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Dichiarazione di Giorgio NAPOLITANO

Alla data della dichiarazione: Pres. della Repubblica


 

Tornare ai valori costituenti per ridare fiducia al sistema giustizia

  • (15 febbraio 2008) - fonte: Il Messaggero - inserita il 16 febbraio 2008 da 31
    di Giorgio Napolitano - La rigorosa osservanza delle leggi, il più severo controllo di legalità, rappresentano un imperativo assoluto per la salute della Repubblica, e dobbiamo avere il massimo rispetto per la magistratura che è investita di questo compito essenziale. Anche nella cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte dei Conti, il Presidente e il Procuratore Generale hanno formulato gravi rilievi in ordine alla diffusione delle pratiche di corruzione e di altre violazioni della legge penale. Si tratta di fenomeni devianti di cui le forze politiche debbono avere consapevolezza, ponendovi argine nell’ambito delle loro responsabilità. E nei casi in cui quei fenomeni siano obiettivamente riconducibili anche a persone che svolgono attività politica e ricoprono incarichi pubblici, dev’esser chiaro che l’investitura popolare, diretta o indiretta, non può diventare privilegio esonerando chicchessia dal confrontarsi correttamente col magistrato chiamato al controllo di legalità. Chi svolge attività politica non solo ha il diritto di difendersi e di esigere garanzie quando sia chiamato personalmente in causa, ma non può rinunciare alla sua libertà di giudizio nei confronti di indirizzi e provvedimenti giudiziari. Ha però il dovere di non abbandonarsi a forme di contestazione sommaria e generalizzata dell’operato della magistratura; e deve liberarsi dalla tendenza a considerare la politica in quanto tale, o la politica di una parte, bersaglio di un complotto da parte della magistratura. Un analogo complesso di diffidenza e di reattività difensiva si coglie anche, talvolta, negli atteggiamenti di quanti operano nell’amministrazione della giustizia e rappresentano l’ordine giudiziario. Bisogna dissipare questa duplice cortina di pregiudizio e di sospetto. E ai magistrati spetta in questo senso fare la loro parte. Molto apprezzabili, nella loro essenzialità, mi sono perciò sembrate le osservazioni contenute nella Premessa della Relazione svolta il 25 gennaio scorso dal Presidente Carbone : «Occorre che ogni singolo Magistrato sia pienamente consapevole della portata degli effetti, talora assai rilevanti, che un suo atto può produrre»; che può produrre ha sottolineato a sua volta il Presidente della Corte dei Conti «anche al di là delle parti processuali». Al senso del limite e della responsabilità, deve accompagnarsi lo scrupolo necessario per non cedere all’«esposizione mediatica», l’impegno a «ricreare» sono ancora parole del Presidente Carbone «un giusto clima di rispetto, riservatezza e decoro intorno al processo». E sullo stesso tema è intervenuta una settimana fa l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, deliberando un “atto di indirizzo” puntuale e fermo contro il rischio di un sovrapporsi della televisione alla funzione della giustizia, attraverso «la tecnica della spettacolarizzazione dei processi» e la suggestione di «teoremi giudiziari alternativi». Grande rilievo può a questo proposito assumere l’individuazione da parte del Consiglio Superiore di percorsi formativi che sviluppino nei magistrati modelli di comportamento ispirati alla discrezione e alla misura. È, infine, parte importante del senso del limite non sentirsi investiti di missioni improprie: il magistrato non deve dimostrare alcun assunto, non certamente quello di avere il coraggio di “toccare i potenti”, anche contravvenendo a regole inderogabili. Né può considerarsi chiamato a colpire il malcostume politico che non si traduca in condotte penalmente rilevanti. La sola, alta missione da assolvere è quella di applicare e far rispettare le leggi, attraverso un esercizio della giurisdizione che coniughi il rigore con la scrupolosa osservanza dei principi del giusto processo, delle garanzie cui hanno diritto tutti i cittadini. Come ha appena ribadito in una sua sentenza la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore, «il principio di soggezione soltanto alla legge, lungi dal riconoscere un potere arbitrario, costituisce per il magistrato un vincolo che gli impedisce di finalizzare o condizionare la propria attività a obiettivi diversi da quelli della affermazione del diritto». Perciò, in precedenti nostri incontri qui, ho ritenuto di dover sollecitare la necessaria cautela quando si valutino gli «elementi indiziari nel decidere l’apertura del procedimento e a maggior ragione l’adozione di misure cautelari»: sapendo tra l’altro che il problema irrisolto della durata del processo rende poco credibile l’argomento secondo il quale ogni provvedimento giudiziario può trovare nel sistema le sue correzioni. E con lo stesso spirito ho espresso altre, pacate raccomandazioni. A presidio di regole sancite per legge e di norme di comportamento, a entrambe le quali debbono sottostare quanti sono chiamati a indagare e giudicare, si pone l’esercizio obbligatorio dell’azione disciplinare, che va condotto con tempestività e rigore, come ha sottolineato il Procuratore Generale della Corte di Cassazione nel suo intervento all’inaugurazione dell’anno giudiziario. Si tratta di una funzione che anche il Consiglio Superiore della Magistratura è chiamato a svolgere senza esitazioni e indulgenze, ignorando pressioni politico-mediatiche irrispettose delle ragioni e delle procedure dell’azione disciplinare. Esercitando prontamente tale azione, si rende un importante servigio alla magistratura e al suo organo rappresentativo, accrescendone il prestigio e l’autorità e dando maggior forza alla tutela dell’autonomia e dell’indipendenza dell’ordine giudiziario. È egualmente importante che i titolari dei poteri di vigilanza segnalino tempestivamente i contrasti all’interno degli uffici, la cui tardiva conoscenza e risoluzione può compromettere la credibilità della magistratura. Credo per intima convinzione nel ruolo di quel Consiglio Superiore che i Costituenti disegnarono in una visione tendente a scongiurare nell’esercizio dei poteri di governo della magistratura rischi di chiusura ed autoreferenzialità. Essenziali ne rimangono in tale visione la capacità di libero giudizio e l’equilibrio delle decisioni al di fuori di qualsiasi compiacenza corporativa. Credo nell’unità del Consiglio, che non tollera separazioni e tantomeno contrapposizioni tra membri togati e membri di designazione parlamentare, di qualsiasi schieramento. Credo infine nella sua capacità di concorrere a un dibattito elevato sui problemi della giustizia, e anche sul tema del rapporto con la politica, le sue forze organizzate e le sue istituzioni rappresentative: garantendo il massimo apporto della magistratura al superamento delle insufficienze del sistema giustizia e chiedendo quel che è giusto chiedere a cominciare da una svolta nella qualità della produzione legislativa a chi sarà chiamato a operare in Parlamento e a governare il Paese.
    Fonte: Il Messaggero | vai alla pagina
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