Parlamento e nel Paese, debba proporre in anticipo le soluzioni ai problemi, senza aspettare che vengano varati i decreti, ma condizionandoli prima. Nel merito di queste proposte non entro perché ne ha parlato il Segretario nella sua relazione, Mi limito a richiamare alcuni titoli: Un programma di dismissioni ragionate del patrimonio pubblico da dedicare alla riduzione del debito; la distribuzione dei risultati della lotta all’evasione fiscale (poca o tanta che sia) alla riduzione delle tasse sull’impresa e il lavoro; una efficace contenimento e riqualificazione della spesa pubblica…

    Ho insistito su questa parte non perché sottovaluti la questione dei diritti, sulla quale condivido la impostazione offertaci da Bersani nella relazione, o priorità della riforma elettorale, che dobbiamo assolutamente perseguire, o la discussione sulla scelta dei rappresentanti, che deve trovare una coerenza proprio con la nuova legge elettorale che verrà definita, ma perché avverto che, nel dibattito dei circoli (ai quali, diciamolo francamente, vanno dati più strumenti informativi ed economici), nelle discussioni dei nostri dirigenti locali e dei militanti, prevale la comprensibile tendenza a discutere soprattutto di partito, di primarie… di noi, cioè.

    Lo ripeto: tutto ciò è comprensibile, giusto; ma se, come penso, la frase di Monti che ho riportato ha un significato ed i prossimi mesi saranno ancora più difficili, dobbiamo attrezzare il nostro partito a tutti i livelli a reggere una campagna elettoraleche sarà piena di insidie sul piano economico e sociale.

    La nostra discussione interna è importante e va fatta tutta; ma, al di fuori, laddove i redditi calano ed il lavoro non c’è, laddove le famiglie continuano ad essere il principale ammortizzatore sociale e la emergenza giovani si scontra con la emergenza anziani, il nostro messaggio non può essere affidato esclusivamente alle apparizioni pubbliche televisive o alle interviste dei nostri vertici nazionali, ma dipenderà molto dalla fiducia e dalla tenacia della nostra gente.

    Sarà questo il modo migliore per rispondere alla crisi della politica, sarà questa la miglior risposta attesa dai cittadini.

    Fonte: www.youdem.tv | vai alla pagina

    Argomenti: partito democratico, economia, lavoro, mercato, crisi, globalizzazione | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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