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Senza destra il Pdl resta nudo
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(17 luglio 2012) - fonte: Il Tempo - inserita il 17 luglio 2012 da 31
La smentita del Cavaliere conferma la voglia di tornare alla vecchia creatura.
Ma gli ex An non staranno a guardare. E hanno più voti di quanto si pensi.Dopo lo sconquasso provocato dalle sue affermazioni, riferite dal quotidiano tedesco Bild, e riportate anche da Bruno Vespa nella sua citatissima intervista, sul possibile ritorno all'antico, cioè a Forza Italia - una sorta di evoluzione della specie all'indietro - il Cavaliere ha precisato sostanzialmente confermando.
«L'idea del cambio di nome dal Popolo delle Libertà a Forza Italia - ha detto - è stata equivocata trattandosi, com'è logico ed evidente, non già di una decisione assunta, ma solo di un'idea, di una proposta, da discutere e da verificare nelle sedi proprie».
Una smentita, appunto, che non smentisce nulla. Al contrario, conferma l'esistenza di un progetto allo studio per cambiare i connotati al partito nato dalla fusione (sia pure «a freddo») tra gli «azzurri» e Alleanza nazionale. Progetto, peraltro, sostenuto da numerosi «colonnelli» berlusconiani, il più attivo dei quali sembra essere l'ex-ministro Giancarlo Galan che si è espresso in maniera inequivocabile sulla messa fuori gioco delle componenti di destra del partito auspicando una riconversione allo «spirito del '94», quando la sola Forza Italia valeva appena il 21%.
Sia Galan che altri comprimari del neo-berlusconismo muscolare non sono stati smentiti dal leader, come era lecito attendersi, ma assecondati con i silenzi dello stesso e con i privati conversari nella solita cerchia di intimi tra palazzo Grazioli e Villa Gernetto in Brianza.
Berlusconi, insomma, prova a fare un'altra cosa rispetto alla creatura partorita sul predellino di un'automobile in una fredda domenica milanese nel novembre 2007 e lancia (o fa lanciare) segnali per vedere l'effetto che fanno. Non è un metodo ortodosso perché destinato a scontrarsi con sensibilità varie e a dare adito a molte incomprensioni. I partiti, ancorché malmessi, devono pur attenersi a delle regole: la crisi del Pdl è dovuta essenzialmente all'anarchia istituzionalizzata che ha legittimato qualsiasi iniziativa al di fuori dei luoghi istituzionali. Ecco perché non si è dotato di una identità e non ha costruito una chiara linea politico-culturale.
È finito così che il fragile legame tra le componenti si è logorato e la sola risorsa dei berlusconiani «duri e puri» è quella di rilanciare il movimento delle origini, come se nel frattempo non fosse accaduto nulla di significativo in Italia e nel mondo. Del resto che le tentazioni «liberal» (piuttosto all'amatriciana, bisogna aggiungere) di alcuni ambienti post-forzaitalioti siano forti, è noto da tempo. Ma è altrettanto noto che se Berlusconi dovesse assecondarle al fine di emarginare quelle componenti che provengono dal Msi e da An è inevitabile che del Pdl, o come lo si vorrà chiamare, resterà ben poco. Non è infatti credibile che la sola idea di sradicare dal movimento la destra nazionale e sociale, elemento costitutivo della «fusione», possa restare senza una risposta da parte di coloro che, oltretutto, credendo nel progetto sono rimasti fedeli al Pdl quando la scissione finiana si è concretizzata.
E certamente non è stato facile per nessuno di coloro i quali provenivano da una ben definita tradizione politica accettare lealmente le innumerevoli sbracature che si sono registrate nel partito e nel governo dal 2008 in qua, soccorrendo, oltretutto, molto spesso lo stesso Berlusconi insidiato dai suoi forzisti molti dei quali più volte sono stati sul punto di abbandonarlo al suo destino. A questo punto sarebbe fin troppo banale ridurre tutto a un malinteso.
La destra nel Pdl ha buon gioco nel chiedere al Cavaliere non tanto di non far volare i falchi che mettono a repentaglio la sua stessa labile candidatura, ma di ricomporre una frattura che va ben al di là delle parole dal sen fuggite e implica la permanenza stessa nel partito di quelle soggettività che finora hanno taciuto per senso di responsabilità, le quali, elettoralmente, valgono ben più di quanto i consiglieri di Berlusconi immaginano. Insomma, la possibilità di una scissione - non certo per fare un'associazione di «combattenti e reduci» - è molto più concreta di quanto si possa credere. Con tutte le conseguenza che è facile prevedere.
Fonte: Il Tempo | vai alla pagina » Segnala errori / abusi