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Dichiarazione di Andrea Riccardi

Alla data della dichiarazione:  Ministro  Cooperazione internazionale e integrazione


 

«Il governo Monti non sarà una parentesi» - INTERVISTA

  • (17 novembre 2012) - fonte: Avvenire | Arturo Celletti - inserita il 17 novembre 2012 da 31

    «Il governo Monti non è stato una parentesi. È stato, ed è, un momento di svolta verso una fase nuova della storia della Repubblica, verso un’altra politica, verso una società più coesa...».

    Andrea Riccardi racconta da Parigi un nuovo progetto. Con immagini alte, a tratti anche ambiziose. «Abbiamo dovuto fare i conti con un’emergenza economica drammatica e abbiamo avuto troppo poco tempo per dimostrare e risolvere i problemi. Ma guai ad archiviare questi dodici mesi di lavoro, bisogna continuare e allargare il solco tracciato».

    Il ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione pesa le parole a una a una e, a tratti, resta in silenzio. «Abbiamo bisogno di slancio verso il futuro. Già, serve un grande disegno per far "guarire" una società squassata e fratturata, per tanti anni e da troppi antagonismi. È così, è così: siamo stati troppo a lungo divisi», ripete abbassando il tono della voce.

    A poche ore dall’appuntamento romano di Verso la Terza Repubblica c’è attesa. Per quello che si dirà in quella sede che vedrà riuniti laici e cattolici che «cercano la via del futuro». E per la forza che sapranno imprimere al "manifesto" lanciato subito dopo Todi le idee di riforma e di moderazione della politica (e del fare politica) che sono proprie del migliore cattolicesimo politico. Interroghiamo allora Riccardi, da storico e da fondatore della Comunità di Sant’Egidio è uomo che sa più di qualcosa sia dei movimenti "dal basso" sia dei cambiamenti di fase nella storia di una nazione.

    C’è una larga parte dell’opinione pubblica italiana che non crede più nella politica, quale svolta può aspettarsi?

    «La svolta c’è già stata, ed è coincisa con l’inizio di questo governo».

    Ministro, non crede che nella vostra azione ci poteva essere un di più di equità e solidarietà?

    Avremmo potuto fare altre cose, magari ne avremmo potute fare alcune con maggiore incisività... Ma abbiamo scongiurato il rischio di cadere nell’abisso, che è stato il grande problema dei primi sei mesi di questo governo. Ora la fase acuta della malattia è passata, abbiamo dimostrato prima di tutto a noi stessi che questo Paese ce la può fare, ma servono profondi cambiamenti per realizzare le due cose che più ci stanno a cuore: garantire crescita e solidarietà. Senza crescita anche le risorse per la solidarietà diminuiscono, e questo l’ho vissuto da uomo di governo: sul fronte della famiglia e su quello dell’immigrazione, su quello delle fasce più deboli e là dove si deve difendere la vita.

    Crescita, è la vera priorità?

    La nostra società ha un disperato bisogno di crescita perché i nostri giovani hanno fame di lavoro, di speranza, di certezze. Proprio per questo è giusto guardare avanti. Perché la sfida ora è che l’Italia rientri nel gioco della globalizzazione con forza. Bisogna capire davvero che la logica del frammento nel mondo globalizzato funziona sempre meno. È una logica che porta alla rinuncia al nostro posto nel mondo. E che rischia di farti scivolare verso la periferia del mondo.

    Come ci spiega la convention di oggi? Che appuntamento vuole essere?

    L’appuntamento di un movimento civico fatto da gente di provenienza diversa che ha guardato anche con pessimismo il declino del Paese, ma che oggi nutre speranze e non vuole che vadano disperse.

    Lei che ruolo avrà?

    Io sono un ministro in carica e porterò la mia testimonianza. Basterà questa, perché non voglio essere il creatore di un partito. Posso però dire ai miei concittadini che questa esperienza di governo può, anzi deve, essere una base per un futuro. Per una nuova idea di politica. Ma per farcela sarà necessario uscire dal linguaggio bloccato, codificato e cifrato del Palazzo. Bisogna parlare con i cittadini. Abbiamo visto che nell’ultimo voto siciliano l’astensionismo ha superato il 52 per cento. Non voglio che questo sia il futuro dell’Italia. Non voglio che si affermi un populismo antipolitico. Ma ora, per riuscire ad allontanare il male, bisogna capire che chi non vota non è una persona da demonizzare, ma uno con cui riprendere un discorso. Mi faccia dire una cosa: Mario Monti, nel suo confrontarsi con il Paese, ci ha dato anche una lezione di come si parla di politica e di governo.

    Un pezzo importante di Paese si aspetta che Monti faccia una scelta forte e si candidi alla guida di un’area. Lei che cosa dice?

    Non voglio rientrare nel discorso del Palazzo. Non voglio che questa espressione di passione civile si trasformi in un mantra "lista Monti sì o lista Monti no". Bisogna accettare che questo processo abbia il suo sviluppo, che sarà comunque in tempi rapidi. Bisogna evitare di semplificare quello che appartiene alla complessità della vita: oggi la gente vive sentimenti, idee e attese più ricchi e articolati di come sono troppo spesso presentati nel teatrino mediatico.

    Insomma deciderà Monti...

    Vedo tre passaggi.
    Uno: bisogna che nasca un’area di riferimento per far sì che la speranza non si esaurisca e anzi si proietti sul 2013 e negli anni a venire.
    Due: l’attuale governo tecnico ha potuto parlare al Paese solo in maniera parziale. Per la sua stessa missione, non poteva e non doveva farsi "politico". Oggi, un movimento civico deve allargare, arricchire e approfondire il dialogo col Paese reale.
    Tre: è evidente la necessità di un passaggio decisivo attraverso il voto degli italiani.

    Apro una parentesi: ha accennato ai giovani e all’antipolitica. Come valuta le proteste di queste ore? De Rita, su queste pagine, ha detto che ormai «si contesta il potere che non c’è».

    Bisogna parlare con i ragazzi, bisogna capire che c’è un disagio e trovare la strada per dare risposte, immaginare soluzioni. Ma bisogna anche dire che la violenza non ha spazio: non vogliamo tornare a vecchie e drammatiche situazioni. È proprio così: anche nell’antipolitica c’è, infatti, una domanda di politica. Che non trova risposte, che non trova interlocutori. Bisogna sfatare il mito e rompere il meccanismo che fa della politica la "società dei pochi". Gli italiani devono tornare a parlare di politica e a votare.

    Per intanto torniamo a quello che lei definisce un "nuovo soggetto civico". Di quali aree si comporrà?

    C’è un’area di gente che viene dalla vita quotidiana e che sente la responsabilità di non stare più nel frammento e di unirsi in un disegno comune. C’è un mondo di cattolici che è articolato, ma porta una stessa idea di cultura della vita. Di attenzione alla vita. Di rispetto per la fragilità della vita: penso ai bambini, ai bambini non nati, agli anziani soli. E penso al fare famiglia, che è generare la vita e fedeltà nell’essere insieme. Ma c’è un altro aspetto chiave che marca, anche oggi, la cultura e la presenza pubblica dei cattolici: la Chiesa italiana rappresenta, in un Paese frammentato, un grande momento e una tenace realtà di unità. Poi ci sono due aree cruciali: quella laico-riformista che è portatrice di esigenze di riforma del lavoro e del mercato. E l’area del mondo della solidarietà che è cattolica e che è anche laica.

    Chi sarà il federatore? Chi sarà l’uomo capace di unire questi mondi?

    Federatori furono Montini e De Gasperi, ma oggi non si può ripetere l’esperienza della Dc. Penso invece a un elemento ispiratore: sarà l’«agenda Monti».

    Quali sono le qualità tecniche e umane del premier e come le racconterebbe a un giovane studente?

    Gli direi che Mario Monti è un uomo capace di ascoltare e di imparare dalla vita e dal confronto con i problemi. Un uomo non ideologico, ma animato da un realismo e da un pragmatismo etico. Un uomo della realtà e non della furbizia.

    Si va di corsa verso il voto: il nuovo soggetto ci sarà. E come?

    Io credo che ci sarà un soggetto civico che vuole esistere, unire e interloquire sul futuro. Un soggetto civico che vuole crescere in fretta, assieme ad altri. Ma nel giorno del battesimo non possiamo parlare già del matrimonio...

    Perché lei si spende per questo progetto?

    Voglio spendermi come testimone di un’azione di un governo, mosso dal senso di gravità del momento. La nostra fede ci insegna a non disperare.

    Nel governo c’è un’anima cristiana e un’anima laica...

    Ma la crisi risveglia i cristiani, e indica loro le responsabilità. Li risveglia nella quotidianità, perché i cristiani sono in tutti gli angoli della vita, soprattutto con generosità in quelli più drammatici. Ma li risveglia anche davanti alle grandi congiunture storiche.

    E lei? Lei personalmente che farà?

    Non penso per me, perché mi sento vecchio per una carriera politica. Ho solo voglia di dare una mano: cattolici e laici, uomini di buona volontà e credenti si coagulino per un’Italia migliore. Un’Italia che cresce, ma non calpesta la vita e non calpesta i deboli. Un’Italia che riprende a camminare negli scenari del mondo.

    Fonte: Avvenire | Arturo Celletti | vai alla pagina

    Argomenti: voto, cattolici, elezioni politiche, Chiesa Cattolica, astensionismo, governo Monti | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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