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Dichiarazione di Renato BRUNETTA

Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: FI)  -  Ministro  PA e innovazione (Partito: PdL) 


 

Il clima che serve all’Italia

  • (22 ottobre 2008) - fonte: Il Riformista - Renato Brunetta - inserita il 22 ottobre 2008 da 31

    Caro direttore,
    anche se Sarkozy ha ribadito la volontà di andare avanti con il calendario prestabilito nell’approvazione da parte dell’Ue del pacchetto di misure, noto come 20-20-20, che dovrebbe porre come obiettivo vincolante la riduzione, entro il 2020, delle emissioni di C02 del 20% rispetto ai valori del 1990, l’aumento della quota di energie rinnovabili nel mix energetico al 20%, e il miglioramento dell’efficienza energetica del 20%, le trattative tecniche si apriranno. Conviene, quindi, chiarire, i termini della questione.

    Se immaginiamo di paragonare questo pacchetto legislativo a una gara di salto con l’asta, emergono due domande. Da un punto di vista tecnico, dobbiamo chiederci se stiamo correndo verso l’asticella in maniera appropriata, ossia se i meccanismi che stiamo predisponendo per raggiungere questi obiettivi siano adeguati allo scopo. Da un punto di vista politico, dobbiamo interrogarci sulla congruità dell’intera operazione, ossia chiederci se probabilmente l’asticella non sia stata collocata troppo in alto rispetto alle nostre capacità.

    Fuor di metafora, dal punto di vista tecnico dobbiamo guardare alla scelta del metodo di allocazione delle quote di emissioni che sta al cuore delle misure legislative. Il modello attualmente applicato dall’Ue nell’ambito del Protocollo di Kyoto, nonché quello suggerito dalla dottrina economica come teoricamente più efficiente per allocare le quote, è il meccanismo d’asta, per cui le imprese "comprano " sul mercato i permessi per inquinare. Attualmente 1’assegnazione delle quote avviene a titolo gratuito. Dal 2013 invece la Commissione propone di obbligare tutti gli agenti economici a comprarle attraverso il meccanismo d’asta. Questo approccio vale nella purezza teorica dei modelli economici, ma nella realtà è profondamente distorsivo nell’attuale contesto internazionale: senza un accordo internazionale che vincoli allo stesso modo i produttori di tutti i Paesi (ipotesi remota), l’approccio proposto induce una disparità di trattamento tra le imprese europee, soggette all’acquisto oneroso delle quote di C02 necessarie per la propria produzione, e le imprese extra-europee, che di tale costo potranno fare a meno. Vi sono, infatti, per le imprese due possibili scelte che dipendono da un semplice calcolo di convenienza. Se il costo dell’aggiustamento attraverso lo sviluppo di nuove tecnologie è minore del costo di acquisto delle quote di emissione o dei costi di delocalizzazione nei paesi dove non vi sono vincoli ambientali, non avendo sottoscritto alcun accordo, la scelta sarà di tipo virtuoso. E quindi vi sarà un miglioramento ambientale e, soprattutto, il paese interessato svilupperà le tecnologie del futuro ponendo una base solida di competitività futura. Se al contrario, anche considerando la crisi economica in atto e quindi le difficoltà di finanziamento di nuovi investimenti, l’obiettivo posto è visto come irrealistico, l’opzione di acquisto delle quote si rende necessaria, e allora prevarrà la convenienza a delocalizzare. L’attuale soluzione, in assenza di correttivi, costringe alla scelta non virtuosa. Il risultato sarà di spingere gradualmente la produzione di importanti settori industriali all’esterno del territorio europeo verso i Paesi non soggetti a rigidi vicoli in termini di emissioni con una diminuzione generale della competitività dell’industria europea e, soprattutto, si vanificherà l’incentivo allo sviluppo delle nuove tecnologie ambientali con le quali si giocherà la competizione economica futura. Tutto ciò senza benefici aggiuntivi di carattere ambientale per l’Ue, se non con un peggioramento su scala globale, considerando le emissioni di C02 legate al trasporto internazionale dei prodotti importati.

    Il pacchetto Ue pone dubbi anche dal punto di vista politico generale, ossia sul livello dell’asticella. Dobbiamo ridurre le emissioni del 20% rispetto ai valori del 1990, ma non saremo sicuramente capaci nel frattempo di ridurle del 5% entro il 2012, come impone il protocollo di Kyoto, visto che l’Ue, nel frattempo, quelle emissioni le ha aumentate. Siccome noi emettiamo per 1/3 dal settore autotrasporti, per 1/3 dal settore di produzione di energia elettrica e per 1/3 per il riscaldamento degli edifici, ne consegue che - volessimo ottemperare al primo 20 di quella terna intervenendo solo sul settore trasporti - dovremmo organizzarci per non avere al 2020 neanche un automezzo in circolazione: ad esempio chiudendo tutte le fabbriche d’auto, vietando ogni importazione delle stesse e procedendo con la loro progressiva rottamazione, da oggi fino al 2020.

    Vediamo cosa significa intervenire sul settore elettrico. Dei 40 GW che il nostro Paese assorbe, 7 sono da fonte nucleare d’oltralpe, 7 da idroelettrico e 26 prodotti da impianti che bruciano prevalentemente gas (carbone e olio combustibile sono utilizzati in maniera molto limitata). Per soddisfare il 20-20-20 dovremmo chiudere tutti questi ultimi impianti e sostituirli con impianti che non emettono C02: nucleari o rinnovabili. Avremmo quindi bisogno di circa 30 reattori nucleari da 1 GW ciascuno entro il 2020. L’impresa non sarebbe impossibile, ma certamente impegnativa: dovremmo impegnare circa 80 miliardi e superare tutti gli ostacoli mediatici e sociali che nel nostro Paese vengono eretti anche per l’installazione di un’antenna della telefonia mobile. Ma di cosa avremmo bisogno per produrre quei 26 GW con l’eolico?Avremmo bisogno di impegnare almeno 160 miliardi in almeno 160.000 turbine. E col fotovoltaico? Dovremmo impegnare 1.600 miliardi. E quando il sole non brilla (e non brilla dal tramonto all’alba) per non andare in blackout dovremmo azionare gli impianti convenzionali. Le rinnovabili devono far parte del mix energetico, bisogna tener conto però che i costi per la soluzione di un problema non devono crearne uno più grande. I primi due 20 della terna sono una colossale illusione, per non dire una colossale ipocrisia.

    L’ultimo 20 riguarda l’aumento dell’efficienza energetica del 20%. Un’ottima cosa. Che però non può imporsi per legge: se i motori oggi sono più efficienti di quelli di 100 anni fa non è accaduto per le direttive di alcun governo. E va detto che quando di un bene aumenta l’efficienza della sua disponibilità, ne aumentano anche i consumi. Tutti telefoniamo di più grazie alta telefonia mobile, più efficiente della fissa; e inviamo e riceviamo, più lettere grazie alle e-mail più efficienti della posta ordinaria. Lo stesso con l’energia: da quando abbiamo frigoriferi più efficienti abbiamo cominciato a dotarci anche di congelatori e da quando si produce acqua calda in modo più efficiente vogliamo avere anche l’idromassaggio. Aumentare l’efficienza è lodevole, ma cozza con la pretesa di ridurre i consumi tramite il risparmio.

    Tutto questo tenendo sullo sfondo un problema per così dire ontologico: il clima è un fenomeno complesso e dipendente da migliaia di parametri, solo un ingenuo può pensare di combatterlo agendo su uno solo, la concentrazione di CO2. Forse serve una pausa di riflessione.

    Fonte: Il Riformista - Renato Brunetta | vai alla pagina
    Argomenti: Energia nucleare, UE, ambiente, energia, economia ambientale, energie rinnovabili, Kyoto, Sarkozy, pacchetto clima | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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