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Dichiarazione di Renato BRUNETTA
Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: FI) - Ministro PA e innovazione (Partito: PdL)
«Sarkozy? C'est moi» - Intervista
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(15 giugno 2008) - fonte: Il Gazzettino - Ario Gervasutti - inserita il 15 giugno 2008 da 31
Sarkozy? C'est moi». Il presidente francese gli fa un baffo, a Renato Brunetta: afferrato il toro della pubblica amministrazione per le corna, il ministro d'assalto che ha sconvolto i rituali dei rapporti sindacali, che ha pubblicato gli elenchi delle consulenze esterne pagate dagli enti pubblici, che ha promesso la licenziabilità dei fannulloni e degli assenteisti, non intende mollare la presa.
E preannuncia altre iniziative destinate a far rumore
Ad esempio? «La prossima settimana farò pubblicare sul sito del mio ministero l'elenco, la durata e i compensi di tutti i permessi sindacali di cui godono decine di migliaia di persone in Italia».
Immagino la felicità dei sindacati.
«Io amo e rispetto il sindacato. E ho appena ricevuto una lettera da parte delle organizzazioni che si dicono disponibili a collaborare nella massima trasparenza e nella riforma del pubblico impiego, condividendo gli obbiettivi».
Tutto e subito. È possibile?
«Stiamo preparando una manovra straordinaria, che contiene una rivoluzione del sistema: altro che Attali, altro che Sarkozy.
Mercoledì sarà presentata dal consiglio dei ministri, contiene 250 punti di riforma e tre anni di finanziarie in un colpo solo. In questi tre anni, ad esempio, il tasso di assenteismo nel settore pubblico dovrà essere omologato a quello del settore privato. Perché dovrebbe essere impossibile?».
A colpi di licenziamenti?
«È sbagliato licenziare chi truffa presentando certificati medici falsi, e licenziare anche i medici compiacenti?
Tutti i pubblici dipendenti per bene saranno felici, e sono la stragrande maggioranza, così come i medici che non saranno più violentati per avere i certificati falsi.
Chi finora ha invece giocato su questo starà in campana. La festa è finita».
Ma per fare queste riforme servono anche soldi, o bastano i tagli?
«La spesa corrente dello Stato è di 700 miliardi l'anno. La manovra prevede tagli per 7-8 miliardi, meno dell'1\%: il resto è togliere qualche piuma a banche, assicurazioni, petrolieri.
Nel bilancio di una famiglia se bisogna mettere in rotta la barca un sacrificio dell'1\% è accettabile».
Dipende da cosa si taglia.
«Ad esempio, aboliremo le Comunità montane: costano 133 milioni di euro. Le funzioni saranno trasferite ai consorzi dei Comuni, ma senza gettoni di presenza, strutture, impiegati, poltrone che servono solo a piazzare politici trombati».
Entro quando?
«Tutto dovrebbe essere approvato prima delle vacanze estive. Ci sarà un decreto legge, poi uno o più disegni di legge con corsia preferenziale, e infine un po' di disegni delega»
E le province?
«Si dovrà completare l'iter di quelle che stanno per nascere, come Monza, ma poi si dovrà progettare la riduzione del numero complessivo».
È vero che tra i tagli previsti ci sono anche quelli per l'informatizzazione della Pubblica amministrazione?
«No. Anzi, ci sarà la banda larga per tutti».
Cosa intende per "semplificare i bilanci dei Comuni"?
«Certi sindaci perdono giorni interi a compilare i formulari di bilancio come se amministrassero Roma, e non hanno neanche impiegati.
Ho predisposto una norma che prevede una modulistica semplificata per i Comuni sotto i 3000 abitanti.
Se per Roma servono 10 moduli, per i piccoli ne basta uno».
A proposito di impiegati: pensa di redistribuire gli organici tra gli enti che ne hanno troppi e quelli che ne hanno pochi?
«Faccio l'esempio della magistratura amministrativa: i dipendenti sono quasi tutti del Sud.
Vincono il concorso, vengono al Nord e non ce la fanno a vivere qui; allora appena possono tornano giù.
E si ammalano. E chiedono il trasferimento.
Risultato: il Sud è sovraccarico e il Nord annaspa.
Così per i concorsi intendiamo attivare il reclutamento su un ambito regionale».
E i suoi colleghi di partito meridionali cosa dicono?
«Felici anche loro: la felicità aleggia».
Cosa pensa della proposta dei sindaci veneti che chiedono di lasciare ai Comuni il 20\% dell'Irpef prodotta dal territorio?
«Il federalismo fiscale che introdurremo entro la fine dell'anno si basa proprio su un ragionamento simile, che azzera il concetto di trasferimenti basati sulla "spesa storica" definita dai decreti Stammati del 1978, che hanno prodotto un Paese di figli e figliastri.
E con il federalismo anche le specialità nate nel dopoguerra non avranno più ragione d'essere».
Intende dire che le regioni a Statuto speciale spariranno?
«Sono passati 60 anni, sarebbe il caso di cominciare a cambiare le regole. Non avranno più senso, tutte saranno "speciali" perché nell'arco di 3-5 anni il quadro cambierà completamente.
Il federalismo è responsabilità: laddove ci sarà dissesto finanziario di enti e strutture, saranno commissariati. Federalismo vuol dire anche definire gli standard uguali per tutti: perché a Napoli ci sono il triplo dei dipendenti pubblici pro capite che a Milano? È una scelta di quegli amministratori?
Bene: Napoli paghi i dipendenti pubblici, sapendo però che non avrà altri soldi ad esempio per gli asili nido. E i cittadini giudicheranno. Ma c'è consapevolezza anche al sud: io sono ottimista».
È proprio sicuro che gli insegnanti lavorino 4 ore al giorno?
«L'obbiettivo è di adeguarci a tutti i parametri europei.
Da dove cominciamo? Qualcuno dice: cominciamo dagli stipendi.
Io dico: cominciamo dai ragazzi. Vogliamo stipendi europei?
Bisogna avere la stessa produttività europea, lo stesso rapporto alunni-docenti, le stesse ore lavorate».
È vero che propone la licenziabilità dei dipendenti pubblici anche solo se vengono indagati?
«No. Ma oggi quando un dipendente subisce un procedimento penale si aspetta di iniziare il procedimento disciplinare solo quando è finito quello del tribunale. Il sistema pubblico però ha tutta l'autonomia per decidere subito sul piano disciplinare.
Adesso per eccesso di garantismo si tiene tutto bloccato. Non voglio passare per il castigamatti: ma il lassismo e il buonismo producono mostri».
È vero che pensa all'obbligo di accettare i trasferimenti da una città a un'altra?
«Nessuno ha mai pensato ai vagoni piombati. Se voglio regionalizzare i concorsi, come posso pensare di prendere una persona da Pordenone e spedirla a Canicattì?
Ma all'interno di una regione, sì».
Quindi rischia il licenziamento solo che rifiuta il trasferimento da un ente pubblico a un altro?
«Prendiamo il caso degli infortunii sul lavoro: gli ispettori sono pochi, mal preparati, non hanno mezzi.
In provincia di Torino ce n'è uno ogni 3.200 aziende: come si fa a visitarle tutte almeno una volta l'anno?
Circa 20 anni fa si chiuse l'infausta stagione della formazione pubblica e del collocamento: migliaia di impiegati, di collocatori e formatori, con un po' di formazione avrebbero potuto diventare ispettori.
Il sindacato si oppose come un sol uomo: non ci fu mobilità tra un settore in chiusura e un settore carente.
Da mercoledì, con il decreto, non sarà più così».
Vuole introdurre anche la possibilità di "class action" anche verso il settore pubblico. Ma chi pagherebbe?
«Se un cittadino si arrabbia con un'azienda privata, fa causa e se la vince gli pagano il danno: con la class action tutti quelli che hanno subìto lo stesso danno devono essere risarciti.
Nel settore pubblico non prevedo il pagamento del danno in denaro, ma una sanzione che il policy maker teme molto di più: il commissariamento, che lo costringerebbe ad andarsene a casa».
Fonte: Il Gazzettino - Ario Gervasutti | vai alla pagina » Segnala errori / abusi