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Dichiarazione di Rosy BINDI

Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD)  - Vicepres. Camera  


 

Perché mi batto nel nome di Prodi.

  • (19 giugno 2008) - fonte: Il Riformista - Rosy Bindi - inserita il 19 giugno 2008 da 31

    Caro direttore, l’assemblea costituente del Pd farà i conti con il risultato elettorale e si misurerà sulla qualità della nostra opposizione e sul futuro del partito.
    All’ordine del giorno ci sono anche le annunciate dimissioni di Romano Prodi dalla presidenza del partito.
    Su questo tema si è sviluppato un confronto a partire da una mia proposta, quella di votare una mozione che respinga le dimissioni, che non mi pare sia stata realmente capita e che vorrei riassumere e chiarire.
    La mia proposta che non era e non è rivolta a Romano Prodi, a cui non chiedo di tornare sui suoi passi e di cui rispetto la decisione.
    Né intendo presentare una mozione degli affetti.
    Non ho bisogno di dimostrare con attestati pubblici l’amicizia e la stima nei suoi confronti, non sarebbe rispettoso verso Romano Prodi e non servirebbe ai democratici.
    La mia è una iniziativa politica e una richiesta al partito perché respingendo le dimissioni di Prodi riprenda il percorso dell’Ulivo.
    Per farlo è necessario riannodare le fila del processo costituente e riconoscere che il Pd non c’è ancora. Occorre l’umiltà di misurare la nostra coerenza rispetto al cammino di questi anni e al progetto a cui Romano Prodi ha dato vita nel ‘95.

    La nuova stagione che Veltroni ha evocato nel corso delle primarie e poi declinato in campagna elettorale con la vocazione maggioritaria del Pd, è il compimento dell’Ulivo immaginato da Prodi nel ‘95 o una sua sconfessione?
    Il modo in cui il partito sta prendendo forma ha davvero i caratteri di quel nuovo soggetto politico che avevamo ipotizzato o è solo un nuovo vestito per vecchi apparati?
    Sono questi i nodi da sciogliere nel confronto di venerdì e sabato all’assemblea costituente.
    E chiedo a tutti i democratici: se le dimissioni di Prodi venissero metabolizzate come un passaggio di routine, non avremmo implicitamente già dato una risposta politica a questi interrogativi?
    Respingere le dimissioni di Prodi significa esprimere un chiaro indirizzo politico per il futuro, a partire da una sincera e libera valutazione del percorso fin qui seguito.
    Significa rilanciare la costruzione del partito come partito plurale, capace di andare oltre i partiti fondatori e intercettare nuovamente quel popolo delle primarie che si sta già allontanando dal Pd, percepito come la sommatoria dei Ds e Margherita e delle loro tante correnti.
    Dire no alle dimissioni di Prodi significa abbandonare la solitudine dell’autosufficienza e lavorare ad un nuovo centrosinistra.
    Significa dire no al tentativo, peraltro tutto astratto, di dar vita ad alleanze di nuovo conio, significa dire sì alla capacità del Pd di costruire un’alleanza programmatica riformista con le forze della sinistra disponibili ad una vera innovazione.
    Dire no alle dimissioni di Prodi aiuta a sciogliere i dilemmi sulla collocazione internazionale del partito, significa infatti riconoscere l’originalità dell’Ulivo e l’impossibilità di restringere il Pd nel campo della socialdemocrazia e della liberaldemocrazia per costruire un nuovo campo riformista e democratico.

    Abbiamo subito una seria sconfitta elettorale, acutizzata dal risultato delle amministrative siciliane.
    È necessaria una riflessione severa, senza sconti per nessuno.
    In gioco c’è il profilo programmatico e ideale del Pd, la scommessa di tornare a vincere e a governare il paese.
    Credo sia riduttivo rilanciare la nostra opposizione al governo a partire dallo scandalo di nuove leggi ad personam.
    Abbiamo pensato che potendo contare su una solida maggioranza, Berlusconi dimostrasse le qualità di statista e invece, proprio contando su una solida maggioranza Berlusconi vuole attuare una sua idea di politica, di società, democrazia.
    Sarebbe bene allora ricordare che l’Ulivo è nato e ha vinto per due volte con Romano Prodi, perché con il progetto e con il programma per «L’Italia che vogliamo» si è presentato come alternativa culturale e politica al berlusconismo.
    La mia proposta non può essere confusa con quella di Michele Salvati, che chiede a Prodi il gesto personale di ritirare le dimissioni per evitare il dubbio che lasciando la presidenza del Pd si consumi una tacita rottura con l’esperienza di questi tredici anni.
    Ma non è a Prodi che va chiesta nobiltà d’animo.
    È al partito e a ciascuno di noi che va chiesto di fare chiarezza sulla linea politica e di interrogarsi se questa rottura c’è stata, e se siamo davvero disponibili a riannodare il percorso dell’Ulivo e farci carico degli ultimi quindici anni, con le nostre coerenze e le nostre incoerenze.

    Fonte: Il Riformista - Rosy Bindi | vai alla pagina
    Argomenti: prodi, dimissioni, centrosinistra, pd, Bindi Rosy | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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