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Dichiarazione di Rocco BUTTIGLIONE
Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: UDC) - Vicepres. Camera
Legge ok, ma patti chiari. Testamento biologico non significa eutanasia.
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(24 settembre 2008) - fonte: Il Tempo - Rocco Buttiglione - inserita il 24 settembre 2008 da 31
Il filosofo cattolico e la richiesta del cardinal Bagnasco
Si può fare una buona legge sul testamento biologico, come chiede adesso il cardinal Bagnasco, presidente della Cei? In teoria non è difficile, in pratica bisogna prepararsi ad una lotta dura perché molti cercheranno di introdurre l'eutanasia sotto la copertura del testamento biologico.
1. Un primo principio che non deve mai essere perso di vista mi pare che sia il seguente: nessuno può trasferire ad altri diritti che non possiede egli stesso. Il testamento biologico serve a dare indicazioni a chi ci ha in cura sui trattamenti che vorremmo o non vorremmo ricevere. Non possiamo però, attraverso il testamento biologico, dare l'ordine di essere uccisi. Non possiamo dare questo ordine quando siamo coscienti, non possiamo darlo quando siamo incoscienti attraverso il testamento biologico. C'è qui da dissipare un equivoco. Alcuni dicono: la vita è mia e ne faccio quello che mi pare. Il principio è discutibile (si potrebbe sostenere che la mia vita appartiene contemporaneamente alle persone che amo e che mi amano e chi dice "la mia vita appartiene solo a me" deve essere una persona molto sola e molto infelice), tuttavia esso non giustifica l'eutanasia. Al massimo può giustificare il suicidio.
Con l'eutanasia io non dispongo della mia vita. Dispongo contemporaneamente della vita di un altro, al quale do l'ordine di uccidermi. E dispongo di tutta la comunità umana da cui pretendo che imponga a qualcuno di eseguire il mio ordine e che non consideri quel atto come punibile. È evidente che esiste una differenza fra il suicidio e l'omicidio del consenziente.
2. Il trattamento terapeutico è un atto in cui conviene la libertà e la responsabilità di due persone: il medico ed il paziente. Ambedue devono partecipare al medesimo atto con scienza e coscienza. Non è possibile ridurre il medico al livello di un esecutore di ordini che vadano contro la sua coscienza. Medico e paziente sono uniti dal perseguimento di un bene oggettivo che è la salute del paziente. Le indicazioni del paziente nel suo testamento biologico vanno certamente tenute da conto da parte del medico, ma non possono essergli imposte in modo vincolante quando esse contrastino con le regole tecniche e deontologiche della professione medica.
3. Nessun trattamento può essere imposto al paziente contro la sua volontà. In altre parole non è lecito imporre un trattamento sanitario con la forza. Ciò comporterebbe una inaccettabile violazione della dignità umana del paziente. Qui però dobbiamo domandarci in cosa consista la volontà vera del paziente. Quanto più l'espressione di volontà del paziente appare strana e contrario al suo interesse bene inteso, quale lo intenderebbe in genere un tutore legale, tanto più è necessario avere delle espressioni di volontà inequivocabili. E anche quando vi fossero, sarebbero sempre valide?
Immaginiamo, per esempio, che le disposizioni siano dettate in una fase di malattia e di depressione. Siamo sicuri che in quel contesto il soggetto conservi pienamente le sue facoltà di intendere e di volere? Molta gente in una fase di depressione e di disperazione arriva a tentare il suicidio. Dovremo proibire di dare assistenza sanitaria all'aspirante suicida, visto che egli ha mostrato in modo inequivocabile di voler morire e di rifiutare di conseguenza qualunque trattamento medico? In realtà noi agiamo in modo esattamente opposto e l'aspirante suicida in genere è grato a chi gli ha salvato la vita. Noi riteniamo che si possa presumere che l'aspirante suicida non sia pienamente in grado di intendere e di volere. Non possiamo impedirgli di tentare il suicidio, ma possiamo salvargli la vita dopo che ha tentato, e questo è esattamente quello che facciamo.
Cosa faremo con chi rifiuta un trattamento sanitario che può salvargli la vita? Non lo somministreremo se egli attivamente lo rifiuta. E se è incosciente ed ha lasciato scritto di volerlo rifiutare non riterremo che ricorra qui una analogia con il tentato suicidio? Il testamento biologico non può avere l'ultima parola su tutto. Quanto più esso si allontanasse dalla ragionevolezza tanto più il medico avrebbe il diritto ed il dovere di disattenderlo.
4. Esistono circostanze nelle quali è inutile insistere con trattamenti terapeutici che non sono in grado di portare più alcun giovamento e ritardano solo la morte a prezzo di gravi sofferenze per il paziente. In tali circostanze è giusto interrompere il trattamento. Il caso più evidente in cui l'interruzione è lecita e giusta è quello in cui non esistano più possibilità di vita autonoma e la vita venga artificialmente mantenuta dalle macchine. L'insistenza a mantenere il paziente in vita ad ogni costo (il cosiddetto accanimento terapeutico) non è un valore ma un disvalore. Esiste, naturalmente, qui, un'area di indeterminatezza. Qual è il limite oltre il quale comincia l'accanimento terapeutico? Nessuno può dirlo con esattezza e qui è soprattutto preziosa l'indicazione del paziente contenuta nel testamento biologico. All'interno del principio di ragionevolezza e proporzionalità esiste una sfera ampia di indeterminazione nella quale giudice ultimo può e deve essere il paziente.
5. Quando si sospendono le terapie non si può però fare venire a mancare al paziente un elementare sostegno e l'assistenza. Si continuerà a nutrirlo, a dissetarlo, a tenerlo pulito, ad avere cura per quanto possibile del suo benessere. Queste non sono terapie straordinarie, ma atti di semplice assistenza comunque dovuti ad un essere umano che soffre. Privare un essere umano di questa assistenza e cura significa ucciderlo. In modo particolare, privarlo dell'acqua e del cibo significa farlo morire di fame.
Alcuni vorrebbero trattare l'alimentazione artificiale come un mezzo straordinario di cura e quindi interromperla in modo da provocare la morte del paziente. In realtà l'alimentazione artificiale consiste in una piccola operazione che permette di inserire nell'esofago una cannula attraverso la quale passano le sostanze nutrienti. Una volta fatta, alla nutrizione può provvedere personale non specializzato.
Certo, se il paziente è conscio non è possibile imporgli l'alimentazione artificiale. Sarebbe una violazione della sua intimità personale. Ma quando l'operazione sia già stata fatta ed il paziente sia incosciente, è irragionevole sospendere l'alimentazione.
É inoltre evidente che il trattamento, una volta iniziato, non può essere sospeso su semplice indicazione del paziente. Sarebbe come dire che chi è stato salvato da un tentativo di suicidio per annegamento ha il diritto, se cambia idea, di farsi ributtare in mare da chi lo ha salvato.
Su questi principi non è difficile fare una buona legge sulle disposizioni di fine vita.
Fonte: Il Tempo - Rocco Buttiglione | vai alla pagina » Segnala errori / abusi