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Dichiarazione di Massimo D'ALEMA

Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) 


 

Ma noi non siamo né stupidi né ladri. - INTERVISTA

  • (31 luglio 2008) - fonte: Tempi - Luigi Amicone - inserita il 01 agosto 2008 da 31

    «Vi pare che se avessimo un conto all’estero lo chiameremmo fondo “Quercia”?». D’Alema a ruota libera sull’affaire Tavaroli. Di Pietro, Berlusconi, Veltroni. E «le riforme necessarie»

    «A piazza Navona Di Pietro ha fatto un piacere al governo». Niente veltroniani “ma-anche”, semplice realismo. «Detto questo, Di Pietro esiste perché l’hanno votato, perché ha un suo consenso tra i cittadini». Il presidente della Fondazione ItalianiEuropei, nonché della neonata associazione ReD (all’anglais, “Rosso” avrebbe forse avuto l’eco sinistra di un’organizzazione toninegriana da anni Settanta), ci riceve a Roma al primo piano di una antica palazzina di piazza Farnese, stessa piazza, solo rive gauche, che ospita la sontuosa ambasciata francese di Nicolas Sarkozy. Nei piani dell’intervista stabilita settimane orsono, c’è la questione della laicità. Tema che giustamente, visto quel che passa la cronaca di questi giorni, Massimo D’Alema accetta di buon grado di mandare in soffitta. Ed eccolo, il proclamato (da Gianpaolo Pansa) Baffino d’Acciaio. Cuore caldo e cervello freddo, come i comunisti di una volta? Chissà. Porta l’armatura in viso e la corazza nell’anima. È asciutto come un’acciuga e non traspare nessuna felice emozione. Certo è politico all’antica. Niente escamisados alla Barack Obama. Niente bellurie. Niente far finta di essere morette bionde, col tacco alto, il colletto inamidato e le maniche di cotonina arrotolate precise appena sotto il gomito, l’eroismo giovane e bello della nonchalance presidenziale portato anche sul fronte afghano. No, niente cedimenti all’immagine novista. Il principe dei Ds nel Pd è classicamente acchittato, con la sua bella giacca e cravatta bleu (camicia bianca), bello dritto e impettito al suo posto di comando dietro una scrivania presidenziale. È appena tornato da Londra. Studia i dossier. E, soprattutto, ha l’aria di quel famoso tale che aspettava lungo il fiume. Aspettare che? Bè, non certo che passi da un giorno all’altro il cadavere del governo Berlusconi. Però che si sgonfi l’euforia elettorale, la bolla da plebiscito, quello sì. Affina le armi della politica per l’autunno. Lui, gelido, scommette che sarà caldo. «E allora…». E allora nasconde a fatica (e con grande rispetto per la buona volontà del segretario Veltroni), il desiderio di vedere più teso e incisivo l’incalzare dell’opposizione rispetto ai provvedimenti dei primi cento giorni del Berlusconi IV. La sensazione di chi lo intervista è di un uomo che tiene costantemente sotto controllo un sentimento prorompente, duro, pronto a ribaltare il quesito che ai suoi occhi di politico di lungo corso sembra irretire. Così, tra nobile sprezzatura e ferrigna dissimulazione, Massimo D’Alema risponde diretto, senza mai provare a gigionarsi l’interlocutore o ad aggirare le questioni. Va di rasoio e di ago chirurgico. Taglia e cuce. Attacca e apre. Sempre guardingo, poiché, I suppose, pensa che ha da passà ’a nuttata della peggiore primavera che la sinistra italiana abbia conosciuto dal lontano ’48 del secolo scorso. Era il 3 luglio 2008. Massimo spingeva il carrozzino di una creatura sconfitta. E intervenendo alla festa del Pd romano, se ne uscì con queta battuta: «Il Pd è ancora un progetto. Io sono abituato ad avere una tessera, per ora ho ancora un attestato e aspetto trepidante di avere una tessera».
    Presidente D’Alema, le è arrivata la tessera del Partito democratico?
    Mi dicono che siano in distribuzione. Un fatto molto positivo. Sono stato una settimana a Londra ma adesso mi metto sicuramente in pari.
    Le leggo un titolo del Riformista di lunedì 28 luglio: “Contro la crisi l’opposizione appoggi la manovra”. Cosa ne pensa?
    No, non mi pare proprio che la manovra del governo sia adeguata ad affrontare le difficoltà economiche del paese. Non c’è una idea seria di come affrontare la crisi economica. E poi ci sono anche molte cose sbagliate. Tra cui quella sui precari, su cui si è accentrata la polemica in questi giorni. Tanto è vero che persino il governo dice che dovrà fare un decreto per correggere gli emendamenti della sua maggioranza. Sarebbe curioso che li sostenessimo noi… Soprattutto secondo me manca una strategia per affrontare i problemi di fondo. Noi siamo in una crisi internazionale, dove indubbiamente emerge la particolare fragilità del nostro paese, la fragilità del nostro sistema produttivo, la debolezza strutturale della scuola, della ricerca, dell’università. Siccome la manovra del governo taglia soprattutto laddove invece si dovrebbe investire, non vedo che senso avrebbe sostenerla.
    Pare che Fausto Bertinotti abbia commentato l’elezione di Paolo Ferrero alla segreteria del Prc con un «questi sono peggio di Di Pietro, riapriranno tutte le galere».
    Non ho letto questi commenti. Per quanto riguarda il congresso la sensazione è comunque che ci sia stato un riflesso di arroccamento. Insomma una chiusura di natura ideologica. È stata scartata l’idea di uscire dalla crisi con una innovazione politica, di cui certamente Nichi Vendola era più credibilmente interprete. L’esito lascia aperti molti interrogativi, sia per l’asprezza dello scontro interno, sia per la conclusione cui si è giunti. Dopo di che, si giudicherà dagli atti. I partiti vanno giudicati per quello che fanno.
    Non soltanto Giuliano Ferrara, ma anche professori di sinistra come Luca Ricolfi, o lo stesso direttore del Riformista, vi stanno dicendo che il Pd era una bella idea, solo che non attacca, la sinistra sembra liquefatta. Cosa risponde?
    Scusi, qual è la domanda?
    Gliela ripropongo con l’attacco dell’editoriale di Antonio Polito: «Col caldo che fa, non si vorrebbe sprecare energie in cerca della sinistra». Cosa pensa voglia dire il direttore del Riformista?
    Parliamo innanzitutto del Partito democratico. La sinistra è un concetto vago che potrebbe riferirsi anche a partiti di estrema sinistra. Il Pd è un partito di centrosinistra, siamo a luglio, abbiamo perso le elezioni qualche settimana fa. È abbastanza naturale che chi perde le elezioni viva un momento di assestamento. Il centrodestra ebbe situazioni ben più drammatiche. Secondo Gianfranco Fini erano alle comiche finali. Onestamente siamo nel campo delle cose ovvie. Chi perde le elezioni ha un momento di difficoltà e di riassestamento, di riflessione. L’importante è uscire da questa fase e rimettersi a lavorare, come stiamo facendo. L’opposizione la stiamo portando avanti innanzitutto in Parlamento, avanzando le nostre proposte, facendo le nostre battaglie. Man mano che il governo dispiega la sua azione politica, che a mio giudizio è piuttosto deludente rispetto alle promesse fatte e fortemente condizionata dagli interessi personali di Silvio Berlusconi, vedrà che nel giro di qualche mese la situazione si riassesterà e il rapporto tra maggioranza e opposizione si chiarirà. Tra qualche mese avremo la situazione esatta. Per esempio, sul tema del federalismo, vedremo come faranno a tenere insieme la Sicilia di Raffaele Lombardo e i lombardi. Ma insomma, la politica non è mai fatta da una parte sola. L’opposizione non è un’azione unilaterale. L’opposizione si modella sull’azione di governo. Man mano che l’azione di governo rivelerà la sua inadeguatezza, l’opposizione prenderà maggiore nettezza e visibilità.
    Intanto prosegue la raccolta di firme lanciata da Veltroni contro il governo. A proposito, lei ha già firmato?
    Ho firmato, certo. Firmo solo ciò che condivido. Il leader del Pd ha scritto al Foglio rilevando «la totale inaffidabilità di Silvio Berlusconi». Condivide questo messaggio?
    Purtroppo anche in altri momenti della storia nazionale l’onorevole Berlusconi si è rivelato un interlocutore non affidabile per fare le riforme che sono necessarie. Purtroppo. E quindi devo confermare. Berlusconi ha preannunciato per il prossimo autunno tre riforme: elettorale, giustizia, federalismo fiscale. Pensa che ci sia ancora spazio per il dialogo tra governo e opposizione?
    La parola dialogo è fuorviante. Dà la sensazione che si voglia fare qualcosa di non chiaro, di ambiguo, di sotterfugio, mentre i parlamentari eletti in Parlamento discutono, si confrontano sui problemi del paese. È normale. Detto questo, Berlusconi ha indicato dei temi: la giustizia, la legge elettorale, il federalismo fiscale, ma sono annunci, un ensemble di questioni che valuteremo quando saranno avanzate delle proposte in Parlamento. Certo, è venuto il momento di riforme incisive. Però le riforme si fanno se c’è una visione d’insieme. Di proposte ne sono state avanzate.
    Si riferisce al cosiddetto pacchetto Violante?
    Mi riferisco alle proposte che furono elaborate nel corso della precedente legi-slatura, sia nella commissione Affari costituzionali in materia di legge elettorale – la cosiddetta bozza Bianco –, sia in materia di riforme costituzionali, e cioè il testo Violante. Non a caso il procedimento era parallelo, perché le due cose vanno viste insieme. E poi noi, nel convegno promosso da quindici associazioni culturali, tra cui anche la Fondazione ItalianiEuropei, abbiamo lanciato una proposta organica di riforma costituzionale ed elettorale sottoscritta anche da tre ex presidenti della Corte costituzionale. Si tratta di capire in che misura il governo terrà conto delle proposte avanzate sia dalle forze politiche sia da isituzioni e fondazioni culturali.
    E in tema di giustizia, collaborerete a trovare una soluzione all’annoso conflitto tutto italiano?
    Sul tema della giustizia non so bene quali riforme voglia fare Berlusconi. La riforma più importante per lui l’ha già fatta: una legge sulla base della quale non può essere processato. Noi siamo interessati a tutte quelle riforme che interessano gli italiani e che possano rendere più rapida e più efficace la giustizia per tutti i cittadini.
    Non crede che l’uso extralegem delle intercettazioni, l’obbligatorietà dell’azione penale che, come ha detto anche recentemente Luciano Violante, si sia tramutata in una pratica discrezionalità?
    Guardi, noi avevamo già avanzato una leggina per la protezione della privacy. Era già all’esame del Parlamento e siamo dell’opinione che su quella base si possano trovare misure che, non ostacolando le indagini, proteggano la privacy. Questo è un problema serio, perché accadono cose certamente gravi. E questo io lo so, visto che pago di persona. Anche in questi giorni vengono messe in giro voci, si parla di dossier, frutto di indagini illegali, che per legge dovrebbero essere distrutti.
    Si è pentito di essere stato il Pigmalione di Di Pietro al Mugello?
    Innanzitutto fu Berlusconi che propose Antonio Di Pietro come ministro dell’Interno. Cosa che Di Pietro rifiutò. Il secondo Pigmalione di Di Pietro fu Romano Prodi, che quando vinse le elezioni nel 1996 gli propose, in questo caso ottenendo una risposta positiva, di fare il ministro dei Lavori pubblici. Ed entrò a far parte del governo. Io ne sostenni la candidatura al Senato in terza battuta. Non credo dipenda da me il fatto che Di Pietro abbia un peso nella vita politica del paese. Dipende innanzitutto dai giornali, che ne hanno fatto un eroe in certi momenti. E poi dipende dal fatto che Di Pietro ha il consenso dei cittadini.
    Non mi dica che pensa tutto il bene possibile di Di Pietro, dopo quella cosa a piazza Navona, gli attacchi al presidente della Repubblica, il richiamo alla “mazza”.
    Io penso che quando uno ha un consenso tra i cittadini è meglio che la politica la faccia in Parlamento piuttosto che in giro per le strade.
    Non ho capito se lei è più a destra del segretario del Pd, il quale risulta abbia preso una certa distanza dal capo dell’Italia dei Valori. Lei no?
    Siamo all’opposizione insieme, ma è evidente che facciamo opposizione in modi diversi. Certo, piazza Navona ha rappresentato un momento negativo. Gli attacchi immotivati al presidente della Repubblica, al Santo Padre, le volgarità inutili, hanno fatto il gioco del governo. E quando l’opposizione fa il gioco del governo vuol dire che non fa bene l’opposizione.
    Veniamo al caso che la riguarda: le affermazioni dell’ex capo della security Telecom Giuliano Tavaroli su un presunto conto segreto, l’Oak Fund, il fondo Quercia, raccolte da Repubblica in un articolo che ha rilanciato alcune carte scelte dell’inchiesta sugli “spioni” della compagnia telefonica.
    Tutta questa storia è rivelatrice di diverse cose preoccupanti e negative. La prima riguarda il fatto che con tutta evidenza sono state fatte – e non è la prima volta che viene alla luce – indagini illegittime sul nostro partito. Noi abbiamo avuto la percezione di essere oggetto di indagini illegali. Tanto è vero che presentammo un esposto denuncia due anni fa alla procura della repubblica di Milano. Esposto che non ha avuto seguito e che prendeva spunto dalla circolazione illegittima di intercettazioni telefoniche, che all’epoca non erano nemmeno state trascritte dai magistrati, ma che vennero pubblicate dai giornali. Parte di queste cose raccolte attraverso indagini illegittime furono pubblicate dal quotidiano La Stampa. Li ho denunciati e sono in attesa ormai da più di un anno, per un articolo in cui si parlava di conti esteri, che noi non abbiamo mai avuto e non abbiamo. Perciò, noi vogliamo capire…
    … capire da chi vi viene l’accusa di avere incassato tangenti sull’affare Telecom?
    Sono stupidaggini. Fra l’altro i legittimi proprietari di questo Oak Fund si sono manifestati e la cosa non ha nessuna consistenza. È tutta una montatura. Per essere detentori di un fondo chiamato “Quercia” bisognava essere stupidi oltre che ladri. Noi non siamo né ladri né stupidi. Quindi si tratta di una montatura che è stata costruita da qualcuno. Vorremmo capire chi è. E vorremmo anche che la magistratura facesse luce su queste indagini illegali.
    Mi pare di ricordare che il primo accenno a questa cosa dell’Oak Fund era contento nel libro di Oddo e Pons L’affare Telecom (Sperling&Kupfer), pubblicato nel luglio 2001, all’indomani della sconfitta dell’Ulivo…
    Sicuramente hanno operato spie, provocatori, hanno cercato in vari modi di danneggiare la nostra immagine, infangarci, colpirci, anche perché quella vicenda ha toccato interessi forti nel paese. C’era volontà di vendetta, senza che mai si concretizzasse nulla. Perché non c’è nulla da trovare e non c’è nessun particolare retroscena da scoprire. Però adesso vogliamo che sia chiarito molto bene chi ha messo su questi dossier, chi ha fatto queste indagini, chi ha concepito questa aggressione mediatica. Perché, ripeto, sul piano giudiziario non c’è nulla di nulla. Si tratta di una operazione non dissimile a quella che fu fatta per Telekom Serbia. Probabilmente ambienti analoghi, o dello stesso genere.
    Ha accennato all’aggressione mediatica. Cosa intende?
    Intendo che c’è naturalmente da capire perché questa robaccia che già era uscita, che girava da tempo, in questi giorni è stata riproposta con tale clamore da Repubblica. Una operazione che io trovo molto grave sul piano professionale. Sul significato politico per adesso sospendo il giudizio. Anche se qualche idea viene alla mente.

    Fonte: Tempi - Luigi Amicone | vai alla pagina
    Argomenti: giustizia, partito democratico, magistrati, D'Alema, riforma giustizia, Stampa, giornali, D'Alema Massimo, Prodi Romano, Ds, Telecom, Ulivo | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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