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Dichiarazione di Nichi VENDOLA
«Il rigore? Per me è una religione» - INTERVISTA
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(06 novembre 2012) - fonte: Il Sole 24 Ore | Emilio Patta - inserita il 06 novembre 2012 da 31
Abbattere il peso fiscale su lavoro e imprese, divenuto in Italia principale fonte di agonia. Barra ferma sul rigore, che deve essere addirittura «vessatorio» per quel che riguarda la spesa corrente.Cessione di sovranità nazionale per costruire un’Europa davvero democratica. E tre parole chiave per uscire dal tunnel della crisi: industria (a partire da «quell’oggetto misterioso che è la politica industriale»), innovazione, agricoltura. È un Nichi Vendola che non ti aspetti, quello che accetta di parlare con il Sole 24 ore del programma economico per le primarie del centro-sinistra e quindi, se le urne premieranno l’alleanza Pd-Sel-socialisti, per il governo del Paese. Il governatore della Puglia ci accoglie con la notizia che la Ragioneria generale dello Stato e il dipartimento per lo Sviluppo e la coesione economica di Palazzo Chigi hanno sancito che la Puglia ha la migliore capacità di spesa dei fondi comunitari: la regione ha investito risorse europee più di tutte le altre regioni del Sud messe insieme e ha superato del 78% il target di spesa assegnato dal governo a febbraio.
La buona amministrazione come patente di governabilità, presidente Vendola?
Quella dell’utilizzo dei fondi Ue è stata una perfomance straordinaria. Io ci tengo a far vedere anche la lista della spesa della regione Puglia, dal momento che mi dipingono sempre come un acchiappanuvole… Per me il rigore è stato veramente una religione in questi otto anni. Naturalmente non è stato il rigore dei tagli lineari ma il rigore della riqualificazione, ad esempio delle società partecipate. Erano quasi tutte in default e io le ho portate in attivo con processi di ripatrimonalizzazione seria e con uno sfoltimento delle strutture burocratiche. Diciamo che ho fatto una guerra agli acronimi. Che cos’è uno Iacp? È un istituto autonomo di case popolari. Risponde alla sua missione? No. Una parte delle risorse veniva drenata inappropriatamente dalle strutture burocratiche, e gli Iacp erano luoghi di confluenza tra malavita e disagio sociale. Da otto anni ho commissariato gli Iacp e abbiamo cominciato a dare case popolari. Ancora nel 2005 l’Acquedotto pugliese era famoso per la frase “dà più da mangiare che da bere”, oggi ha la considerazione di tutte le agenzie di rating. Ed è passato da un’intensità di investimenti al di sotto dei 20 milioni di euro a circa 120 milioni l’anno. E così via. Abbiamo fatto la cura dimagrante a tutto quello che era la costellazione dei sistemi pubblici che ruotano attorno all’ente regione e abbiamo operato una rifinalizzazione.
Ma un conto è governare una regione, un conto è governare l’Italia. Perché i mercati si devono fidare di Nichi Vendola?
Si potrebbe una volta tanto capovolgere l’impostazione: ma noi ci possiamo fidare dei mercati? I cittadini, le famiglie, i lavoratori. Per chi come me non demonizza il mercato (ora parlo al singolare) è concepibile che il mercato sia il regolatore di tutta la vita sociale oppure il compito precipuo della politica consiste nell’indicare la prevalenza del bene comune e della necessità di far soggiacere il mercato a regole e a controlli? Quando si parla del mercato finanziario è immaginabile che tutto resti così com’è nonostante l’esito catastrofico che ha prodotto un trentennio di finanziarizzazione dell’economia mondiale? Sono stati commessi dei gravi errori.
Errori commessi anche dalle sinistre di governo, dalla presidenza Clinton negli Usa ai governi di centro-sinistra in Italia. La finanza pensa ai suoi interessi, è la politica che stabilisce le regole.
La sinistra ha peccato gravemente come peccano tutti i neofiti. Passare dalla demonizzazione del mercato all’apologia del mercato è stato un grave errore culturale. Io penso che dobbiamo costruire un approccio laico al mercato. La produzione di ricchezza si è progressivamente sganciata dall’economia reale. È stato il periodo del mutar di pelle del capitalismo, da capitalismo prevalentemente industriale a capitalismo prevalentemente finanziario, con un effetto distorsivo del sistema: la finanza diventa un cannibale che si mangia il mercato e mette a rischio la stessa democrazia. Tesi estremiste? Sono tesi contenute in un pamphlet di Guido Rossi pubblicato proprio dal Sole 24 Ore. Partirei dalla Costituzione, articolo 47. L’Italia protegge e stimola il risparmio. E lo Stato coordina, controlla e disciplina il sistema del credito. Norme che sono lampadine tascabili per illuminarci quando ci perdiamo nei nostri labirinti. Fu Roosevelt negli anni Trenta a introdurre una normativa per separare le banche di risparmio dalle banche d’affari, normativa colpevolmente superata da Clinton alla fine degli anni Novanta. Come vede, io non sono indisponibile all’autocritica. E siccome spesso veniamo dipinti come coniatori di facili slogan, ci tengo a dire che non sto immaginando l’assalto al moloc in forme di dannunzianesimo politico. Sto dicendo che a beneficio dell’economia reale, a tutela della libera concorrenza forse occorre intervenire per regolamentare i mercati finanziari. Nessuna maledizione brechtiana nei confronti delle banche, ma penso che proprio nel nome di un capitalismo sano non si possa avere indulgenza nei confronti di chi viaggia dalle parti delle Cayman.
Dunque rimettere al centro l’economia reale, è questa la ricetta?
Soprattutto a partire da quell’oggetto misterioso che è la politica industriale. La borghesia italiana ha deciso di praticare l’astinenza da circa un trentennio. Ora il problema numero uno è che le industrie pesanti italiane arrivano in affanno all’appuntamento con l’ambientalizzazione. Dall’Ilva alla chimica, noi oggi ci poniamo le domande che la Germania si è posta 40 anni fa. Oggi difendiamo la compatibilità di industria e ambiente e di lavoro e salute, ultimi nell’Ocse. Questo il primo effetto del mancato impegno del pubblico nella politica industriale. Il secondo effetto è quello di avere stimolato la pigrizia e l’indolenza delle nostre imprese, che hanno creduto di poter essere competitive sul terreno del costo del lavoro e della tutela dei diritti. Ma il dato più scandaloso del nostro Paese è quello di essere fanalino di coda negli investimenti per l’innovazione, sia di parte pubblica sia di parte privata. A Barletta, ad esempio, la crisi terribile del calzaturiero è stata risolta almeno in parte con stimoli da parte della regione per aiutare la riconversione in calzature di sicurezza: studio sui materiali. Dunque politica industriale, poi innovazione, infine agricoltura, la vera Cenerentola dell’economia. Eppure l’entroterra italiano si sta spopolando, sta avanzando il bosco medievale man mano che arretra l’agricoltura. Qui c’è bisogno di lavorare perché una nuova generazione di specialisti torni nelle campagne.
Veniamo al fisco. Voi siete favorevoli alla patrimoniale, così come a una Tobin tax più pesante. Non pensa che la pressione fiscale sia già troppo alta?
Il fisco contribuisce all’agonia del mondo dei produttori, oggi imprese e lavoro stanno crepando di fisco e questo è inaccettabile. La pressione fiscale va drasticamente alleggerita su lavoro e imprese. Io penso al cuneo fiscale anche in termini di premialità: vanno avvantaggiate le imprese che si adattano a determinati parametri, ad esempio di sostenibilità ambientale e di formazione della manodopera. Occorre poi rivedere le aliquote: è scandaloso che fa parte dello stesso scaglione chi guadagna centomila euro e chi ne guadagna 10 milioni. E poi va liberato il Paese dalla patrimoniale sui poveri, ossia l’Imu sulla prima casa, quasi la violazione di un diritto fondamentale. Quanto alla Tobin tax, bisognerebbe invertire la logica del governo Monti: più è rapida la transazione finanziaria più alto deve essere il prelievo, perché la speculazione normalmente gioca proprio sulla tempestività.
Fonte: Il Sole 24 Ore | Emilio Patta | vai alla pagina » Segnala errori / abusi