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Dichiarazione di Gianfranco FINI

Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: AN) 


 

Intervista a Fini: delittuoso tirarla per le lunghe - «Se vincessimo noi le elezioni staremmo attenti a non fare gli errori del passato» - Il presidente di An: «In gioco la credibilità delle istituzioni, no a un governo della disperazione»

  • (29 gennaio 2008) - fonte: Corriere della Sera.it - Francesco Verderami - inserita il 29 gennaio 2008 da 31
    ROMA — «C’è in ballo la credibilità delle istituzioni». Ecco cos’è in gioco secondo Gianfranco Fini. Questa non è solo una crisi di governo ma «un passaggio delicatissimo in cui la politica è chiamata alla prova dinnanzi al Paese ». Perciò «lo scioglimento delle Camere e il ritorno alle urne, non è una richiesta avanzata per interessi di parte ma per tutelare gli interessi nazionali». Il leader di An ritiene che non esista «alcun margine per un nuovo governo. A meno che non prevalga la disperazione. E la disperazione è sempre una cattiva consigliera. Non ha senso oggi verificare in Parlamento se c’è la possibilità di un accordo sulla legge elettorale, dopo che per mesi la discussione sulla riforma ha messo in evidenza come non esistano aggregazioni o convergenze semmai divisioni all’interno dei poli e in alcuni casi all’interno dei partiti». Eppure il centrosinistra rinnova la disponibilità a discutere.«Io credo siano disponibili a discutere di tutto pur di evitare le elezioni. Ma oggi la priorità è un governo nella pienezza dei poteri, dotato di maggioranza politica, in grado di affrontare i problemi nazionali: sicurezza, potere d’acquisto dei salari, sofferenza delle imprese, emergenza ambientale». Però, se si andasse alle urne, il problema sarebbe rinviato solo di un anno, visto che pende il referendum elettorale. Non sarebbe quindi meglio fare la riforma adesso? «E chi gestirebbe nel frattempo le emergenze del Paese? Ora, non c’è dubbio che il nodo della legge elettorale e di un assetto istituzionale più moderno andrà affrontato e risolto. Ma alla luce delle precedenti esperienze negative, credo sia giusto valutare se dar vita a un’Assemblea costituente, eletta o nominata dal Parlamento, che non si sovrapponga e confligga con il corso politico della legislatura. Altrimenti non se ne uscirà mai». Insomma, considererebbe una forzatura se il capo dello Stato — dopo le consultazioni — non sciogliesse le Camere ma provasse con un incarico a verificare se esiste la possibilità di riformare la legge elettorale, prima di tornare al voto? «Intanto noto che tornano in auge formule e liturgie da prima Repubblica. Comunque, un mandato esplorativo è nel novero delle scelte possibili. Però mi chiedo: anche qualora l’esploratore dovesse, per il rotto della cuffia, avere un senatore in più in maggioranza su una legge elettorale purchessia, finalizzata solo ad allontanare le urne, il giorno dopo chi governerebbe l’Italia? Un governo della disperazione? No. Non credo al successo dell’esploratore, penso che si arriverà allo scioglimento delle Camere e che si voterà in aprile». Dica la verità: teme manovre dilatorie da parte del Quirinale?«Napolitano si muove nel solco delle sue prerogative. Mi sono permesso di dire al presidente della Repubblica che in una congiuntura così complessa occorre avere tutto il tempo per riflessioni meditate, ma sarebbe delittuoso per gli interessi nazionali tirarla per le lunghe con l’unico intento di trovare una soluzione purchessia, o peggio per posticipare il voto». Cosa le ha risposto Napolitano? «Non avevo dubbi sulla sua risposta ». Berlusconi ha detto che se non si andasse alle urne, milioni di persone andrebbero a Roma a manifestare. Le evoca qualcosa? «Non mi evoca nulla, ed è francamente risibile parlare di un Berlusconi che annuncia una seconda marcia su Roma. Lui ha detto una cosa che viene richiesta a gran voce dalla maggioranza degli italiani: cioè di esprimere tutto lo sdegno possibile, con una civile manifestazione, qualora la disperazione dovesse portare alla nascita di un governicchio di brevissima durata solo perché l’Unione ha il terrore di andare al voto. E sarebbe opportuno pensarci bene prima, perché si rischierebbe moltissimo». Che vuol dire? «Intanto si metterebbero a rischio gli interessi nazionali. Un governo è degno di tale nome solo se ha una maggioranza politica. Se invece in qualche modo si mettessero insieme vari segmenti del Parlamento senza prospettiva, pur di non andare alle urne, si darebbe un formidabile aiuto all’antipolitica, a coloro che parlano di una casta a difesa dei propri privilegi. È una vulgata, una sciocchezza, ma molti pensano che non si voglia andare al voto perché ai parlamentari non scatterebbe il vitalizio. L’antipolitica avrebbe il sopravvento se si proseguisse con l’accanimento terapeutico della legislatura. E se dovesse nascere un governo con questo obiettivo, gli italiani penserebbero a un’ammucchiata finalizzata solo a salvare la casta». Si potrebbe anche pensare che voi vogliate le elezioni solo perché siete certi di vincere. «Non siamo sicuri di vincere, siamo ragionevolmente ottimisti. Ma non potremo confidare solo sull’indelebile ricordo dei disastri compiuti dal governo Prodi, dovremo presentarci con un progetto credibile e innovativo». A proposito d’innovazione, Nicolas Sarkozy ha innovato la politica francese innestando nel governo personalità di sinistra. Lei, che è stato definito il «Sarkozy italiano», adotterebbe questo metodo se vincesse le elezioni? «Attenzione a non incorrere in errore: quel modello non è proponibile in Italia perché il nostro sistema è diverso. Da noi può accadere, ed è accaduto, laddove c’è l’elezione diretta, penso ai sindaci. Certo, ci sono esponenti del centrosinistra che stimo e apprezzo per le loro qualità, anche perché al contrario di Berlusconi non considero i professionisti della politica come un fatto negativo. Quanto al futuro governo italiano, se toccasse a noi, non solo dovrebbe avere non più di dodici ministri, ma non dovrebbe nemmeno esser figlio del manuale Cencelli». Sarà, ma Veltroni già vi accusa di voler costruire un «caravanserraglio» che mette insieme Mastella e Tilgher. «Intanto è ridicolo che, guardandosi allo specchio, imputino a noi i loro errori. Nel nostro schieramento c’è un’omogeneità culturale, valoriale e politica che il centrosinistra non ha mai avuto. Basti vedere cos’è accaduto nelle legislature in cui hanno governato loro. Basta vedere che fine ha fatto Prodi nel ’98 e oggi. In ogni caso il centrodestra darà vita a una coalizione che non partirà dalla sottoscrizione di un faraonico libro dei sogni di trecento pagine, ma avanzerà un programma scarno e una serie concreta di proposte». Le contestano di aver fatto una precipitosa retromarcia con Berlusconi, dopo lo scontro dei mesi scorsi. «Lo scontro c’è stato ed era relativo al nodo del Pdl e alla legge elettorale. Per quanto riguarda il Pdl Berlusconi, dinnanzi al mutamento del quadro politico, ha rinviato la discussione del progetto. Progetto che andrà ripreso. Perché — sia chiaro — il disegno unitario non è archiviato, è solo rinviato. E la probabile vittoria elettorale darà impulso all’obiettivo del partito unitario». Come dire che ripartirà nella prossima legislatura la sfida sulla leadership, e che questo determinerà un nuovo conflitto proprio mentre magari sarete al governo? «L’esperienza insegna sempre qualcosa. E l’esperienza dei cinque anni dal 2001 al 2006 deve farci riflettere, per non ripetere più certi errori. Uno di questi è stato privilegiare le visioni di partito rispetto all’interesse generale. Oggi c’è una grande aspettativa nei nostri riguardi e gli italiani saranno ancor più esigenti, anche se di cose buone con il passato governo ne abbiamo fatte tante». Dunque niente più richieste di «cabine di regia», niente più richieste di «verifiche infinite»... «...Niente più personalismi, niente più fughe in avanti... Il prossimo governo di centrodestra, se riusciremo a vincere, dovrà essere all’insegna della determinazione e della maturità». Siamo ai soliti, buoni propositi. «Provare per credere».
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