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Paolo GIARETTA in data 07 settembre 2008
Dichiarazione di Vannino CHITI
Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) - Vicepres. Senato
Non c’è federalismo senza riforme.
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(27 settembre 2008) - fonte: Europa - Vannino Chiti - inserita il 27 settembre 2008 da 31
Di recente sono stato in Svizzera, a Zurigo, invitato dal senatore Claudio Micheloni, presidente della Federazione delle colonie italiane libere ad una manifestazione per il 60° della nostra Costituzione. Per inciso voglio dire che mi auguro che l’attuale governo continui ad attuare e sviluppare il programma delle celebrazioni per questo importante anniversario, in Italia e all’estero. E che se ne dia conto al parlamento. Erano previsti confronti negli istituti italiani di cultura, mostre, concerti; soprattutto coinvolgi - menti delle scuole.
Ma non è di questo che voglio parlare ora, bensì di federalismo, tema dagli anni novanta del secolo trascorso al centro del nostro dibattito politico e culturale, realizzato da secoli nella Confederazione svizzera. Quale lezione si può trarre da una riflessione sulla esperienza elvetica? La prima – marcata – è che in quel paese l’organizzazione confederale ha tenuto uniti in uno stato popoli di culture, lingua, religioni differenti. Il federalismo dunque in tutte le sue versioni è – deve essere – un potente collante di coesione e unità. In Svizzera l’organizzazione confederale svolge anche una funzione di “sterilizzazione” dei conflitti o meglio di una loro possibile composizione istituzionale. In questo quadro a me pare vadano visti il modello di governo confederale – peculiare e certo non esportabile –, il sistema parlamentare, l’istituto del referendum. Il parlamento si fonda su di un sistema bicamerale sostanzialmente paritario, ma mentre la camera registra i rapporti di forza politici, il senato – eletto anch’esso a suffragio universale – prevede per ogni cantone una medesima rappresentanza.
Il referendum promosso sulle leggi richiede per essere valido un “doppio” risultato positivo: è necessaria la maggioranza dei voti espressi dai cittadini, nonché la maggioranza di cantoni. Tradotto in italiano vuol dire che se un referendum ha la maggioranza nel voto dei cittadini, ma non ha successo nella maggioranza delle regioni – che siano grandi o piccole non importa – è respinto. Federalismo dunque è coesione, attenta messa in campo di equilibri e contrappesi, non egoismi territoriali in lotta tra loro per la supremazia. Lo stesso avviene, in Svizzera come in ogni altro paese di tipo federale, per i meccanismi di redistribuzione delle risorse, che devono assicurare solidarietà e uguaglianza di opportunità per i diritti fondamentali dei cittadini.
Volgendo del tutto lo sguardo all’Italia, che cosa sta avvenendo rispetto al percorso di riforme decisive e urgenti per le nostre istituzioni? Il cosiddetto federalismo fiscale proposto dal governo di destra ci si presenta “vicino” nei principi guida – il che sarebbe uno sbaglio sottovalutare – ma ancora confuso negli strumenti per realizzare l’autonomia e responsabilità impositiva di regioni e autonomie locali, oscuro nei conti delle risorse necessarie e della loro rimodulazione tra stato centrale e territori. Né si comprende più in quale quadro istituzionale si inserisca: come verrà riformato il parlamento, quale la forma di governo? So bene che le riforme costituzionali hanno tempi di approvazione più lunghi, ma proprio per questo occorrerebbe avere un quadro di riferimento condiviso. Un cambiamento profondo dello stato da centralista a federale, la costruzione di un robusto contesto di regole ed equilibri che assicurino oggi e domani la solidarietà, non si può fare a colpi di maggioranza. Le istituzioni non si sfogliano come un carciofo. Noi vogliamo portare a compimento le riforme: la destra sembra scegliere sortite di propaganda, condite con un pizzico di concessioni alla Lega, quasi che le riforme fossero una rendita da spartire.
Si vuole procedere sul serio? Non vedo alternative alla approvazione alla camera e al senato di una mozione che contenga indirizzi precisi per la riforma del parlamento, del governo, delle leggi elettorali. Su questa base poi si potranno individuare strumenti e tempi di lavoro, che siano le commissioni affari costituzionali oppure – in sede redigente – una qualificata commissione di esperti. Se si resta alle furbizie tattiche o al piccolo cabotaggio, passerà invano un’altra legislatura. L’Italia non può permetterselo.
Fonte: Europa - Vannino Chiti | vai alla pagina » Segnala errori / abusi