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Dichiarazione di Emma BONINO

Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD)  - Vicepres. Senato  


 

«Il Trattato di Lisbona è morto L’Europa vada avanti lo stesso» - Intervista

  • (16 giugno 2008) - fonte: L'Unità - Gabriel Bertinetto - inserita il 16 giugno 2008 da 31

    Il No irlandese non deve bloccare il processo d’integrazione europea. Lo dice all’Unità Emma Bonino, vicepresidente del Senato ed ex-ministra per le politiche europee nel governo Prodi.
    Per Bonino la ratifica del trattato di Lisbona non è la questione centrale. Serve un salto di qualità, come accadde per varare l’Euro e la zona Schenghen, attraverso strumenti intergovernativi e non necessariamente con i trattati. E un pezzo d’Europa potrebbe andare avanti più velocemente rispetto al resto.
    Alcuni sostengono che il no abbia vinto in Irlanda anche perché la Ue viene spesso percepita come un insieme di istituzioni distanti dai cittadini. È questo il problema?
    «Noi possiamo porci tutte le domande, ma il punto essenziale è che il trattato di Lisbona è morto. La regola vuole che sia valido solo se viene approvato da tutti i singoli Paesi membri. Ed ora noi ci troviamo in un guazzabuglio giuridico esilarante: 14 Paesi hanno ratificato sia la Carta sia il testo di Lisbona, 4 (fra cui noi per ragioni di tempo) solo la prima e non il secondo, 4 il secondo ma non la prima, e 5 né l’uno né l’altra.
    Quanto all’immagine dell’Europa lontana dai cittadini, se c’è un Paese che ha toccato con mano la vicinanza della Ue, con lo sviluppo economico che è derivato dall’aderirvi, è proprio l’Irlanda. Ora, io non me la prendo con la gente che vota no. Evidentemente c’è un deficit di leadership. Ad esempio ci sono governi che quando devono prendere decisioni impopolari ne attribuiscono l’origine a Bruxelles. Oppure vediamo i francesi che per giustificare il no al trattato costituzionale si inventano la figura dell’idraulico polacco che sottrae clienti agli artigiani autoctoni.
    Per non parlare delle campagne per eleggere il Parlamento di Strasburgo, in cui si parla sempre di questioni interne ai singoli Paesi e mai di Europa. Assisteremo ora ad un fiorire di appelli perché si trovi il modo di ratificare comunque il trattato di Lisbona.
    Ma la ratifica diventa irrilevante se non ci si inventa un salto di qualità ispirato alla originaria visione federalista spinelliana».
    E l’Italia, che non ha ancora ratificato, cosa deve fare?
    «Ratifichiamo, ma non pensiamo che sia quello il rimedio. Ratificare può servire a dare un segnale, può essere un momento di impegno e di dibattito serio, un modo per rilanciare il processo di integrazione.
    Che però a questo punto deve andare avanti comunque. Al limite, chi ci sta, ci sta».
    Vuoi dire che l’Europa, che sinora si è andata progressivamente allargando, adesso, pur di crescere, potrebbe perdere dei pezzi?
    «No, ma può esserci un pezzo d’Europa che va più avanti o che corre più in fretta. Abbiamo un anno fino alle prossime elezioni europee e 18 mesi sino all’insediamento della nuova Commissione. Possiamo utilizzare questo tempo per verificare se esiste una visione comune o largamente condivisa per fare cose importanti anche usando strumenti intergovernativi, anziché ricorrere ai trattati. Così come si fece per varare l’Euro e l’area Schenghen.
    Vuol dire anche verificare se i partiti europei sono ancora strumenti utili per far progredire l’idea federalista, visto che sono in realtà aggregazioni di forze nazionali i cui leader si incontrano ogni tanto».
    Per risolvere l’impasse dei trattati ratificati qua e non ratificati là, non si rischia di creare nuovi intoppi anche di tipo giuridico nei rapporti fra i vari tronconi di questa Europa a velocità variabile?
    «Può darsi, ma è un problema anche restare fermi. Invece se un gruppo di paesi procede più spedito, se si coalizza un forte nucleo federalista, almeno hai un soggetto promotore, un motore del processo d’integrazione.
    Con problemi certo, ma anche con una spinta ad andare oltre».
    Come giudichi l’anomalia del governo italiano, ufficialmente pro-europeo, che comprende una componente, la Lega, che brinda al no irlandese?
    «Penso che un passaggio in Parlamento sarà utile a capire qual è la vera posizione del governo.
    Anche perché l’Italia è uno dei Paesi fondatori e, come tale, o promuove attivamente il processo d’integrazione oppure diventa un ostacolo.
    Non spingere da parte nostra equivarrebbe a frenare.
    Un dibattito parlamentare sarà molto importante per chiarire cosa davvero vuole fare il governo per costruire una nuova Europa, che sia una patria europea e non una Europa delle patrie.
    I partiti e i governi dei Paesi Ue devono assolutamente cambiare il loro modo di agire per il fine federalista. Mantenere lo status quo non è un punto di partenza adeguato per superare lo scetticismo di forze politiche come la Lega».

    Fonte: L'Unità - Gabriel Bertinetto | vai alla pagina
    Argomenti: europa, pd, Schengen, senatrici, radicali al Parlamento, trattato di Lisbona | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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