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Valter VELTRONI in data 11 luglio 2008
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Valter VELTRONI in data 10 luglio 2008
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Arturo Mario Luigi PARISI in data 10 luglio 2008
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Giorgio NAPOLITANO in data 10 luglio 2008
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Ignazio Roberto Maria MARINO in data 10 luglio 2008
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Valter VELTRONI in data 09 luglio 2008
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Simone BALDELLI in data 09 luglio 2008
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Laura BIANCONI in data 09 luglio 2008
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Alessia Maria MOSCA in data 09 luglio 2008
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» Finanziaria Tremonti: "Documento rinunciatario che non attenua le disuguaglianze"
Paolo GIARETTA in data 09 luglio 2008
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» Scritte anti-semite a Verona, dura condanna del PD veneto
Paolo GIARETTA in data 09 luglio 2008
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» «Le indecisioni di Veltroni alimentano la protesta» - Intervista
Arturo Mario Luigi PARISI in data 08 luglio 2008
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Emma BONINO in data 08 luglio 2008
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Stefania Gabriella Anastasia CRAXI in data 07 luglio 2008
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» «Giusto imporre priorità ai Pm» - Intervista
Gianrico CAROFIGLIO in data 07 luglio 2008
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» «Margini esigui, tocca a loro la prima mossa» - Intervista
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» “VENETO DISCARICA POLITICA DEL CENTRALISMO ROMANO”
Giovanni GALLO in data 07 luglio 2008
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» Sì all'immunità senza «blocca processi» - Intervista
Pier Ferdinando CASINI in data 07 luglio 2008
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Gianfranco ROTONDI in data 07 luglio 2008
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Massimo Cacciari in data 06 luglio 2008
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Umberto BOSSI in data 06 luglio 2008
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Silvio BERLUSCONI in data 04 luglio 2008
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Valter VELTRONI in data 04 luglio 2008
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Livia TURCO in data 04 luglio 2008
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Maurizio FISTAROL in data 04 luglio 2008
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» "Ora la monnezza è diversa da quella di Prodi?"
Giovanni GALLO in data 04 luglio 2008
Caro Walter, basta con il leaderismo - Intervista
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(24 luglio 2008) - fonte: Panorama - Stefano Brusadelli - inserita il 18 luglio 2008 da 31
“Us’ po’ fèr, ma u jè da laurèr”. L’unica speranza per il Pd di uscire da questa tribolata stagione, secondo Pier Luigi Bersani, sta in quelle parole stampate sulla maglietta che gli ha regalato un militante di Cesena. Tradotto dal romagnolo, significa che si può fare, ma c’è da lavorare. Una rielaborazione, in pragmatica chiave padana, dell’obamiano e sognante “si può fare” con cui Walter Veltroni condì la sua campagna elettorale. Dell’ex sindaco di Roma, Bersani fu lo sfidante mancato alle primarie di ottobre 2007, e in molti rimpiangono quella rinuncia. Oggi il ministro ombra dell’Economia è il candidato più accreditato per un’eventuale successione alla guida del Pd. In questa intervista, pur concedendo al segretario il beneficio del congresso tra un anno, disegna il profilo di un partito dove c’è molto da “laurèr”, e che non assomiglia molto a quello leaderistico fin qui guidato da Veltroni. Un identikit che ha il sapore di una piattaforma politico-programmatica. Da mettere in campo al momento opportuno; magari, dopo le elezioni europee del 2009.
Correnti che si moltiplicano, linea incerta, militanti sfiduciati: non è un gran momento per il Pd.
Effettivamente non siamo ancora passati in pieno dalla fase costituente a quella di costruzione. È vero che ci sono state di mezzo le elezioni, ma ora bisogna darsi un profilo organizzativo, soprattutto cominciare a discutere di politica.
Veramente Veltroni dice che nel Pd si discute fin troppo.
Fino a ora abbiamo votato, più che discusso.
E allora non sarebbe il caso di fare il congresso il prima possibile?
Sarò antiquato, ma un congresso vero non si fa senza iscritti. Vorrei che il primo congresso del Pd avvenisse pienamente dentro le regole statutarie. Basta con l’emergenza della fase costituente.
Quindi, congresso nel 2009?
Sì, è bene che il congresso si tenga nel 2009. Intanto però, in autunno, c’è una conferenza programmatica che sarà l’occasione per cominciare a mescolarci, e a discutere di politica. Per darci un profilo, abbiamo bisogno di ascoltare la nostra gente, farci aiutare da loro.
Discutere vuol dire anche contarsi.
No, niente conte. Quelle si faranno al congresso. Penso a una discussione su un documento aperto della direzione, non a documenti contrapposti. E a un legame con la manifestazione di massa contro il governo annunciata per il 25 ottobre.
Lei dice niente conte, ma intanto il Pd è lacerato. C’è Veltroni che teorizza il partito a vocazione maggioritaria, D’Alema che invece mette l’accento sulle alleanze e propone il proporzionale tedesco che piace all’Udc e a Rifondazione, ma non a Veltroni…
Penso che se ricominciassimo a discutere sul serio, molte differenze apparirebbero componibili. Premesso che tutti ci diciamo a favore del bipolarismo, si è visto che pensando di affidare all’elettore la scelta dell’alleanza attraverso il premio di maggioranza abbiamo finito col riconoscere rendite di posizione micidiali a minoranze esigue. Nello stesso tempo meccanismi come quello referendario (la consultazione è prevista per la primavera 2009, ndr) porterebbero a un bipartitismo finto, che ci impedirebbe paradossalmente di presentarci col nostro volto.
Il sistema tedesco caro a D’Alema però finisce col favorire i giochi postelettorali, a vantaggio delle terze forze.
Il sistema tedesco, che è il più coerente con l’esigenza di presentarsi con la propria identità, può essere corretto in senso bipolarizzante con il vincolo di dichiarare le alleanze prima delle elezioni.
La legge elettorale non è l’unico motivo di divisione nel Pd. C’è pure l’opportunità del dialogo con Silvio Berlusconi.
Dialogo è una parola astratta. Preferisco la coppia accordo-disaccordo. Fermo restando che su temi di rilevanza istituzionale l’accordo è sempre auspicabile, credo che per fare il suo dovere nei confronti del Paese l’opposizione debba, appunto, fare l’opposizione. Seria, non demagogica, senza acrimonia: ma opposizione. Del resto io non ricordo, ai tempi del nostro ultimo governo, Berlusconi e Giulio Tremonti intenti a cercare il dialogo costruttivo con noi. Per 2 anni ci hanno bollato come il governo delle tasse e dei comunisti; e hanno vinto le elezioni.
Una stoccata ai dialoganti…
Vedo la pericolosa tendenza a pensare che il centrodestra sia in grado di fare quello che noi non siamo stati in grado di fare.
E invece?
Il centrodestra ha messaggi più efficaci dei nostri per vincere le elezioni, ma non ha le risposte. Vedrete che balleranno.
L’opposizione seria è quella che si è vista finora?
Va bene che dopo aver preso un pugno stai male per un po’, ma stiamo dando l’impressione di essere poco convinti delle nostre ragioni. Chi vince ha sempre ragione, ma chi perde non sempre ha torto.
Idee per un’agenda dell’opposizione?
Quel che dobbiamo fare è saldare i temi democratici, tipo il conflitto di interessi o le leggi ad personam, con la questione sociale.
Vuol dire che si sta esagerando con l’antiberlusconismo?
Dobbiamo marcare una differenza con il dipietrismo, che non ha una vocazione maggioritaria come la nostra. Noi dobbiamo proporre un’alternativa di governo per il Paese. Ciò che conta di più, per i nostri elettori, è una buona risposta sui temi economici e sociali. Berlusconi usa le leggi ad personam anche come armi di distrazione di massa. Nel senso che vuol portarci a ingaggiare battaglie che dubito siano in cima alle aspettative degli elettori. Adesso il punto vero è chi deve pagare lo tsunami inflattivo che si sta scaricando sui redditi medio-bassi e sulle imprese che lavorano per il mercato interno.
Altro punto dolente: il segretario. Veltroni è indebolito. Quanto si può andare avanti con un leader azzoppato?
Io sostengo Veltroni con convinzione, e con le mie convinzioni. Se ci sono croci da portare, bisogna portarle insieme. Non mi piace questa continua discussione sulla questione del leader e la trascuratezza del collettivo.
Non le piace l’idea dell’uomo solo al comando…
Noi non diventeremo mai come Berlusconi. Per la nostra gente il problema numero uno è organizzare un collettivo. Non credo che oggi ci sia un problema Veltroni, ma c’è il problema di organizzare il partito, metterlo nella sua fisiologia. Bisogna attivare un meccanismo di corresponsabilità. E su questo il segretario per primo deve dare una mano. Anche nel suo interesse.
E perché mai nel suo interesse?
Un leader, chiunque sia, non può farsi carico di tutto, e dove non arriva lui può arrivare il collettivo.
Che intende per collettivo?
Un meccanismo vero di partecipazione e una selezione di gruppi dirigenti che abbiano misurato un rapporto solido con la realtà.
Torno alla questione più scabrosa: quanto si può andare avanti con un leader azzoppato?
Entrati nella fase fisiologica, il leader è il garante di una piattaforma politica. Al congresso del 2009 può darsi che si misurino diverse piattaforme. Vedremo.
Si è pentito di non essersi candidato contro Veltroni alle primarie del 2007?
Ci ho pensato molte volte e resto convinto di aver fatto bene. Ma vedo nella nostra partenza un limite. Gli antichi partiti avrebbero dovuto dire più chiaramente che si andava verso qualcosa di nuovo, che ci si andava a rimescolare. Invece c’è stata un’ambiguità che ci sta nuocendo.
Che Pd vorrebbe lei?
Un partito che sia liberale, e davvero, in economia, ma fermo nel non affidare al mercato la salute, la sicurezza e l’istruzione. Che creda nella fedeltà fiscale, con un fisco progressivo e redistributivo. Che sia popolare nell’organizzazione e nel linguaggio. Che non abbia paura di parole come sinistra e cattolicesimo democratico. Che sia di combattimento e che non agisca sulla base degli umori del giorno.
Al congresso ci sarà anche la piattaforma Bersani?
Non lo so.
Intanto, alla mappa del Pd manca ancora la corrente bersaniana.
Gli affluenti servono se c’è un fiume. E qui mi sembra ci siano preziosi affluenti ma troppo poco fiume. Quanto a me, sono uomo di fiume.
Fonte: Panorama - Stefano Brusadelli | vai alla pagina » Segnala errori / abusi