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Dichiarazione di Laura BIANCONI

Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: FI) 


 

SENATO/ENGLARO. BIANCONI (PDL): DIFENDERE LA VITA VA BEN OLTRE IL PROPRIO CREDO E NESSUN GIUDICE PUO’ IMPEDIRLO.

  • (29 luglio 2008) - fonte: CesenaLibera - inserita il 29 settembre 2008 da 818
    “La palese ingerenza nella sfera della potestà costituzionalmente attribuita al potere legislativo da parte della corte di Cassazione prima e dalla Corte d’Appello di Milano poi ci obbliga a ricordare ai giudici che il loro compito è quello di applicare le leggi e non di farle.” Così la senatrice Laura Bianconi vicepresidente dei senatori del Pdl, intervenendo oggi in aula in merito al voto sul conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato con riguardo alla sentenza dalla Corte di cassazione e alle decisioni successive a proposito del caso della giovane Eluana Englaro. “Mi dispiace - precisa la senatrice - che i colleghi dell’opposizione invece di considerarla per quello che è, una sentenza sbagliata, l’abbiano issata a bandiera ideologica. Questa sentenza mina profondamente quel principio di non disponibilità della vita umana che è proprio della nostra tradizione culturale; essa è viziata da una erronea concezione - continua -che ci fa concepire la vita di una persona in stato vegetativo come sola vita biologica, ma il valore di un essere umano, e i diritti che gli vengono riconosciuti sono strebianconi2_2008.jpgttamente correlati dal fatto che la persona è viva, non dalle sue condizioni di vita. Quello che si vuole fare, permettendo l’interruzione di basilari azioni per il sostentamento fisico di chiunque quali la nutrizione e l’idratazione, porta alla legittimazione di un vero e proprio abbandono terapeutico di Eluana, esattamente come lo è stato per di Terry Schiavo. Oggi noi ci accingiamo a decidere se è giusto che sia l’uomo a porre un limite al diritto di vivere. Votando questa mozione desidero dare un messaggio che sia di esempio per le future generazioni- conclude la senatrice del Pdl - perché abbiano sempre presente che difendere la vita e il diritto naturale va ben oltre il proprio credo e la propria confessione di appartenenza. Preservare questi principi rappresenta un messaggio positivo per tutte quelle famiglie che in questi anni, spesso in assenza di riflettori e di aiuti da parte delle strutture pubbliche, hanno amorevolmente accudito i propri cari. Il loro esempio deve essere la nostra ispirazione a lottare contro una visione dell’uomo che vale solo se perfettamente sano.” Roma, 29 luglio 2008 Intervento in Aula della Senatrice Laura Bianconi, riguardo a sentenze giurisdizionali sul caso Eluana Englaro Signor Presidente, Colleghe e Colleghi, dei tanti interventi tenuti in quest’Aula quello che mi accingo a svolgere è, senza dubbio, il più sofferto ed impegnativo perché coinvolge un aspetto della nostra esistenza per me essenziale, quello di valutare se è giusto che sia l’uomo a porre un limite al diritto di vivere. Quello che fino ad oggi era considerato patrimonio di tutti con questa sentenza è stato stravolto. L’invasione di campo operata dalla Corte di Cassazione e conseguentemente dalla Corte d’Appello di Milano, nella sfera della potestà costituzionalmente attribuita al potere legislativo, risulta palese; e spiace che i colleghi dell’opposizione, invece di considerarla per quello che è, una sentenza sbagliata, l’abbiano issata a bandiera ideologica. I giudici, occorre ribadirlo, applicano le leggi, ma non le fanno, e forse hanno, abbiamo, dimenticato che esiste la Costituzione ed il Codice Penale. Non ci troviamo quindi davanti ad un vuoto legislativo, ma anche se così fosse, non spetta ai giudici la competenza di colmarlo. Si tratta, dunque, di un’intromissione a gamba tesa, non solo scorretta e irriguardosa, ma assunta in totale mancanza di buona fede perché consapevoli, i giudici della Suprema Corte, che in caso di mancanza di una legge ordinaria il nostro ordinamento giuridico non lascia alcun potere legislativo all’organo giudicante, come invece avviene nei sistemi anglosassoni, ma anzi prevede che ci si debba attenere alle altre fonti di diritto interno, prima fra tutte la nostra Costituzione, la quale in nessuna parte, neanche nel sempre menzionato articolo 32, ravvisa che si violi il rispetto e la dignità della persona se si provvede a fornirle cibo e acqua. A questo si aggiunga che gli articoli 575, 579 e 580 del Codice Penale, che sanzionano rispettivamente l’omicidio, l’omicidio del consenziente e l’istigazione e l’aiuto al suicidio, tutelano in modo incondizionato il principio di indisponibilità della vita umana, non solo quella altrui, ma anche quella propria. A tal proposito voglio ricordare quanto dichiarato da un grande giurista italiano quale Giuliano Vassalli: “Secondo il diritto positivo vigente italiano, io non trovo una base per la decisione della Suprema Corte di Cassazione. Non trovo, ripeto, la base giuridica rispetto al diritto vigente, il qual contempla ancora all’Art. 580 del Codice penale, il delitto di aiuto al suicidio, in qualsiasi modo possa essere dato. Questo vale anche se fossero vere le interpretazioni sulla volontà della persona di non voler vivere in certe condizioni. Il divieto di aiuto al suicidio è inoltre rinforzato dall’art. 579 che riguarda l’omicidio del consenziente. Allora non so da quali principi del diritto vigente si possano trarre decisioni simili a quelle riguardanti il caso Englaro. Le leggi scritte esistono: possiamo discutere da punti di vista sentimentali, ideali, di principio. Ma dal punto di vista del diritto positivo non ci sono equivoci possibili. Non posso far altro che ribadire la mia impotenza a trovare un fondamento giuridico positivo a favore di quelle decisioni giudiziarie.” Detto questo, non possiamo non entrare nel merito della vicenda. Più passano i giorni più appaiono chiari gli errori commessi da quei magistrati sulla vicenda di Eluana Englaro, come confermano i medici e autorevoli giudici, perché in essa non si ravvisa nessuna forma di accanimento terapeutico. Ci sentiamo di affermare che con questa sentenza si introduce in Italia un precedente giurisprudenziale, a cui inevitabilmente faranno riferimento future analoghe richieste, che ha tanto il sapore di una eutanasia mascherata. Ci siamo collocati anche noi su quel piano inclinato lungo il quale la discesa sarà inarrestabile. La metodologia è sempre la stessa, crudele e diabolica, si prende un caso e su questo si confeziona una bomba ad orologeria pronta a deflagrare al momento più opportuno. Questa sentenza mina profondamente quel principio di non disponibilità della vita umana che è proprio della nostra tradizione culturale; essa è viziata da una erronea concezione antropologica che ci fa concepire la vita di una persona che si trova in stato vegetativo come una sola vita biologica. Questa sentenza legittima forme di abbandono terapeutico; quindi il non prendersi cura di persone che non sono in grado di intendere e di volere o non sono in grado di manifestare la loro volontà, con il pericolo che venga, quindi, chiesta analoga interpretazione in casi anche molto diversi da quello di Eluana Englaro. Il valore di una persona, e i diritti che le vengono riconosciuti, sono strettamente correlati dal fatto che la persona è viva, non dalle sue condizioni di vita. Nello specifico la sentenza si basa su opinioni espresse da Eluana quando, poco più che adolescente, ancora non poteva neppure ipotizzare quale sarebbe stato il suo destino, e non credo che queste siano prove sufficienti a dedurre un presunto consenso a interrompere una terapia o ciò che serve ad ognuno di noi per vivere. Nel caso di Piergiorgio Welby il Tribunale di Roma ricorda che la “natura eccezionale del rifiuto deve essere personale, ovvero provenire dal titolare, non esercitabile tramite rappresentate legale”. Una volontà, quella del paziente, che non può comunque prescindere dal giudizio clinico, in un rapporto medico-paziente di importanza fondamentale. Deve perciò essere consapevole, informato e attuale. Vale la pena a questo punto ricordare la Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e sulla bio-medicina. All’art.9 si prevede che i desideri precedentemente espressi dal paziente, che al momento di un trattamento medico non è in grado di manifestare la sua volontà, saranno tenuti dal medico in considerazione, ma certamente non costituiscono un obbligo. Oggi invece si desume, si ricorda, e anche se ciò fosse il manifesto di una volontà libera, tale volontà sarebbe ancora oggi attuale? E in questi presunti stili di vita sarebbe compresa anche la cessazione dell’idratazione e dell’alimentazione? E se nel frattempo le cose fossero cambiate? La Cassazione in passato si è più volte pronunciata in difesa del diritto di pentirsi delle proprie scelte. E comunque non si prendono decisione così importanti su espressioni rilasciate in un momento della propria esistenza a prova di un proprio convincimento, non lo si fa neppure in circostanze che riguardano questioni esclusivamente materiali, come le volontà testamentarie, per le quali nessun giudice si fiderebbe di quello che una persona avrebbe detto in vita ma richiederebbe, nel rispetto dell’ordinamento, una volontà certa, manifestata in modo inoppugnabile. Purtroppo questa sentenza farà scuola, aprirà la strada ad una giurisprudenza volta non certo a nuovi diritti o a nuove tutele, ma a forme di chiari abbandoni terapeutici. 1. La sentenza che condanna a morte certa Eluana contiene elementi che ci scuotono e ci tormentano: I giudici in maniera inquietante chiedono ai medici di andare contro il loro codice deontologico e contro le norme del Codici civile e penale. 2. La sentenza contiene delle evidenti lacune dal punto di vista scientifico. La scienza riconosce che non si può parlare di stato vegetativo permanente ma persistente; infatti il concetto di irreversibilità di stato vegetativo è solo probabilistico e non assoluto (due mesi fa si è risvegliata una persona dopo 18 anni). Inoltre i giudici dimostrano di non conoscere i recenti lavori di Adrian Owen, “Nature Neuroscience 2008″, sulla rilevazione dello stato di coscienza attraverso la risonanza magnetica funzionale. Da questi studi è emerso che forme di coscienza, a volte sovrapponibili a quelle di persone sane, sono presenti anche nei pazienti in stato vegetativo persistente che però non possono fisicamente esprimerle. E in casi così delicati, in cui le nostre conoscenze scientifiche sono ancora incomplete, per lo meno per buon senso, dovrebbe valere il principio di precauzione. 3. La sentenza condanna Eluana a morire di fame e di sete, (altro che buona morte!), in un periodo presumibile di 14 giorni. A riprova del fatto che non è poi così granitica la convinzione che la vita di Eluana sia esclusivamente vegetativa, verrà sedata perché non soffra. Le impediranno l’idratazione e l’alimentazione, e quindi una tipologia di assistenza che non è onerosa, non è pericolosa, non è straordinaria o sproporzionata rispetto ai risultati attesi. Infatti, il Comitato Nazionale di Bioetica, nel suo parere su come valutare l’idratazione e l’alimentazione ha riconosciuto che non erano da considerare trattamenti sanitari o atti medici. Somministrare acqua e cibo, anche per via artificiale, rappresenta sempre un mezzo naturale di conservazione della vita e non un trattamento terapeutico. Il suo uso va considerato ordinario, proporzionato anche quando lo stato vegetativo si prolunga. Un esempio di come poi sia difficile fare marcia indietro una volta iniziata la discesa lungo quel famoso piano obliquo ci viene dato da molti Stati, come la Francia e la Germania, che adesso cercano in tutti i modi di arrestare questa corsa verso la morte, tanto da affermare che l’alimentazione e l’idratazione non sono un atto di accanimento terapeutico. In queste settimane siamo stati tormentati dalla parola “invasivo”, ipotizzando che Eluana venga sottoposta a manovre infermieristiche giudicate particolarmente traumatiche. Ebbene, Eluana respira autonomamente non è attaccata a nessuna macchina, ha solo un sondino che la nutre e la idrata, nulla di così invasivo. Alcuni ipotizzano che in tali condizioni occorre interrompere l’idratazione e l’alimentazione non naturale, ma cosa c’è di più naturale di questo sostentamento vitale di base? L’unica colpa di Eluana è che non riesce a farlo autonomamente. Con questa logica non idrateremo e nutriremo più tutti i bimbi affetti da paralisi celebrale infantile o tutti quei pazienti anziani con grandi demenze? Il giudizio che sta alla base di questa sentenza misura il valore della persona solo in riferimento alla qualità della vita che essa riesce ad esprimere, e questo è francamente inaccettabile. Il nostro ordinamento, la nostra Costituzione, tutelano i più deboli, certamente non li condannano perché più fragili. La legge tutela la vita, primario diritto della persona e non una presunta qualità di vita difficile, anzi impossibile, da definire oggettivamente. Se non la pensiamo così vuol dire che accettiamo e pensiamo che l’eutanasia sia una pratica lecita. Con questa sentenza, se venisse poi eseguita, la magistratura si renderebbe consapevolmente colpevole di aver introdotto l’eutanasia nel nostro ordinamento giuridico. Tutta questa vicenda crea un pericoloso precedente, dal punto di vista etico, culturale e legislativo, che potrebbe aprire anche nel nostro Paese le porte a qualcosa di molto più destrutturante. Stiamo, infatti, prefigurando scenari nei quali verranno meno i capisaldi della buona assistenza socio-sanitaria. Una visione così limitata del valore della vita umana ci dovrebbe far comprendere meglio perché non dobbiamo aprire le porte al testamento biologico e all’eutanasia. Non si farebbe altro che imboccare quel piano inclinato dell’abbandono terapeutico, magari in strutture come gli Hospice, facendoli diventare dei parcheggi di fine vita. Infatti, la sentenza indica che la fine di Eluana avvenga in una struttura idonea ad alleviare le sofferenze: l’Hospice. Il messaggio che emerge è quello che l’Hospice, nonostante tutto l’impegno dei medici e degli infermieri che vi lavorano, si riduce in fin dei conti ad una sorta di cimitero degli elefanti, e ciò contrasta in modo radicale con il pensiero della loro fondatrice Dame Cicely Saunders che aveva definito l’Hospice come luogo di vita, di assistenza e di ricerca. Chiediamoci seriamente, Onorevoli Colleghi, in che mondo viviamo, e soprattutto in che mondo vivremo, se permettiamo che uno Stato, che si definisce civile come il nostro, avalla e sia connivente con una simile sentenza che vuole in vita solo esseri umani perfettamente sani. Difendere la vita e il diritto naturale è espressione appartenente alla ragione umana, a prescindere dal proprio credo e dalla propria confessione. Difendere questi principi non significa rinunciare alla umana comprensione e al riconoscimento del dolore e della fatica di chi quotidianamente vive queste situazioni di difficoltà. Per tale motivo voterò la Mozione in esame. Perché desidero che oggi quest’Aula esprima un voto che sia di esempio per le future generazioni e, soprattutto, rappresenti un messaggio positivo per tutte quelle famiglie, che in questi anni, spesso in assenza di riflettori e di aiuti da parte delle strutture pubbliche, hanno e stanno amorevolmente accudendo i propri cari. Il loro esempio deve essere la nostra ispirazione a lottare contro una visione dell’uomo che vale solamente se è bello, forte e vincente. Roma, 29 luglio 2008
    Fonte: CesenaLibera | vai alla pagina
    Argomenti: salute, bio-etica, diritto alla vita | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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