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Dichiarazione di Donatella PORETTI

Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) 


 

Prostituzione: Non è con l'ipocrisia che si risolvono i problemi.

  • (09 settembre 2008) - fonte: Radicali.it - inserita il 10 settembre 2008 da 31

    • Intervento della senatrice Donatella Poretti, parlamentare Radicale-Partito Democratico

    Punire e fare la faccia feroce con le prostitute di strada non è la soluzione per risolvere il fenomeno della prostituzione. Occorre intervenire prevedendo regole che integrino nel tessuto sociale e lavorativo chi sceglie di prostituirsi per mestiere. Cosi' l'ho gia' previsto in un disegno di legge presentato col sen. Marco Perduca, rifacendomi a quanto accade da anni in altri Paesi europei, con risultati concreti contro quelle criminalità efferate che nel nostro Paese godono (e continueranno a godere, secondo il Ddl del Governo) di impunità di fatto.

    La soluzione del Governo e' tipica di chi vuol nascondere la spazzatura sotto il tappeto. La prostituta/spazzatura -non interessa se per scelta o perché schiava- se é chiusa in casa non crea problemi, poco importano la sua condizione igienico-sanitarie, i suoi diritti e le sue tutele, basta non vedere.

    La mancanza di regolamentazione giuridica e fiscale equivale anche a nessuna tutela previdenziale e lavorativa, anche per chi esercitera' questo mestiere in una casa di propria proprieta'. Mentre non si capisce perché affittare una casa a chi si prostituisce per mestiere, debba comportare il rischio di favoreggiamento. La pezza sembra proprio non sia meglio del buco!
    Quando il ddl del Governo arriverà in Parlamento darò battaglia in questo senso, proponendo soluzioni adeguate e di respiro europeo. Solo una regolamentazione potra' separare la prostituzione coatta e minorile da quella volontaria, fornendo tutele e diritti e garantendo un efficace contrasto a quella criminalita' nazionale e internazionale che sullo sfruttamento e riduzione in schiavitu' di chi si prostuisce, realizza oggi floridi guadagni.

    Fonte: Radicali.it | vai alla pagina
    Argomenti: prostituzione, europa, regole, criminalità organizzata, radicali al Parlamento | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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Commenti (1)

  • Inserito il 28 novembre 2008 da 3653
    SALVE, VI SCRIVO PER PORRE ALLA VOSTRA ATTENZIONE IL TEMA DELLA RIFORMA DELLA LEGGE MERLIN PROPOSTA CON D.D.L. DAL GOVERNO. A TAL FINE, VI PROPONGO LA LETTURA DI UNA ANALISI CRITICA DEL D.D.L. CARFAGNA, CON PROPOSTE ALTERNATIVE PER AFFRONTARE TALE PROBLEMA SOCIALE. (L’ARTICOLO CHE SEGUE E’ UNA SINTESI, LA CUI VERSIONE COMPLETA E’ CONSULTABILE SUL BLOG: http://spaziolibero.blogattivo.com). CORDIALI SALUTI. GASPARE SERRA ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ LE CRITICHE AL “PROGETTO CARFAGNA”: 1) Per il ministro Carfagna “è giusto proibire la prostituzione non perché siamo moralisti, ma perché fino ad oggi l'Italia è stata terra di conquista per il racket”. Non si può non essere d’accordo sulla necessità di combattere il racket della prostituzione, ma siamo davvero sicuri che costringere, di fatto, le prostitute ad esercitare clandestinamente la loro professione tra le mura domestiche sia un modo efficace e concreto di combattere questo racket? Da cosa si ricava la sicurezza che le donne che si riducono a prostituirsi saranno più libere e sicure semplicemente esercitando nel privato e nell’ombra? 2) Secondo il ministro per le Pari opportunità, la prostituzione è “un fenomeno vergognoso che spesso è connesso alla riduzione in schiavitù, all'uso e all'abuso dei minori, che a volte sfocia anche in fenomeni di violenza come lo stupro, tutti fenomeni strettamente collegati alla prostituzione in strada”. D’accordissimo sulla denuncia del ministro, ma in base a quale dato si può sostenere -come dichiarato dallo stesso- che il d.d.l. presentato sia “uno schiaffo durissimo per togliere linfa al mercato della prostituzione”? Il provvedimento in discussione in Parlamento non vieta la prostituzione “tout cort” -d’accordo o meno che si possa essere- ma si limita a costringere le donne che vendono il proprio corpo a continuare a farlo in luogo privato. Il mercato della prostituzione non sarà affatto abbattuto da una simile riforma ma, al massimo, sarà semplicemente costrette a riorganizzarsi prevalentemente “al chiuso”! 3) Il d.d.l. non regolamenta la prostituzione negli appartamenti né prevede il ritorno delle “case del piacere” (abolite dalla legge Merlin nel ’58). Secondo il ministro Carfagna, infatti, “le case chiuse legittimerebbero la prostituzione, il nostro ddl è invece punitivo. Non la regolamenta ma la contrasta duramente (…) Come donna, le case chiuse mi fanno rabbrividire...”. E’ però altrettanto vero che poca chiarezza il provvedimento fa sulla situazione in cui si troverà chi, come nulla fosse, continuerà (dopo l'approvazione del d.d.l.) a prostituirsi ma in casa o in luoghi chiusi! Vietare la prostituzione in strada (sostengono in una nota congiunta le associazoni Asgi, Gruppo Abele, On the Road, Caritas Italiana, Coordinamento nazionale comunità di accoglienza, Comitato per i diritti civili delle prostitute, Comune di Venezia, Consorzio Nova, Dedalus, Save the Children) spingerebbe le donne verso il sommerso degli appartamenti, dove chi è sfruttato lo sarà ancora di più, invisibile per forze dell’ordine e operatori sociali: “Dinanzi all’allarme e al disagio che diversi cittadini manifestano nei confronti della prostituzione non ci sono scorciatoie: occorre tenere insieme la tutela dei diritti delle vittime di sfruttamento sessuale, il sostegno all’inclusione sociale per chi si prostituisce e vorrebbe una alternativa, il contrasto delle organizzazioni criminali, le esigenze di sicurezza”. Il problema della prostituzione intreccia diverse problematiche: non tanto e non solo la tutela dell’ordine pubblico e del buon costume (non può ridursi, infatti, ad un problema di mera “pulizia delle strade”!) ma anche (ed in primis) della dignità, salute e sicurezza di chi si prostituisce e di chi frequenta il mondo della prostituzione. Il difetto più vistoso della legislazione italiana in materia di prostituzione (accentuato dalla proposta Carfagna) è la mancanza di chiarezza su come affrontare i problemi connessi, il carattere ibrido della normativa in materia, la mancanza di concretezza delle politiche sul tema (intrise di mera ideologia e moralismo). LA “REGOLAMENTAZIONE” DELLA PROSTITUZIONE: L’UNICA ALTERNATIVA POSSIBILE! Risposte serie ad un’emergenza sociale quale quella in analisi non potranno, a mio avviso, mai attendersi finché le forze politiche non la smetteranno di affrontare il problema partendo da preconcetti ideologici e vittime dei condizionamenti della Cei. Risposte concrete non potranno mai aversi sinché non si partirà da un presupposto innegabile: il fallimento delle politiche “proibizioniste”. L’unica strada percorribile ed alternativa alla ingovernabilità attuale del fenomeno della prostituzione è quella di una “parziale” legalizzazione o liberalizzazione di tale professione attraverso la sua regolamentazione. Per comprendere il perché di questo occorre un ragionamento più complessivo. PRIMO PUNTO: Perche non consentire la prostituzione come libera scelta di ogni cittadino, uomo o donna, di concedere prestazioni sessuali a fini di lucro? La prostituzione è una attività immorale, contraria al sentire comune. Pur condividendo un giudizio di condanna morale del fenomeno in sé, occorre non dimenticare che il legislatore non è chiamato ad esprimere giudizi morali nell’esercizio della sua funzione di legislazione e “dovrebbe” sempre mantenere -nell’affrontare ogni questione, specie se eticamente sensibile- un approccio il più possibile laico, obiettivo, rispettoso delle diversità di opinioni e delle minoranze. Per questo la condanna morale nei confronti di chi si prostituisce non è un argomento da solo sufficiente a giustificare un divieto di legge, una legislazione proibizionista che vieti “tout court” l’esercizio di tale attività e limiti pesantemente la libertà di espressione sessuale di ogni persona. Prostituirsi sarà un peccato per la Chiesa, sarà una condotta immorale per la generalità dei cittadini, ma non per questo può divenire una condotta illecita né tantomeno un reato! Vendere il proprio corpo rientra -dispiaccia o meno- tra le libertà personali garantite dalla Costituzione (si veda l’art. 13), che meritano rispetto e tutela nei limiti in cui: a- sono frutto di una scelta “libera e consapevole” di chi (raggiunta la maggiore età) sceglie di prostituirsi b- e non incidono minimamente sulle pari libertà e sui diritti degli altri. Non si può non riconoscere con obiettività che a prostituirsi oggi non sono soltanto soggetti deboli, sfruttati e costretti a vendersi (che vanno aiutati ad uscire dal racket e dalla schiavitù di cui sono vittime!) bensì anche persone che scelgono la strada (o le “suite” d’alto borgo!) come facile scorciatoia per vivere (in luogo di lavorare normalmente e subire altre forme di sfruttamento nel mercato del lavoro) o semplicemente per fare soldi facili. La prostituzione per alcuni è certamente un modo per emanciparsi economicamente! Come si può immaginare, di fronte a questo, che un semplice divieto di legge (per di più in un Paese, come l’Italia, in cui la legalità non è un valore che gode di alta considerazione!) risolva un male sociale e morale millenario, abbatta un fenomeno antichissimo e che non ha mai attraversato crisi?! E’ pura follia! Come è mera ipocrisia far credere il contrario! La politica proibizionista, negli fatti, è servita solo a favorire lo sfruttamento della prostituzione e l’attivismo di “magnaccia” senza scrupoli che hanno vita facile ad approfittare della clandestinità in cui migliaia di donne operano, della realtà sommersa in cui sono costrette a vivere senza diritti e tutele. Proibire “tout court” la prostituzione non è affatto un deterrente per chi sceglie di prostituirsi e, soprattutto, non impaurisce affatto gli sfruttatori, che anzi hanno vita più facile nell’approfittarsi di donne “invisibili”, perciò più sole e indifese. “Reprimere” significa solo “nascondere” il fenomeno, farlo sprofondare nella clandestinità, rendendo più difficile qualsiasi intervento di prevenzione ed aumentando enormemente lo sfruttamento. La libertà di praticare la prostituzione rientra nella libertà di disporre del proprio corpo, è un diritto riconosciuto anche dalla nostra Costituzione (art. 13): “La libertà personale è inviolabile”. Ognuno deve avere la libertà di esprimere la propria sessualità anche attraverso prestazioni a pagamento del proprio corpo, purché, naturalmente, si tratti di persone maggiorenni e consenzienti. Ogni individuo è libero di manifestare la propria libertà nel modo che ritiene più giusto, a patto di non recare danno alla libertà altrui. Questa libertà si deve manifestare senza controlli da parte di alcuno e senza dimenticare che ciascuno di noi ha pieno diritto al rispetto e alla considerazione altrui indipendentemente dalla lingua, dalla religione… e dal modo di esprimere la sua sessualità. SECONDO: Perché non consentire l’esercizio della prostituzione all’interno di case d’appuntamento autorizzate, possibilmente favorendo la nascita di cooperative tra donne, col doppio risultato di eliminare la prostituzione dalle strade e tutelare la salute e dignità delle donne che la esercitano? Se si riconoscesse la prostituzione come una “professione legale”, si potrebbe regolamentare quest’ultima e sottoporla a restrizioni come per qualsiasi altra attività. Tassare le prostitute professioniste, imponendo delle autocertificazioni di reddito presunto (controllato poi periodicamente dagli enti statali competenti in base al tenore di vita effettivo), avrebbe l’effetto di fare emergere tali donne dal mondo clandestino in cui sono attualmente relegate e di farle uscire dall’emarginazione sociale. Regolamentare la loro attività, poi, consentirebbe loro, ad esempio, la possibilità di stipulare contratti assicurativi con compagnie private, al fine di ottenere una pensione. Prevedere una autorizzazione pubblica per lo svolgimento della professione consentirebbe, poi, di valutare la sostenibilità sociale dell’apertura di una “casa chiusa” in un determinato quartiere e di controllare il mantenimento di condizioni igienico-sanitarie sicure. La libera professione dovrebbe quindi essere svolta in ambienti propriamente ad essa adibiti, dove andranno seguite specifiche norme igienico-sanitarie (pulizia dei locali, uso dei profilattici, visite periodiche e certificati sanitari, test HIV, sia per gli/le operatori/operatrici del settore che per i clienti). Le case chiuse saranno pure abominevoli però occorre riconoscere che sono un luogo più sicuro e più civile della strada per prostituirsi! Esistono donne che scelgono di prostituirsi come male minore. Guardando il fenomeno con realismo e ponendosi il problema della loro vulnerabilità e sicurezza, sarebbe ragionevole favorire la nascita di “libere case autogestite” (una sorta di “cooperative del sesso”) che renderebbe le donne, unite, più forti e capaci di resistere alle pressioni della criminalità. Ciò dovrebbe contribuire, in primis, a debellare l’organizzazione e la gestione malavitosa e criminale del commercio del sesso, diventando quest’ultimo libero ed indipendente da ogni tipo di sfruttamento. Chiunque opererà in questo mercato sarà libero di negoziare direttamente con il cliente le condizioni delle prestazioni ed il compenso. Ciò aiuterebbe a togliere molte persone dalla strada, mettendole al riparo dalla violenza e dal freddo. Personalmente, poi, non ritengo lesivo della dignità di chi si prostituisce per libera volontà prevedere forme di registrazione di chi si prostituisce (oltre che delle case chiuse esistenti), a tutela delle stesse donne: questo è l’unico modo per consentire un ottimale controllo statale del reale stato di libertà in cui le donne operano. L’idea di fondo, quindi, dovrebbe essere quella di rendere l’esercizio della prostituzione un’attività libera ed indipendente, ma da svolgersi in determinati luoghi, con specifiche caratteristiche di sicurezza, mettendo ordine e controllo in tale mercato, rispettando allo stesso tempo la libertà di chi si prostituisce e la sensibilità di molti cittadini. Ciò dovrebbe comportare una modifica della legge Merlin nella parte in cui considera “favoreggiamento” l’affitto da parte di privati dei locali sopraccitati ed “adescamento o sfruttamento” la frequentazione di questi ambienti da parte dei clienti, a meno che chi esercita la prostituzione non sia registrato oppure sia minorenne. TERZO: Perché non affiancare, alla legalizzazione della prostituzione, piani di reinserimento sociale ed aiuto assistenziale per coloro costrette sui marciapiedi solo per necessità economica, ma che vorrebbero cambiar vita? Perché non offrire un permesso di soggiorno sicuro per le donne extracomunitarie che decidono di denunciare i loro sfruttatori? Molto più dei divieti, sarebbe necessario avviare politiche sociali (quasi del tutto assenti in Italia) volte a migliorare la condizione della donna e a far sì che per nessuna persona la strada della prostituzione, pur se accessibile, divenga l’unica opportunità per vivere, l’unica alternativa all’emarginazione economica (a tal proposito, si propone la lettura dell’articolo su “La difficile condizione d’esser donna”, pubblicato su: http://spaziolibero.blogattivo.com ). I veri responsabili della prostituzione non sono individuabili solo nei clienti (che mai, purtroppo, mancheranno) ma soprattutto nella povertà, nella miseria, nelle situazioni di disagio e di mancanza di valori. Per contrastare la “libera prostituzione” (cioè volontariamente scelta) le politiche di ordine pubblico e di sicurezza non approderanno mai a risultati. Ovviamente c’è una ragione (tra le tante) di tale “miopia” del legislatore, che lo spinge a pulirsi la coscienza semplicemente vietando la prostituzione: un divieto penale non costa nulla (specie quando, passando dalla carta alla strada, è destinato a rimanere inattuato), le politiche di sostegno economico e morale alle fasce più disagiate della Società, invece, hanno costi elevati che nessuno è disposto a sostenere! QUARTO: Perché, piuttosto che criminalizzare le donne, non puntare ogni sforzo per avviare una campagna culturale e di educazione che contribuisca, in generale, a rendere la Società in cui viviamo -per molti aspetti- migliore di come si presenta oggi? Condurre crociate contro la prostituzione in una Società che giornalmente, tramite tv e mass media, mercifica il valore della donna, propone modelli culturali aberranti e istiga ad una visione morbosa del sesso nei giovani è ipocrita e puramente ideologico! Vendere il proprio corpo è cosa grave, non solo per la morale comune ma anche per i rischi che ne riceve la salute e soprattutto la dignità della personale. Concedersi a pagamento perché altri facciano del proprio corpo quello che vogliono è mostruoso! E’ difficile, però, condannare credibilmente il fenomeno -specie agli occhi dei giovani- quando i messaggi che la Società trasmette loro sono che viviamo in un mondo di pura immagine, in cui apparire è tutto ed ogni compromesso è lecito per avere successo o far carriera! L’atto sessuale dovrebbe essere compiuto solo per amore: svilirlo con l’offerta di denaro rende l’uomo più simile ad un animale ed il rapporto in sé un rapporto senz’anima, senza emozioni, intriso della più grezza sessualità! Ma come è possibile educare i giovani ad un rapporto non traumatico o esagitato col sesso se, in famiglia o nelle scuole, il sesso continua ad essere un tabù? Per questo l’educazione alla sessualità dovrebbe normalmente comparire nei piani di studio scolatici fin dalla più tenera età. QUINTO: L’obiettivo indiscutibile su cui si dovrebbe focalizzare il legislatore dovrebbe essere univoco e ben identificabile: vietare ogni forma di prostituzione quando questa: a) lede le libertà e/o i diritti degli altri b) lede i diritti dell’infanzia c) oppure non è frutto di una scelta “libera e consapevole” della donna bensì conseguenza di sfruttamento. In primo luogo, la prostituzione, come ogni libertà, va incontro a dei limiti costituiti dalle pari libertà degli altri. Per tal ragione, in nessun caso dovrebbero ammettersi forse di prostituzione, ad esempio, lesive dell’ordine pubblico o del buon costume. I marciapiedi delle nostre città, invece, sono pieni la notte di donne (in specie straniere: nigeriane, cinesi, russe, ucraine, slovene, albanesi…) che senza pudori mettono in vetrina il proprio corpo ed adescano i clienti. Questo non é certo uno spettacolo che può riempire d’orgoglio un paese civile e, soprattutto, non è rispettoso della gente che vive in questi quartieri, costretta a rinchiudersi in casa per non assistere a spettacoli osceni e ad aver paura per gli esempi dinanzi agli occhi dei propri figli. Non è gretto moralismo ma semplicemente il legittimo interesse a vivere in un ambiente sano, civile e vivibile, a misura di ogni persona (anche, non dimentichiamo, dei bambini). Per questo la prostituzione in strada (in luogo pubblico o aperto al pubblico) non andrebbe tollerata bensì espressamente vietata (in tal senso, è condivisibile il d.d.l. Carfagna, il quale, però, risulta ipocrita nel momento in cui non ha il coraggio di regolamentare la prostituzione “indoor” e di affrontare il problema realisticamente ed a 360 gradi). L’unica strada per rendere efficace il divieto di prostituzione in pubblico, allora, non è tanto colpire le donne bensì perseguire i clienti, che alimentano tale mercato sessuale (e spesso arricchiscono gli sfruttatori): paventare il pubblico scandalo è l’unico deterrente possibile per gli uomini! Non si tratta di “ghettizzare” il fenomeno (come avvenuto in epoca fascista e come si rischia col d.d.l. Carfagna), dovendosi contestualmente legalizzare e regolamentare la prostituzione a tutela delle donne. Il vero problema, dunque, non è la libera prostituzione in sé (essendo ognuno libero di scegliere come condurre la propria vita) bensì quando l’esercizio della professione intacca i diritti e le libertà altrui. SESTO: In secondo luogo, la libertà di prostituirsi non può essere intesa in termini “assoluti” anche e soprattutto con riferimento all’età di chi si prostituisce: a nessun minorenne può essere riconosciuto il diritto di vendere il proprio corpo, anche quando si configura come una scelta “più o meno” libera! Il problema, poi, diviene dramma se si fa riferimento ai minori costretti a prostituirsi e sfruttati, spesso ad opera delle stesse famiglie, senza alcuna umanità! In questi casi si è in presenza di puri e semplici “crimini contro l’umanità”, per i quali la severità della repressiva penale dovrebbe essere massima stante le tragiche conseguenze psico-fisiche che le vittime pagheranno sulla loro pelle per il resto della loro vita! SETTIMO: In terzo luogo, il dramma della prostituzione si rivela anche in riferimento al racket della prostituzione, allo sfruttamento di giovani donne (specie straniere) da parte di organizzazioni criminali, a scopo esclusivo di lucro; spesso donne dell’est europeo o del nord Africa, ingannate da uomini senza scrupoli che si spacciano per loro benefattori promettendo una nuova vita nel ricco Occidente. Le stesse considerazioni fatte in relazione alla realtà della pedofilia valgono in tale contesto, essendo lo sfruttamento sessuale della donna da parte dell’uomo, in quanto soggetto debole, parimenti da annoverare tra i “crimini contro l’umanità”! Perché, ad esempio, non punire in modo esemplare gli sfruttatori equiparando lo “sfruttamento della prostituzione” al “sequestro di persona”, così da garantire pene severe per chiunque abusa di una donna, la usa a fini di lucro e ne limita la liberta? Gaspare Serra (http://spaziolibero.blogattivo.com )

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