Ti trovi in Home  » Politici  » Donato Renato MOSELLA  » sport e giovani

Chiudi blocco

Altre dichiarazioni nel periodo per gli stessi argomenti



Dichiarazione di Donato Renato MOSELLA

Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: Misto) 


 

sport e giovani

  • (08 luglio 2008) - fonte: www.camera.it - inserita il 07 maggio 2010 da 14181
    DONATO RENATO MOSELLA. Signor presidente, anch'io mi associo ai ringraziamenti alla signora ministro, perché è riuscita a fornire un quadro ampio, problematico, ma anche alcune proposte che, al momento, mi lasciano soddisfatto. La domanda che mi pongo è come poi vigilare, man mano che il suo navigare va avanti, al solo fine di svolgere il ruolo responsabile di opposizione e anche per incalzare il ministro in alcune direzioni. Svolgo una prima considerazione veramente a caldo, senza alcuna pretesa di approfondire, riferita al rapporto con gli altri Ministeri e ministri. Un rapporto che ritengo di per sé pregevole, ma critico, in quanto bisogna guardare cosa sta accadendo con i tagli a cui si è costretti, soprattutto in alcuni settori, per motivi legati alla Finanziaria. Questi tagli contraddicono un po' quanto ci è stato poco fa illustrato. Ad esempio, mi riferisco ai tagli che sono stati operati nei confronti dello sport di promozione, dello sport sociale, dell'associazionismo sportivo, che, tenete conto, rappresenta meno dell'uno per cento del bilancio dello sport nazionale.Vanno bene le Olimpiadi, vanno bene i campionati mondiali, va bene commuoversi per il podio e per le bandiere, però, dietro alle politiche giovanili esiste un tema su cui ci dobbiamo interpellare: i giovani, quelli meno fortunati (parlo del comparto sportivo, ma il discorso potrebbe essere generalizzato), che praticano lo sport e che non arrivano a risultati lusinghieri, sono la stragrande maggioranza. Tra chi ha la possibilità di diventare un «campioncino», magari senza arrivare alle Olimpiadi, e la massa dei praticanti, il rapporto è di 1 a 10 mila. Ebbene, gradirei che un Ministero come il suo, anche con il taglio che lei giustamente ha dato al suo piano di lavoro, tenesse conto, anche in questa ottica, di chi ha di meno. È pertanto giusto erogare i soldi per lo sport italiano e per le Olimpiadi, però mi domando quando nascerà finalmente (forse il suo Ministero in questo potrebbe fungere da provocatore, anche rispetto agli altri colleghi) un aiuto e un sostegno a quelle attività che stanno morendo. Siamo un Paese ad altissimo tasso di associazionismo relativo a tutte le culture e tutte le sensibilità, abbracciando tutto l'arco costituzionale, ma molto di questo patrimonio si sta disperdendo, impoverendo e inaridendo. Non è che scompare, ma si dà regole e meccanismi che lo portano ad autofinanziarsi. Quando, per sopravvivere, ci si deve autofinanziare, si perde di vista l'obiettivo prioritario di tipo sociale. Si fanno pagare quote, o rette; si chiede una contropartita economica che spesso, nelle fasce dei meno abbienti e dei giovani che sono più lontani dal meccanismo educativo, non trova accoglimento. Molti giovani preferiscono spendere 50 euro in attività magari meno educative, piuttosto che nella propria promozione sportiva, artistica e culturale. Dato questo meccanismo, credo che lei potrà richiedere ai suoi uffici di mostrarle alcuni indicatori che dipingeranno un quadro molto preoccupante. Esiste un patrimonio, che lei ha citato con sigle, che testimonia lo spirito di relazionarsi e di instaurare rapporti e che però, se continua a inaridirsi e a spegnersi, ci costringerà a reinventarlo, con costi sociali molto elevati. In questo meccanismo che lei ha raccontato, voglio solo sottolineare un passaggio che forse può tornare utile alla riflessione. «I giovani per i giovani»: mi è sembrato un filo che ha condotto un po' tutta la sua articolata esposizione. È anche vero, però, che c'è in questo Paese una necessità: di solito il Ministero della gioventù nasce o perché abbiamo una povertà generale del meccanismo giovanile (credo che in Italia sia nato per questo motivo, nel senso che si vedevano gli indicatori e si capiva che dovesse esserci qualcuno incaricato di guardare con occhio attento e continuativo al mondo giovanile), oppure perché, come è avvenuto in altri Paesi europei, esiste una super produzione di iniziative e di attività, che è bene coordinare. Per noi prevale la motivazione più preoccupante, anche se è vero, come lei ha raccontato, che ci sono tante iniziative in corso, che vanno coordinate e migliorate. Tuttavia, la verità è che oggi abbiamo un ministro che si occupa dei giovani perché i nostri giovani si trovano in difficoltà. I motivi lei li ha spiegati e i colleghi sono già intervenuti al riguardo. Ciò che tendo a proporle è una sorta di patto intergenerazionale: sono un cinquantenne che è nato e cresciuto alla scuola di educatori che sono stati giovani adulti oppure adulti anche anziani. A loro ho legato pezzi della mia vita: nello sport, nella politica, nell'associazionismo. Credo che una delle mancanze, oggi, sia rappresentata da un'autosufficienza che, spesso, non riesce a innescare, come lei ha indicato, il meccanismo educativo. Ebbene, si valorizzino in questi percorsi anche i patti intergenerazionali. Si ritorni a ossigenare un Paese che è molto invecchiato. Tanti anziani dismettono l'attività lavorativa e potrebbero, in questa direzione, trovare uno sbocco, sebbene si sia in presenza di un deficit di riconoscimento. I giovani, oggi, fanno fatica a riconoscere nel rapporto con l'altro una forma di necessità e di apporto. Noi li andavamo a cercare, eppure all'epoca avevamo famiglie abbastanza ordinarie. L'educatore, per noi, costituiva l'oggetto di una ricerca che compensava, in alcuni ceti sociali, anche la mancanza del genitore e della famiglia, diventava modello di riferimento. Oggi questo meccanismo si sta perdendo. Passando ad altro, lei non ha sottolineato che il nostro è un Paese «a macchia di leopardo». Non voglio rievocare il discorso delle differenze tra nord e sud (che poi c'è anche un sud al nord e un nord al sud), però, riguardo ai giovani, rileviamo una situazione molto diversificata. Su tutti temi trattati, dal lavoro, al tempo libero, alla cultura, abbiamo un Paese in cui i problemi si differenziano «a macchia di leopardo». Mi piacerebbe immaginare, nel suo lavoro, anche un'attenzione a queste diversità. A me stanno a cuore di più i giovani della marginalità, quindi i giovani che prevalentemente vivono e crescono nel sud del paese, o nelle aree periferiche, che lei conosce molto bene, per quanto riguarda Roma, dove effettivamente il taglio ai temi che lei ha trattato - dal lavoro al tempo libero - è un po' diverso e particolare: lì ci sono segni di disperazione molto forti, ma anche di grande speranza. Laddove le difficoltà sono più grosse, nascono testimonianze straordinarie che potrebbero essere incanalate e valorizzate. Credo che sia molto importante tenerne conto nei piani, altrimenti si rischia di agire in maniera generale e di non cogliere la sacca di maggiore difficoltà. È vero che esiste una povertà giovanile e una difficoltà anche negli ambienti economicamente molto agiati; basta vedere alcune città del nord come Modena, o altre città, dove il tasso di suicidi giovanili è alto. Non possiamo più parlare di fasce sociali deboli, perché effettivamente il fenomeno è complesso e su questo ci si deve interrogare. Tuttavia, mi sembra che rispetto a piani che portano all'avviamento del lavoro, come ad esempio il prestito d'onore, immaginarli per una periferia di una grande metropoli è cosa diversa che immaginarli per una città con redditi pro capite e tenore di vita accettabili. Si tratta di approcci e di dimensioni diverse. Mi fermo qui, ringraziando nuovamente il ministro.
    Fonte: www.camera.it | vai alla pagina
    Argomenti: giovani | aggiungi argomento | rimuovi argomento
    » Segnala errori / abusi
    Pubblica su: share on twitter

 
Esporta Esporta RSS Chiudi blocco

Commenti (0)


Per scrivere il tuo commento devi essere loggato