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«Si rischia l´implosione sociale» - INTERVISTA
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(15 settembre 2008) - fonte: l'Unità - Eduardo Di Blasi - inserita il 15 settembre 2008 da 31
Jean Leonard Touadì, parlamentare del Pd, ricava tre considerazioni dai terribili fatti di Milano. La prima è che «la metropoli violenta non ha colore politico». E spiega: «Anche a Milano dove c´è un assessore tutto d´un pezzo queste cose accadono. Questa violenza di matrice a volte razzista a volte fascista ci interroga. Non può essere derubricata ogni volta come fatto di balordi perché dietro "i balordi" c´è una pigrizia nel cercare di capire profondamente che cosa sta accadendo nelle nostre periferie, ai nostri ragazzi».
È solo una questione di città violenta?
«No, accanto c´è un clima che io ho tante volte stigmatizzato come il frutto della "costruzione di un nemico". E in questo caso il nemico non è tanto la razza diversa ma lo straniero in generale che viene visto come il condensato di tutti i mali, dalla criminalità al degrado. Questo clima non dico che incoraggi o fomenti, ma offre sicuramente una spalla all´intolleranza. E non sono sicuro che un Paese che ospita quasi tre milioni di immigrati regolari che lavorano e hanno figli nati in Italia, possa permettersi il lusso di stigmatizzare e mettere ai margini tre milioni di persone. Fare questo significa preparare per il nostro Paese, per le nostre città, un clima da implosione sociale. E quando magari ci metteremo mano sarà troppo tardi perché la rabbia, la frustrazione, i rancori, saranno già cresciuti».
Il ragazzo ucciso, Abdul, era italiano...
«È la grande questione che riguarda le seconde generazioni. Persone nate in Italia da genitori stranieri, che frequentano le nostre scuole, imparano Manzoni e Ungaretti come tutti gli altri, tifano per le squadre delle rispettive città, ne parlano il dialetto, ma che noi ci ostiniamo, perché hanno un colore di pelle diverso, perché hanno una religione diversa, a considerare come "immigrati". Sbagliando anche dal punto di vista letterale della parola, perché uno che non si è mai mosso dall´Italia non immigra. In questa contraddizione semantica sta il nostro ritardo culturale nel cogliere questo fenomeno nella sua vera natura e nell´evoluzione che ha avuto».
Secondo lei c´è stata una crescita della violenza contro gli stranieri?
«Io penso al campo rom di Ponticelli. Una vicenda che è stata rimossa in poco tempo. Invece è davvero qualcosa che ha segnato un passaggio. Bambini che sono impauriti perché qualcuno li vuole linciare, questo ha rappresentato davvero nella storia dell´immigrazione italiana un salto. Un salto qualitativo che è una metafora del clima che stiamo respirando. E che gli imprenditori della paura, sotto questo punto di vista, sono riusciti ad instillare nella nostra società. L´imprenditoria della paura ha prodotto questo».
Secondo lei come si esce da questa spirale di odio e violenza sociale?
«Se ne esce intanto riconoscendo le cose per quello che sono. Secondo me non serve a niente continuare a dire: "L´Italia non è più un Paese razzista". Il Paese, certo, non è la Germania hitleriana, però se noi non riconosciamo che c´è un rigurgito di rigetto dell´altro, un rigurgito di xenofobia che bisogna chiamare con il suo nome... Finora abbiamo visto la faccia feroce dello Stato che non esita ad andare a prendere le impronte digitali ai bambini, ma non riusciamo a vedere, di questi tre milioni di persone, perché di persone si tratta, che cosa ne vogliano fare. Una volta uscita dalla fabbrica di Vicenza o dalla cava di marmo del veronese che cosa ne vogliono fare dal punto di vista dell´integrazione sociale? Noi abbiamo lanciata la proposta del voto amministrativo. Ci hanno detto che era intempestiva. Ma dove sta scritto che l´agenda di Berlusconi deve essere l´unica a regnare in Parlamento? Più lasciamo ai margini fette consistenti di popolazione e meno ci sentiremo sicuri».
Fonte: l'Unità - Eduardo Di Blasi | vai alla pagina » Segnala errori / abusi