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Dichiarazione di Massimo D'ALEMA

Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) 


 

«Praga ’68 così diventammo antisovietici» - INTERVISTA

  • (15 agosto 2008) - fonte: L'Unità - Umberto De Giovannangeli - inserita il 17 agosto 2008 da 31

    Un viaggio nel tempo. Una riflessione a cavallo della testimonianza personale di chi visse in presa diretta quelle drammatiche giornate di quarant’anni fa e le riflessioni maturate nel corso del tempo da quel ragazzo allora diciottenne divenuto un leader politico e di governo: Praga ’68 nelle considerazioni di Massimo D’Alema. Considerazioni che partono dall’oggi e dal conflitto che, quarant’anni dopo, vede ancora impegnati i carri armati russi.
    Quarant’anni dopo l’agosto di fuoco a Praga, di nuovo un conflitto armato, quello con la Georgia, vede protagonista la Russia. Qual è la tua valutazione di una crisi che non può dirsi ancora conclusa?
    «Innanzitutto speriamo che l’iniziativa politica e diplomatica riesca effettivamente a fermare la violenza e ad evitare un’escalation del conflitto. È evidente che i conflitti di oggi hanno una natura fondamentalmente diversa. Allora fu determinante l’elemento ideologico, e cioè la volontà di stroncare sul nascere un esperimento di socialismo democratico che avrebbe potuto destabilizzare l’impero sovietico e i Paesi dell’Est. Oggi è la difesa di una sfera d’influenza russa in aree geograficamente ed economicamente strategiche, in particolare nell’Asia centrale. E rimane una forte carica nazionalista che è anche il lascito di una lunga stagione imperiale.

    Naturalmente non si può accettare una politica di ingerenza e l’uso indiscriminato della forza da parte della Russia. L’Occidente è stato, in realtà, sostanzialmente passivo anche di fronte alla tragedia della Cecenia. Tuttavia anche il nazionalismo georgiano non può essere sostenuto in modo acritico. È stato un errore dare la sensazione di una politica di allargamento della Nato che portava con sé forzature come quella del sistema antimissile che hanno accentuato la sensazione di un accerchiamento della Russia, rafforzando le posizioni più militariste e antioccidentali al suo interno. In una regione che è un mosaico di nazionalità e luogo di potenziali (e in parte già in atto) terribili conflitti religiosi, l’unica politica ragionevole è quella del dialogo e del rispetto di tutte le minoranze, sia da parte deLla Russia che dei nuovi Stati ex sovietici».
    Gli sforzi diplomatici in atto per dare soluzione alla crisi tra Mosca e Tbilisi vedono l’Italia in una posizione defilata. Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, in vacanza alle Maldive, si difende sostenendo che durante la guerra in Libano, due estati fa, l’allora premier Romano Prodi anche lui era in ferie...
    «Con buona pace del ministro Frattini, non mi pare che il governo Berlusconi possa assumere un ruolo di primo piano né una qualche iniziativa politico-diplomatica paragonabile a quella che l’Italia assunse durante la crisi israelo-libanese. Allora vi fu certamente anche una situazione di difficoltà in cui si trovava la Francia e una presidenza dell’Unione Europea affidata alla Finlandia, abbastanza estranea alla vicenda mediterranea. Giocò positivamente anche la credibilità che il centrosinistra aveva non solo nei confronti di Israele ma anche verso il mondo arabo. Per tornare alle vicende in questione, non si possono dimenticare le parole con cui Berlusconi - durante il semestre di presidenza italiana dell’Ue - giustificò senza alcuna remora la repressione russa in Cecenia. Suscitando l’indignazione di tanta parte dell’opinione pubblica europea...
    In ogni caso voglio sottolineare il ruolo positivo che il presidente Sarkozy e il ministro degli Esteri Kouchner stanno svolgendo per conto dell’Europa».
    Torniamo a quei giorni di quarant’anni fa. Quando i carri armati sovietici e del Patto di Varsavia entrarono a Praga tu eri lì...
    «Era il 1968, ero un ragazzo, e, dopo aver concluso una sessione d’esami particolarmente faticosa, perché veniva dopo una stagione di lotte (era l’anno accademico 67-68), andai a Praga attratto dal mito di quello che lì stava accadendo. C’era per la prima volta nel mondo il socialismo dal volto umano: ricordo la gente che discuteva nelle strade, partecipe di uno dei più grandi eventi di quell’anno straordinario. Tempo dopo abbiamo ragionato, riflettuto sul significato che aveva avuto quella rottura storica, la sconfitta della speranza di fare vivere il socialismo diversamente dal modello sovietico. Ma in quei momenti così emozionanti e drammatici, a prevalere fu il dolore, lo shock. Quando tornai in Italia, ricordo che rimasi alcuni giorni senza parlare per quello che era accaduto, per quella tragedia. Praga fu la ragione per la quale la mia generazione divenne "antisovietica", per quanto lo si potesse essere come membri di un Partito comunista. Certamente maturò una frattura incolmabile nei confronti dell’Urss».
    Cosa ha rappresentato per quella generazione la fine traumatica della Primavera di Praga?
    «Sicuramente fu un discrimine epocale. Ricordo che a fine settembre ’68 andai, stavolta come membro di una delegazione della Fgci guidata da Giulietto Chiesa, a Francoforte ad assistere al congresso di scioglimento della Lega degli studenti socialisti tedeschi. Fu un congresso drammatico. Dentro la Lega c’erano diverse componenti: una più estremista (che aveva tra i suoi leader Rudi Dutschke, che aveva subito un attentato, e Wolfgang Lefewre), una componente comunista, una socialdemocratica. La Lega si spaccò proprio sulla Cecoslovacchia, perché i comunisti rifiutarono di condannare l’intervento del Patto di Varsavia. La Lega cessò di esistere travolta dal ’68: dalla rivolta giovanile e dai i fatti di Praga».
    Praga, il ’68 e il Pci...
    «Il Pci fece fatica a rapportarsi a quell’esperienza. Nel ’68, all’interno del partito, si aprì un dibattito faticoso. In realtà il rapporto con l’Unione Sovietica, malgrado la cesura del ’68, continuò a trascinarsi in un modo abbastanza ambiguo per almeno un decennio. Fu solo tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, con la famosa questione dell’"esaurimento della spinta propulsiva", che si completò lo strappo. Oggi si potrebbe dire che in effetti Praga poteva rappresentare l’occasione per lo strappo, perché con Praga la speranza di un’autoriforma del comunismo si era definitivamente esaurita. Questa è la verità. Insomma, a mio parere, le ragioni del nostro legame erano venute meno».
    Guardando a quell’esperienza con gli occhi dell’oggi. Di quel tentativo portato avanti da Dubcek di un socialismo dal volto umano, che cosa resta?
    «Rimane il rapporto essenziale tra il socialismo e la democrazia. La verità, in definitiva, è che noi dopo Praga arrivammo faticosamente a inventarci una Terza via tra socialismo reale e socialdemocrazia. In realtà il nesso tra socialismo e democrazia c’era già nell’esperienza della socialdemocratica europea. Questo è il punto vero, questo fu il passo ulteriore che mancò. A noi mancò la forza di prenderne atto in quel momento. D’altra parte l’unica Terza via che ha funzionato e che ha saputo costruire il socialismo reale è quella tra capitalismo economico e dittatura, non tra economia statale e democrazia. Oggi resta una domanda: era possibile una riforma del socialismo reale in senso democratico? È difficile dirlo, la Storia non si fa con i se. Tuttavia non è neanche vero che tutto ciò che è reale è razionale. Non bisogna essere hegeliani fino al punto di pensare che se il ’68 praghese fallì è perché non poteva essere altrimenti. Non fu possibile dentro quei determinati rapporti di forza, che erano quelli della Guerra fredda. Anche perché se l’Unione Sovietica schiacciò la Primavera di Praga, di certo l’Occidente non la difese. La realpolitik prevalse sulle ragioni del popolo ceko. Da questo punto di vista, il destino di quella speranza, e il suo fallimento, erano scritti nella logica della Guerra fredda, per la quale da questa parte comandavano gli Americani e dall’altra parte i Russi. Se qui si muoveva qualcosa c’erano le "trame nere" e Gladio, di là più rozzamente i carri armati».
    Ma anche il movimento del ’68 di cui tu eri parte, non finì anch’esso per abbandonare Praga al suo destino segnato?
    «Il movimento si divise. Certo, un’ala stalinista considerò Dubcek e i suoi compagni dei revisionisti, mentre quella parte della generazione che s’innamorò di Praga finì soprattutto nella sinistra storica, nel Pci e anche nel Psi. Gli altri che dissero: "No, non è Praga il modello, il modello è invece la rivoluzione culturale cinese", finirono nell’estremismo extraparlamentare».
    Alexander Dubcek, Michail Gorbaciov: posso essere definiti degli eroi tragici?
    «Ho incontrato Dubcek molti anni dopo. Siamo stati insieme un’intera serata, abbiamo parlato di quell’epoca. Era un uomo estremamente semplice, che affrontò con grande dignità una sorta di esilio in patria. Visse una condizione di emarginazione, con l’orgoglio di essere stato protagonista di una pagina importante della storia del mondo. Abbiamo rievocato quel tempo. Dubcek è stato certamente un eroe tragico, fino in fondo comunista anche nel modo come accettò la sconfitta. In fondo avrebbe potuto cercare rifugio in Occidente, magari un rifugio dorato, invece preferì tornare ad una vita modesta nel suo Paese...».
    E Gorbaciov?
    «Una volta rivolsi a Gorbaciov una domanda assolutamente irrituale, durante una cena in forma privata con lui, Raissa Gorbaciova, Vladimir Zagladin e mia moglie. Raissa stava parlando molto male della Russia di Eltsin. Allora io feci una domanda impertinente a Gorbaciov, di quelle che non si dovrebbero fare. Gli chiesi: compagno Michail Sergeevic, visti i risultati, voi non siete pentito di avere abbattuto il comunismo in Russia?...».
    E lui?
    «Lui, invece di prenderla a ridere come fosse una battuta, mi dette una risposta serissima: "Io - mi disse - ho riflettuto su questo. Ma guarda: qualsiasi cosa sia accaduta dopo, quel regime andava abbattuto, perché era mostruoso e perché la identificazione fra gli ideali della sinistra e quel regime era per noi un danno intollerabile».

    Fonte: L'Unità - Umberto De Giovannangeli | vai alla pagina
    Argomenti: europa, democrazia, socialismo, unione europea, Russia, Politiche Europee, Nato, D'Alema Massimo, Unione Sovietica, movimento del ’68, pci, Patto di Varsavia, economia statale, Guerra fredda, Primavera di Praga | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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