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Massimo DONADI in data 12 febbraio 2008
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«Rafforziamo il centro per fare un grande partito dei moderati» - Intervista -
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(02 febbraio 2008) - fonte: Liberal - Susanna Turco - inserita il 08 febbraio 2008 da 31
Una lettera a Silvio Berlusconi e Sandro Bondi per spiegare le ragioni dell’addio, una conferenza stampa alla Camera con gli stati maggiori del nuovo partito per l’annuncio ufficiale: così Ferdinando Adornato e Angelo Sanza hanno lasciato ieri Forza Italia per entrare nell’Udc. Una scelta improvvisa? Tutt’altro. È la «maturazione di un percorso» le cui tappe e obiettivi Adornato oggi vuol raccontare anzitutto a Liberal, «perché sarebbe paradossale spiegare le mie ragioni altrove e non qui». Qual è dunque il punto di partenza di questo percorso? È già da tempo che segnalo un disagio per come è pensata la politica in Forza Italia. Un partito carismatico con un grande leader, con tante persone di gran livello, ma con una organizzazione sospesa nel vuoto. Una formazione che finisce così per somigliare a un partito feudale, con l’imperatore, i vassalli, i valvassori e i boiardi, tutti in lotta fra loro. Con le gelosie, le invidie, le lotte per la salvaguardia degli spazi personali. È sempre stato così? Sì, ma aveva un senso nell’Italia devastata del 1992-93. Non è che allora Berlusconi poteva immediatamente costruire il Labour Party o la Cdu. Ha fatto quello che poteva. E ha fatto bene. Quindi per un periodo anche lungo è stato accettabile, bello persino, partecipare a un movimento carismatico. Ma a un certo punto bisogna trasformare il carisma in istituzione, o non si va avanti. E il rilancio di San Babila non è stato di conforto?Al contrario. La risposta è stata il rilancio del partito carismatico. Ma un progetto diverso non può nascere dal predellino di una automobile dicendo agli alleati ”o entrate o faccio da solo”. Se la Margherita avesse detto ai Ds ”chi ci sta ci sta”, il Pd non sarebbe mai nato. È questo il motivo per cui dopo San Babila, ho parlato con Berlusconi e ho detto: così no. Non le piaceva ’o presepe. Chiariamo: non si trattava di un disagio personale. Anzi, da questo punto di vista non ho mai avuto problemi. Parlo invece di concezione della politica. In Forza Italia manca una dialettica politica vera. Ma allora a che serve un partito? Non sarà stato lei l’unico a disagio, quindi. Dentro Forza Italia è un sentimento molto forte. Tutti vorrebbero un partito vero. E Bondi e Cicchitto hanno anche cominciato un percorso virtuoso, ma è di una lentezza esasperante, non adatto all’agilità di Berlusconi. Anche perché il Cavaliere non ha mai fatto mistero delle sue convinzioni sul punto. Certo, Berlusconi ai partiti non ci crede. Pensa che tutto si giochi nel rapporto tra leader e popolo. E siccome su quel fronte tutto gli funziona benissimo, considera il resto una perdita di tempo. Invece io penso che questo sia soltanto la metà del lavoro. Può bastare a vincere, ma governare implica aver costruito una classe dirigente affiatata, un programma preciso. Ecco, quando Berlusconi dice a Fini e Casini "a me gli elettori, a voi il progetto", a mio parere sbaglio. La difficoltà di tradurre la vittoria in azione di governo si è vista anche nella scorsa legislatura?Il problema c’è stato, e il velo di silenzio con il quale s’è coperto è stato sbagliato, perché non abbiamo mai discusso di quali errori ci avessero fatto perdere le elezioni. Ci sono domande alle quali non sono mai state date risposte. Faccio quattro esempi. Primo: si vuol governare sulla linea del Patto per l’Italia oppure su quella dello scontro con i sindacati? Secondo: nei programmi in origine c’era il superamento del monopolio statale dell’istruzione. Torneremo a ragionarci? Terzo: quando si tratta di indicare dei nomi per incarichi di rilievo, possiamo valerci di persone che abbiamo avuto il coraggio di formare, oppure ci teniamo chi c’è? Quarto: avremo la forza di tornare al nucleare o no? Ora, io non dubito che faremo un programma, anche bello, per andare al voto. Ma non sto parlando di questo. Sto parlando della preparazione di una classe dirigente affiatata. Ma perché, alla fine di questo percorso di allontanamento da Forza Italia ha scelto l’Udc?Va detto anzitutto che io mi sento cittadino del centrodestra, di quell’ectoplasma che oggi torna in campo. Cittadino della Casa delle libertà, bellissmo nome. E ho sempre detto che potrei avere la tessera di tutti e tre i partiti maggiori del centrodestra. Lega esclusa, perché non sono padano. Quindi passando con l’Udc non cambio idee, muto solo il punto di osservazione. Per certi versi, cambia poco. Il candidato presidente è lo stesso, Forza Italia e Udc sono entrambe nel Ppe. E infine liberal resta liberal: la sua attività culturale, politica e ora anche giornalistica resta al servizio dell’intero centrodestra. Ma allora perché l’Udc? Perché sento il bisogno di muovermi in una sede nella quale l’ispirazione cristiana è più evidente. Su questioni eticamente sensibili che investono la vita e la morte, la libertà di coscienza che si dà in Forza Italia non basta. E non vedo in questo un contrasto con l’ispirazione liberale. Anzi la contiguità tra cultura cristiana e cultura liberale è uno dei fondamenti del dna di liberal e ringrazio il presidente Casini per le parole che su questo punto ha voluto spendere nei miei confronti. D’altra parte, mi lega all’Udc l’idea di una concezione temperata della politica, nel senso sturziano del termine. L’espressione va di moda. La mia analisi è simile a quella di Casini e Montezemolo. Oggi in Italia non c’è solo la necessità di un cambio di governo. C’è una situazione nella quale sembra che sia in crisi l’unità della Nazione. Quindi la sottolineatura della necessità di pacificazione, di una politica temperata, anche di un patto nazionale contro il declino, sono temi che mi appartengono. Anzi faccio appello ai settori moderati di Forza Italia perché si mobilitino in questa direzione. Oggi il centrodestra guadagna se si fa portavoce di questa necessità: bisogna far capire che non ci interessa soltanto vincere. Ma vogliamo governare bene. Continuerà a lavorare per l’unità del centrodestra? Certo, continuerò a battermi per la nascita di un partito moderato, un Ppe italiano. Ma stavolta da una posizione diversa da quella di Forza Italia, che con il discorso di Berlusconi a San Babila aveva annunciato di voler procedere per annessione. Su questo punto, nelle ultime settimane Angelo Sanza ed io ci siamo trovati molto vicini sia a Fini che a Casini. A proposito Fini mi ha detto se la meta è comune non importa da dove si parte. E lo ringrazio. E stavolta lei parte dal centro… Ritengo che rafforzare il centro sia il punto più importante per arrivare a un centrodestra senza trattino. È anche un passaggio essenziale per la governabilità in questo Paese. Ma significa, anzitutto, accorpare l’area popolare e riformista delusa dal Pd: le fughe terziste in avanti non aiutano. Una critica alla Rosa bianca di Tabacci e Baccini? Il problema non è fare una Rosa, ma regalare agli italiani un mazzo di rose, ragionare non per la divisione, ma per l’unità.
Fonte: Liberal - Susanna Turco | vai alla pagina » Segnala errori / abusi