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Dichiarazione di Massimo Cacciari

Alla data della dichiarazione: Sindaco  Comune Venezia (VE) (Partito: DL) 


 

Pd del Nord. L’alternativa è il massacro politico - Colloquio

  • (01 dicembre 2008) - fonte: l'Unità - Simone Collini - inserita il 01 dicembre 2008 da 31

    Il Risorgimento ha prodotto un disastro, era evidente che avevano ragione i federalisti di allora. L’Italia andava costruita come uno Stato federale, sulla base di quelle macroaree che ereditavano una storia secolare. Ancora oggi, c’è poco da fare, esiste un’area sabauda con una sua precisa configurazione, l’area lombardoveneta, lo Stato pontificio e il Regno delle due Sicilie. Avevano ragione Gioberti, Cattaneo.E Venezia doveva rimanere un land autonomo proprio come Amburgo».
    Con Massimo Cacciari non si può pretendere di discutere di Partito democratico e rimanere in confini troppo ristretti. E poi sarebbe anche troppo facile lasciarlo semplicemente rispondere a una domanda del tipo: che ne pensa, un coordinamento delle regioni del Nord consentirebbe al Pd di guadagnare consensi in queste terre? Perché poi il sindaco di Venezia non è tipo che si preoccupa di dosare le parole col bilancino:
    «Ma cosa vuole che conti un coordinamento? Ma chi se lo fila? Ma chi dà retta a un coordinatore?».
    E allora appurato che non è questa per lui la strada da percorrere, si può spaziare dall’Ottocento italiano ai socialisti catalani ai democristiani bavaresi per spiegare l’esigenza di dar vita in Italia, quanto prima, a un Pd del nord federato col Pd nazionale. E non è un problema se il tempo scorre e gli impegni premono e il freddo nella spartana stanzetta al primo piano del municipio di Mestre si fa sentire peggio che per strada.
    In questa cosa Cacciari ci crede, la reputa questione di vita o dimorte per il partito. «Se andiamo avanti così continueremo a perdere e alla fine saremo massacrati». Ma a questo punto il volume della voce è già bello alto, la velocità nel pronunciare le parole sostenuta, le mani che sbattono sulla scrivania a chiudere la frase. Perché poi Cacciari è così, parte calmo e poi si infervora man mano che discute della questione.
    E allora un passo indietro, a quando Cacciari arriva a piedi sotto l’ultima torre rimasta in piedi del Castello di Mestre, nella stradina deserta alle nove di mattina e con l’umidità che non se ne vuole andare. Le cronache nazionali e locali dei giornali che porta sotto il braccio dicono che questa sua idea del Pd del Nord suscita malumori nel partito, nazionale e locale.
    «Si tratta di decidere che forma dare a questo partito, una questione non secondaria. Il Pd si caratterizza anche per una strategia federalistica? Coerenza vuole che la sua struttura organizzativa sia federalista».
    Il tono qui è pacato, quasi didattico. «Cosa vuol dire? Che in ogni regione o in gruppo di regioni, a seconda dell’analisi che si fa della realtà sociale, culturale, economica, si creano delle forme organizzative veramente autonome. In che senso? Nel senso che questi territori organizzano i loro congressi, decidono le strategie locali e le alleanze, definiscono le loro leadership, scelgono i candidati per le amministrazioni e per il Parlamento. E quando poi ci sono elezioni nazionali o europee i voti di questi partiti, legati da un patto di federazione, si sommano. Esattamente come la Dc bavarese rispetto al Cdu o ai socialisti catalani rispetto al Ps spagnolo. Tutto qua».

    Tutto qua, e mostra i palmi delle mani all’insù come a sottolineare che non c’è chissà cos’altro da spiegare. E però già qualcuno ha sollevato il rischio del Pd-spezzatino. Cacciari si abbatte contro lo schienale della sedia, si passa le mani tra i capelli e ricomincia, ancora piuttosto calmo:
    «Lombardia e Veneto hanno una grande omogeneità economica e politica. Creare un Pd del Nord, insieme anche a Piemonte e Liguria se i loro organismi dirigenti decideranno in tal senso, sarebbe rappresentativo di qualche decina di milioni di abitanti. Non so se mi spiego, sarebbe come dire il Belgio e l’Olanda messi assieme e moltiplicati per due». Qui il tono inizia a cambiare, perché tira fuori i dati economici del «lombardo-veneto » e più ne parla e più si accalora.
    «Produciamo il 60% del prodotto lordo manifatturiero, ci rendiamo conto? Se questo fosse uno Stato a sé sarebbe di gran lunga il primo in Europa per crescita del prodotto lordo e livello di esportazione, se lo si astrae dal resto dell’Italia sarebbe primo per tasso di sviluppo». Secessione, dice la versione propriamente leghista. «Ma che leghista, sono dati di fatto. E se li ricordo è perché qui tutti diventeranno leghisti, se continuiamo così».
    Così come? «Siamo sempre stati a spiare le criticità: eh, il modello veneto è finito - e dà dei colpetti in su col mento - eh, il salto generazionale non riusciranno a tenerlo - idem - eh, le dimensioni delle aziende sono troppo piccole - come sopra - e sempre a fare i maestrini, e mai a cogliere gli aspetti positivi di questa piccola e media industria, e mai ad aiutare questa grande novità per farle superare i suoi aspetti critici. Metà dei voti ce li siamo giocati per l’assoluta antipatia che siamo riusciti a ispirare. Si va avanti dicendo lavoro nero, sfruttamento, evasione fiscale».
    Scuote il capo, in silenzio, e poi esplode: «Ma non si può fare politica fustigando la gente», e col braccio mima la fustigazione. «Qui ci sono migliaia di imprese individuali, persone che si fanno il mazzo ventiquattr’ore al giorno e che continuano a investire, mica portano i soldi a Santo Domingo, persone che hanno una capacità di adattamento straordinaria, una capacità di reagire alle sfide».
    È vero. Si vede anche al bar di fronte al Municipio. Il cartello all’entrata dice: «Abbonamento 10 caffè 6 euro», con sopra disegnate anche due belle tazzine fumanti. Tra i veneziani si direbbe che il sindaco goda di una stima non comune, di questi tempi, a sinistra. Lo riconoscono, lo salutano. «Almeno questo», sorride, «sono qui da vent’anni».
    Gli fanno domande sul tram su gomma, su questa storia delle imprese artigiane della Laguna che secondo la sentenza del Tribunale Ue dovranno restituire oltre 44 milioni di euro ricevuti in passato. Nessuno viene lasciato senza spiegazioni. Il freddo del primo mattino si è attenuato. Si riparte con calma.
    «Dobbiamo presentarci con una credibile autonomia, altrimenti non riusciremo mai a compensare il grave ritardo che abbiamo accumulato. Voglio bene a tutti, ho stima di tutti, ma i segretari regionali sono dei puri cooptati, sono stati decisi da Roma. Il che spiega anche le loro posizioni sul Pd del Nord. Se c’è una reale autonomia possiamo presentarci credibilmente con un’analisi rinnovata e con proposte forti per i ceti produttivi.
    Possiamo essere rappresentativi se siamo radicati qui, se i nostri gruppi dirigenti li abbiamo scelti noi qui, se siamo noi, qui, a decidere priorità e programmi. Altrimenti, se continuiamo a essere percepiti come quelli che vogliono omogeneizzare, saremo massacrati. E poi, chi muove obiezioni mi deve spiegare cosa può contare a livello nazionale un Pd che qui è sotto il 20%, un Pd che nelle regioni guida del Paese non ha alcuna rappresentatività».
    Il tono comincia pericolosamente di nuovo ad alzarsi e allora è meglio guardare a qualche aspetto positivo, che pure c’è.Come gli amministratori locali del centrosinistra, che continuano ad esserci nel Veneto.
    «Sì, e la dice lunga il fatto che a Vicenza, nel momento della disfatta generale, in cui alle politiche perdiamo 7 a 3, vinciamo alle amministrative. Lo stesso giorno. Metà delle persone che alle politiche votano centrodestra votano Variati come sindaco. È vero, abbiamo ancora una base da cui ripartire grazie alla fiducia negli amministratori locali, ma il governo ha fatto un investimento importante per togliercela da sotto i piedi».
    E sarebbe?
    «Ha fatto i ministri, no? Ecco un’altra sciagura del governo Prodi, che non ha capito la sua debolezza pazzesca e ha nominato soltanto un sottosegretario del Veneto. De Piccoli, che era tanto importante che poi neanche lo hanno ricandidato. Cose da matti».
    Scuote la testa e poi inizia a contare con le dita, uno, due e tre: «Loro hanno nominato Brunetta, Sacconi e Zaia, dandogli tre ministeri importantissimi. E cosa crede che stiano facendo questi adesso, stanno a Roma dalla mattina alla sera? Brunetta organizza una cena sociale a settimana a Venezia, una volta con gli artigiani, una volta con i commercianti e ogni volta a spiegare che devono farci fuori anche a livello amministrativo» (e infatti qualche ora dopo ecco Brunetta che arriva in Laguna e attacca Cacciari).
    Ma di tutti questi discorsi, del Pd del Nord e tutto il resto, ne avete discusso lei e Veltroni?
    «Veltroni è in altre faccende affaccendato. Deve ancora discutere con D’Alema.
    Non hanno discusso abbastanza tra i 20 e i 30 anni e quindi vanno avanti fino ai 60». Una battuta, un sorriso, meglio non aggiungere altro.

    Fonte: l'Unità - Simone Collini | vai alla pagina
    Argomenti: partito democratico, economia, attività politica, veneto, venezia, comune venezia mestre, governo prodi, federalismo, dirigenti, Governo Berlusconi IV, Nord, economia regionale | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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