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Dichiarazione di Fausto BERTINOTTI
"Walter attento al regime dolce".
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(10 giugno 2008) - fonte: La Stampa - Riccardo Barenghi - inserita il 10 giugno 2008 da 31
E’ ricomparso in pubblico ieri pomeriggio nel centro di Roma: «Ma di politica non parlo oggi».
Doveva presentare un libro e così ha fatto. Di politica però ne parlerà dopodomani, sempre a Roma, quando introdurrà una giornata di studio intitolata «Le ragioni della sconfitta».
Il personaggio in questione Fausto Bertinotti, ex presidente della Camera nonché leader di Rifondazione comunista nonché candidato premier di quella Sinistra Arcobaleno che non è riuscita nemmeno a entrare in Parlamento, ottenendo solo il 3 per cento dei voti.
Due mesi di silenzio, nessuna apparizione pubblica, niente interviste, talk show, niente di niente. Che ha fatto Bertinotti in tutto questo tempo?
I suoi collaboratori e i politici di Rifondazione che gli sono più vicini raccontano che ha riflettuto, ha meditato, ha sofferto molto per la morte del fratello Ferruccio, di tredici anni più grande e che per lui è stato una sorta di secondo padre.
Ma non solo questo. Ha avuto parecchi incontri, ha diretto diverse riunioni di quelli che collaborano alla sua rivista, insomma ha preparato la sua rentrée nel mondo della politica.
Si è tenuto rigorosamente fuori dallo scontro che sta dilaniando il suo partito, ma ha incontrato molte volte Nichi Vendola (di cui ha firmato la mozione) e gli altri suoi fedelissimi, da Franco Giordano a Gennaro Migliore: «Ditemi cosa posso fare per aiutarvi, mi metto a disposizione come militante».
E loro hanno apprezzato il gesto, anche perché – spiegano quelli che lavorano con Vendola – «è giunto il momento che questo gruppo dirigente dimostri di saper esistere anche senza Fausto.
Di non essere insomma Fausto-dipendente come è stato finora e, in particolare, durante il governo Prodi».
Certo, se Vendola dovesse riuscire a vincere, poi qualcosa Bertinotti farà. I suoi prevedono che tornerà ad avere un ruolo attivo.
Nel frattempo, tra una riflessione e l’altra, Bertinotti qualcosa in privato l’ha detta.
Per esempio che non si fida di Veltroni, visto che «il leader del Pd ci aveva assicurato che non avrebbe fatto la campagna elettorale sul voto utile perché lui puntava a prendere i voti al centro.
E invece ha fatto esattamente il contrario».
Non a caso ha aperto un fitto dialogo con D’Alema e i suoi uomini, invitando Nicola Latorre a parlare giovedì e incontrandosi pochi giorni fa con Pierluigi Bersani.
Dialogo che si è sviluppato su tre questioni fondamentali: il no dell’ex ministro degli Esteri allo sbarramento elettorale per le elezioni europee (un no ovviamente molto apprezzato da Rifondazione); la sua contrarietà all’autosufficienza del Partito democratico perseguita da Veltroni; e la sua spinta per le alleanze con la sinistra radicale alle elezioni amministrative.
Tanto fitto è questo rapporto che Bertinotti e D’Alema pensano addirittura a una sinergia tra la rivista del primo (Alternative) e la Fondazione del secondo (Italianieuropei).
Come fossero intorno a un biliardo, i due giocano di sponda.
L’ex presidente vede con molto favore anche le uscite dell’ex ministro contro il governo Berlusconi (per esempio sugli immigrati), ci legge la volontà di fare un’opposizione più determinata.
Mentre giudica il dialogo tra Veltroni e Berlusconi un «regime dolce», un «co-governo».
Dopodomani il suo discorso analizzerà le ragioni della sconfitta (di cui ha parlato a lungo anche con Rossana Rossanda, fondatrice del manifesto).
Sconfitta che, come si dice nel gergo della sinistra, «viene da lontano».
E che però ha avuto la sua precipitazione col governo Prodi: «Intanto perché le elezioni del 2006 le avevamo perse e invece abbiamo creduto di averle vinte.
E poi perché non siamo riusciti a fare quello che avevamo promesso al nostro elettorato, che ci aveva concesso un’ultima apertura di credito».
Un’occasione sprecata insomma, così come la Sinistra Arcobaleno: «Dovevamo farla prima e molto meglio – spiegano – invece siamo arrivati tardi e male.
E l’abbiamo pagata».
Nel frattempo il suo partito è spaccato in due, tanto che l’ex ministro Ferrero (rivale di Vendola) ha organizzato un’iniziativa contemporanea e alternativa a quella di Bertinotti.
Spaccato come una mela tra chi vuole dar vita alla Costituente della sinistra (dunque a un graduale superamento del Prc) e chi invece vuole ricominciare dall’identità del partito.
E se nessuno dei due schieramenti riuscisse a raggiungere la maggioranza assoluta, quindi a eleggere un segretario e a scegliere una linea politica chiara, Rifondazione rischierebbe di affondare per sempre nelle sue sabbie mobili.
Fonte: La Stampa - Riccardo Barenghi | vai alla pagina » Segnala errori / abusi