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Dichiarazione di Luciano VIOLANTE


 

“La magistratura deve fare il suo lavoro senza andare alla ricerca del consenso” - Intervista

  • (18 giugno 2008) - fonte: L'Opinione - Aldo Torchiaro - inserita il 18 giugno 2008 da 31

    Sulla norma salva processi – davvero troppe le scarcerazioni dovute al caos in cui regna la giustizia – è stata una giornata di bagarre al Senato.
    Mentre c’è chi si frega le mani e prepara una battaglia girotondina all’insegna della nostalgia, c’è chi riporta i suoi colleghi con i piedi per terra.
    A smarcarsi dal catenaccio Di Pietro-Grillo-Santoro-Travaglio, cabina di regia del sistema mediatico-giudiziario, è Luciano Violante, l’ex magistrato torinese che dopo quasi trent’anni di attività parlamentare – alcuni dei quali alla Presidenza della Camera - ha deciso di esercitare un ruolo di stimolo e di riflessione verso la politica.
    A partire da qualche riflessione seria sulla giustizia.

    Tempo di bilanci, per lei, Violante?
    Ho dato molto e ho avuto molto, dalla politica. Ho presieduto la commissioni Affari Costituzionali, la commissione d’inchiesta Antimafia, il gruppo parlamentare e, dal 1996 al 2001 la Camera dei Deputati.
    Ventinove anni in Parlamento, due più di Stalin, sei più di Mussolini, possono essere sufficienti.
    E alle ultime elezioni non si è voluto ricandidare, oppure… ?
    Ho preannunciato di non volermi più ricandidare, già nel 2006; informai Fassino segretario Ds e D’Alema, presidente, che sarebbe stata la mia ultima campagna elettorale. In 29 anni di vita parlamentare si imparano un sacco di cose, è un egoismo volerle tenere per sé.
    Vorrei usare questa parte della vita, che è l’ultima, per restituire attraverso l’insegnamento quello che ho imparato. Credo che la cosa più importante sia il rapporto tra le generazioni. Nel 1981 vinsi la cattedra di diritto e procedura penale e ora torno ad insegnare.
    Largo ai giovani, quindi.
    Ma largo anche a me stesso. Largo ad altri, certo, ma largo anche a me, per evitare il rischio di diventare una macchina di piccolo o grande potere.
    E il suo impegno in politica, come è nato?
    Io ero a Torino e facevo il magistrato quando, nel 1976, il segretario cittadino del Pci mi chiese di candidarmi.
    Ero francamente molto in dubbio, perché avevo seguito processi importanti, di grande rilevanza.
    L’idea mi interessava, ma non volevo utilizzare sul terreno della politica il consenso acquisito come giudice istruttore.
    Mentre ero a casa, la sera mi chiama una signora. “Sono la segretaria dell’onorevole Berlinguer”, mi disse. E me lo passò al telefono.
    “So che il segretario della federazione le ha chiesto di candidarsi”. Io risposi che non mi sembrava opportuno per la pubblicità che avevo avuto come magistrato.
    “Anche io penso che non sia opportuno”, mi rispose Berlinguer, convenendo con la mia riflessione e aggiungendo che se gli avessi comunicato una opinione diversa mi avrebbe consigliato di rinunciare.
    A quel punto la mia stima per Berlinguer aumentò ancora di più.
    Poi però lei la politica l’ha fatta eccome.
    Poi nel ‘77 lasciai la procura di Torino e iniziai a lavorare al Ministero della Giustizia dove mi occupai del coordinamento dei magistrati che si occupavano del terrorismo.
    Alle elezioni del 1979 mi venne riproposta la candidatura e a quel punto, essendo fuori della magistratura attiva e da più di due anni fuori Torino, decisi di accettare.
    Erano altri tempi. Ma certi temi, occupandosi di giustizia, sono sempre verdi.
    Oggi le Procure si occupano molto di morti bianche…

    Sì, ma sottolineo un dato: è in calo il numero dei morti sul lavoro, che prima erano molti di più.
    Oggi per fortuna c’è una sensibilità maggiore, prima queste morti erano frequenti ma del tutto ignorate.
    Adesso il Capo dello Stato punta giustamente l’attenzione su questo tema e così fanno a ruota i mezzi di informazione e le stesse organizzazioni del mondo produttivo: la Confindustria ne parla sempre più spesso.
    Una volta non andava così. Confindustria e sindacati per troppo tempo non hanno considerato questo problema come una priorità.
    Si invocano misure speciali, lei che ne pensa?
    Più che ricorrere a misure legislative, ci vorrebbe una reale educazione alla sicurezza per chi lavora e per i datori di lavoro.
    La morte sul lavoro non si può ridurre sempre ad un incidente.
    E’ spesso frutto di un calcolo. Ci sono modi di organizzazione del lavoro che possono produrre la morte. Ci vogliono più ispettori del lavoro e più preparati.
    Veniamo alle intercettazioni. Milioni di telefoni sotto controllo, un caos che va regolato.
    Io dico che uno dei problemi più importanti è quello relativo alla pubblicazione di notizie che non devono essere pubblicate, o perché non sono penalmente rilevanti - telefonate personali, confidenziali, sentimentali, erotiche e così via – o perché destinate a restare segrete per garantire l’efficacia delle indagini.
    Il punto è: chi è che dà le notizie?
    I giornali. E su quest’ultimi si abbatte con forza la nuova legge…
    Non penso che si debba colpire il giornalista: il peggior giornalista è quello che non pubblica le notizie che ha in mano.
    E allora bisogna andare a monte, e cercare di capire chi è che diffonde le intercettazioni ai giornalisti. Il tema è quello dell’impunità del pubblico ufficiale, magistrati, cancelliere, usciere, ufficiale di polizia giudiziaria che dà le notizie.
    Il profluvio delle fughe di notizie nasce nelle procure, negli uffici giudiziari, negli uffici di polizia giudiziaria.
    Bisogna andare a monte. Perché non vengono perseguite queste persone?
    Ce lo dica lei.
    Perché è particolarmente difficile per un magistrato procedere nei confronti dei propri collaboratori. E ancor meno nei confronti di se stesso, naturalmente.
    E quindi?
    E quindi credo che sarebbe estremamente utile, non so se lo stabilirà il ddl che uscirà dall’iter parlamentare, che la competenza su questi reati non spetti all’ufficio che deteneva la notizia il cui segreto è stato violato, ma spetti ad un altro ufficio giudiziario.
    Oggi per esempio per un reato commesso da un magistrato di Roma, si procede a Perugia.
    Bisognerebbe seguire lo stesso criterio per capire chi passa le notizie alla fonte.
    In questo modo avremo meno impunità e quindi forse una deterrenza maggiore nei confronti di chi passa le notizie. E poi forse va delimitato l’uso delle intercettazioni, ma tenendo presente che è oggi uno strumento particolarmente importante per combattere il crimine organizzato e i delitti frutto di accordi tra “colletti bianchi”.
    Però un eccesso da Grande Fratello, nel numero di intercettazioni c’è stato, o no?
    Ci sono due diritti di libertà: la libertà della vita privata e la libertà dal crimine. Bisogna trovare un punto di equilibrio tra queste due libertà.
    Ci sono alcuni tipi di reati le cui responsabilità possono essere individuate solo per mezzo delle intercettazioni, l’usura ad esempio è uno di questi.
    Bisogna stabilire dei limiti molto fermi. Ora bisogna tener presente che quando si cita il numero più basso delle intercettazioni in altri paesi europei, quelle statistiche non sono complete come le nostre.
    Non riguardano mai le tante intercettazioni che compiono i servizi di sicurezza, che qui da noi non possono essere fatte. Il punto vero è impedire la pubblicazione.
    Oggi rimane forte il partito dei magistrati, che può avere una deriva…
    Io in genere sono accomunato a questa deriva. Ma voglio dirlo chiaramente: non sono un giustizialista. Sono un legalitario, che è un’altra cosa.
    Però c’è anche un partito giustizialista vero e proprio, Italia dei Valori.
    Pochi giorni fa ho incontrato Antonio Di Pietro nei corridoi di Montecitorio e lui mi ha detto che non è d’accordo con la mia presa di posizione sulle intercettazioni.
    Gli ho detto che deve dimenticare di aver fatto il giudice, se vuole fare politica.
    Deve decidere cosa fare nella vita, se non rinuncia a fare il vecchio mestiere non farà mai politica.
    Ha deciso, secondo lei?
    No, ma essendo un uomo intelligente sta giocando la carta non contro la maggioranza, ma contro il Pd.
    Fa un tipo di lavorio che alla lunga non porta in nessun posto.
    Il Pd non può stare a guardare né inseguire Di Pietro sul suo terreno, che è un terreno sbagliato.
    Non lo si deve seguire sull’ostruzionismo a tutti i costi e in ogni caso, anche perché in molti casi l’abuso del diritto uccide il diritto, ed è una massima che indirizzo proprio a Di Pietro.
    Occorre definire con forza una linea strategica sulla giustizia e comunicarla al Paese e al parlamento con determinazione, spiegando perché non si fa ostruzionismo.
    Di Pietro, Beppe Grillo, Michele Santoro, Marco Travaglio: tutti sulla stessa barca, nella deriva giustizialista.
    Vede, ho sempre diffidato della politica che sposa la giustizia, perché non si rende un favore né alla politica né alla giustizia.
    E anche i mezzi di informazione devono stare attenti a non sposare eccessivamente la giustizia; la magistratura deve fare il suo lavoro senza essere trascinata nella ricerca del consenso.
    Però in qualche caso tribunali, piazze e studi televisivi si sono sovrapposti tra loro…
    Guardi, bisogna avere paura dei magistrati che vogliono il consenso.
    In Italia il magistrato ha il massimo dell’autonomia e dell’indipendenza, e questo lo rende indipendente anche dal consenso.
    La ricerca del consenso appartiene ai mezzi di informazione e alla politica che ne hanno bisogno per legittimarsi; ma va tenuta ben distinta dalle procedure giudiziarie.
    Quando c’è un corto circuito, è pericoloso.
    Della vicenda De Magistris che idea si è fatto?
    Ho seguito dall’esterno e ho trovato sbagliata la sovraesposizione mediatica tanto di De Magistris quanto della dottoressa Forleo.
    Più delicata è l’indagine che fai, tanto maggiore deve essere la riservatezza.
    Qui torniamo alla questione del meccanismo del consenso: il giudice così rovina la sua indipendenza. Sulla conduzione delle indagini c’è stata una sanzione del CSM e una richiesta di proscioglimento del p.m. di Potenza; è una contraddizione che andrebbe capita meglio.
    A proposito della sua presidenza della Camera, lì con il suo discorso di insediamento ha contribuito al disgelo, ha aperto alle ragioni degli altri.
    Dissi una cosa in cui credo molto: bisogna cercare di capire le ragioni degli altri, degli avversari.
    Questo non vuol dire condividerle. E dissi: senza parificazioni, perché non siamo stati pari, e senza pacificazioni perché siamo già pacificati.
    Ma capire le ragioni si. Perché molte altre volte nella storia del nostro Paese le giovani generazioni hanno scelto la violenza per riscattare la propria dignità, sbagliando.
    E sbagliando gravemente.
    Oggi su quello scranno siede Gianfranco Fini. Che presidenza sarà la sua?
    Sarà una presidenza autorevole e ispirata al senso dello Stato.
    Naturalmente quando si hanno responsabilità così gravi si possono fare degli errori; ne ho fatti io e ne farà probabilmente anche Fini.
    Il suo è stato un bel discorso, ispirato alla concretezza e al realismo, adesso ho visto che vuole riformare i regolamenti della Camera, mettere mano al calendario parlamentare: lavorare bene e lavorare di più credo sia un risultato importante e Fini può raggiungere questo risultato.

    Fonte: L'Opinione - Aldo Torchiaro | vai alla pagina
    Argomenti: intercettazioni, informazione, processi, magistratura, magistrati, morti sul lavoro, fini, Stampa, morti bianche, grillo, giornali, Camera dei Deputati, giornalisti | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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