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Dichiarazione di Francesco FORGIONE
La politica non ha più zone franche. Solo la magistratura parla di mafia
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(04 dicembre 2008) - fonte: Liberazione - Francesco Forgione - inserita il 05 dicembre 2008 da 31
E’ da tempo, ormai, che ci troviamo di fronte ad un nuovo salto di qualità nei rapporti tra mafia e politica. Una mutazione profonda che, ben al di là degli aspetti giudiziari e penali, segnala una nuova grande questione morale nell’intero Mezzogiorno.
La cosa che più fa rabbia è che una analisi, un dibattito e la ricerca-definizione di adeguati anticorpi non nascano da una consapevolezza autonoma della politica, ma siano sempre stimolati e portati alla luce dall’azione giudiziaria. E’ come se la politica ormai fosse incapace di leggere la realtà, di cogliere i limiti e i rischi del suo rapporto col territorio in aree – sempre più diffuse - egemonizzate dalle mafie, di vedere la degenerazione della funzione del governo locale e il suo mutare in puro esercizio del potere. La politica tutta, a destra centro e sinistra. Davvero non ci sono più zone franche per un’analisi impietosa che non può fermarsi alla superficie di una questione democratica che ormai sta mutando completamente il rapporto tra rappresentanti e rappresentati in intere aree del Paese. La sentenza del giudice Morosini di cui Liberazione ha pubblicato ampi stralci apre uno squarcio di luce sui tratti nuovi delle relazioni politico mafiose. Anzi, toglie il “trattino” di congiunzione al rapporto tra politica e mafia. Non è una novità da poco conto.
In passato per definire i rappresentanti dei partiti o delle istituzioni che, al di là dei fatti penali, si rapportavano in termini di favori o collusioni con le organizzazioni criminali si usava l’espressione di “referenti politici”: così è stato per uomini come Andreotti o Lima o Gava e l’elenco potrebbe continuare. Nella parola “referenti” si affermava comunque una estraneità, pur in un quadro normale di relazioni, addirittura di sistema, tra due entità: Cosa Nostra e la politica. Da almeno un decennio questo sistema è cambiato. In interi territori la mafia ha deciso di assumere la rappresentanza diretta delle sue istanze politiche. Non è un caso che questo salto di qualità sia parallelo al processo di privatizzazione della politica e al nuovo rapporto tra politica, ruoli di governo e imprese impresso dalle politiche liberiste degli ultimi decenni con l’abbattimento di ogni forma di controllo e l’esplosione, a tutti i livelli, di conflitti d’interesse.
Forse è proprio questo l’aspetto più interessante della sentenza Gotha. Intanto perché emerge un vero e proprio sistema economico imprenditoriale nel quale il confine tra economia legale e illegale è sempre più sfumato e, in questo sistema, la politica o è diretta espressione delle cosche o ne è cooptata. I temi sono quelli classici: le grandi speculazioni edilizie, le aree agricole da trasformare in aree commerciali per realizzare i mostri della grande distribuzione, gli appalti e la sanità pubblica e privata, i finanziamenti nazionali ed europei. Boss, imprenditori, commercialisti, società finanziarie e rappresentanti dei partiti vecchi e nuovi nella transizione infinita che, in Sicilia come nel resto del Sud, si alimenta anche del vecchi trasformismo meridionale e del cambio di casacca come cifra del degrado della politica e del suo rapporto con la società. Certo la nascita di Forza Italia, partorita in Sicilia da Pubblitalia di Dell’Utri, ha operato una vera e propria selezione sul territorio, riorganizzando un personale politico – inabissato dopo Tangentopoli e i grandi processi di mafia - in grado di raccogliere quel consenso che gran parte della Dc, attraverso un sistema di potere mastodontico alimentato dalla spesa pubblica, aveva costruito sulla normalità dello scambio politico mafioso.
A metà degli anni ‘90 nella nascente competizione con Forza Italia, prima l’Udeur e poi l’Udc di Cuffaro non potevano che sfidarsi sullo stesso terreno e nello stesso mercato della politica e del consenso. Scendono in campo le seconde file dei vecchi partiti e una serie di avvocati, medici, professionisti, imprenditori rampanti che irrompono nelle istituzioni - dai consigli comunali all’Assemblea regionale a Roma - per dare vita ad un nuovo sistema di potere e ad un nuovo blocco sociale. Lo capisce anche la mafia. Così, dopo la follia stragista di Riina del ’92 e ’93, il più “democristiano” dei corleonesi, Bernardo Provenzano, riporta Cosa Nostra alla politica, all’inabissamento, al mutismo delle armi e alla riconquista della logica d’impresa. Per questo nell’operazione Gotha che, dopo l’arresto di Provenzano, porterà alla decapitazione di tutti i capi mandamento della città di Palermo, non ci sono più viddani, scesi all’assalto della metropoli, ma un pezzo importante e nuovo di borghesia mafiosa, tesa alla riconquista di un ruolo internazionale non solo nel traffico della droga ma anche nelle grandi attività finanziarie e commerciali. Anche per questo, l’operazione Gotha rappresenta l’operazione antimafia più importante dai tempi degli arresti dei responsabili delle stragi.
In fondo, apparentemente, un politico di provincia come Francesco Campanella è solo un politico di paese da 123 preferenze, ma ha accesso alle stanze del potere, dalla regione al governo nazionale, parla con la destra e la sinistra, ha due “compari” di matrimonio come Mastella e Cuffaro ma decide anche chi deve diventare sindaco di Forza Italia. La sua forza politica è solo una forza mafiosa. Come quella di Mercadante, silenzioso deputato regionale che per dieci anni ho incontrato tra i banchi dell’Ars. Quasi sempre muto, mai un intervento, mai un’espressione di indirizzo politico, ma migliaia di voti e un posto nell’aula parlamentare sempre affollato da capannelli di deputati. Una sentenza come questa, scritta in punta di penna, dovrebbe aprire un dibattito pubblico sulla natura della politica, del governo del territorio, dei partiti. Spingere anche la sinistra ad una riflessione drastica e di fondo sul suo ruolo nelle regioni di frontiera, dalla Sicilia alla Calabria, dalla Campania all’Abruzzo. La sinistra tutta, invece, o è muta o balbetta o fa autoproclami di diversità la cui percepibilità di massa è sempre più difficile e inafferrabile.
In fondo, non basta dire che in Italia esiste una questione morale per autoassolversi la coscienza, occorre cominciare ad essere coerenti, drasticamente. Costi quel che costi.
Fonte: Liberazione - Francesco Forgione | vai alla pagina » Segnala errori / abusi