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Dichiarazione di Anna FINOCCHIARO

Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) 


 

«Napoli, Firenze, Abruzzo... Non facciamo finta di niente» - INTERVISTA

  • (05 dicembre 2008) - fonte: l'Unità - Maria Zegarelli - Marco Bucciantini - inserita il 05 dicembre 2008 da 31

    «Io leader? Non è una mia ambizione, ma è giusto che una donna possa candidarsi. Le reazioni sono state di grande disagio...»

    Presidente Finocchiaro, iniziamo dai temi all’ordine del giorno dell’agenda politica. Si è riunita la Commissione vigilanza Rai, ma voi avete espulso Villari dal partito. Come si è arrivati a questo punto?

    L’assemblea del gruppo parlamentare del Pd si è riunita per valutare il ricorso che Villari aveva presentato contro la sua espulsione. Villari aveva la libertà di esporre il suo puntodi vista. Noi abbiamo ascoltato le sue motivazioni, ma Villari con un atteggiamento e una ricostruzione dei fatti fantasiosa e in parte priva di fondamento ha deciso di ritirare il ricorso. La sua espulsione è diventata quindi subito operativa e Villari non fa più parte del gruppo democratico. Ritengo di poter dire che non farà parte di alcun gruppo di opposizione e quindi questo significa che Villari non è più un senatore dell’opposizione, il che è politicamente significativo perché la prassi istituzionale e la regolamentazione della Commissione di vigilanza Rai stabiliscono che il presidente deve essere designato dall’opposizione. Per prevedere cosa accadrà dopo l’assegnazione al gruppo misto bisognerebbe avere la palla di vetro. Dal momento che è stato eletto dalla maggioranza, la maggioranza ha segnato un punto politico dimostrando l’incapacità dell’opposizione di indicare un proprio candidato; ha operato una rottura perché ha proceduto all’elezione di un presidente non indicato dalla minoranza, ma nello stesso tempo ha presentato questo evento come l’uscita da una impasse istituzionale. Detto questo dopo sono accadute alcune cose che non possiamo dimenticare: i presidenti di Camera e Senato hanno chiesto le dimissioni di Villari e, fatto piuttosto significativo, maggioranza e opposizione hanno trovato un accordo su una soluzione alternativa. Voglio dire che la difficoltà del caso Villari, checché ne dica Bocchino, oggi non è più solo un affare del Pd, è una questione che riguarda complessivamente maggioranza e opposizione.

    Cosa vi aspettate dalla maggioranza, a questo punto?

    Apprezzo moltissimo il fatto che sia Maurizio Gasparri sia Fabrizio Cicchitto abbiano ribadito di non procedere all’elezione dei componenti del Cda della Rai in assenza delle opposizioni. Dato che l’opposizione non parteciperà mi sembra che ci sia un punto avanzato importante. Adesso mi aspetto, anche in considerazione dell’atteggiamento della Lega di grande responsabilità, che si risolva il problema e che lo si faccia senza mettere in campo atteggiamenti inediti nella storia repubblicana, rompendo prassi consolidate.

    Molti accomunano il caso Villari al caso Latorre, il senatore che ha passato il pizzino a un rappresentante della maggioranza. Nel sentire comune sembra un fuori rotta rispetto a una linea di moralità e di coerenza che invece ci si aspetta da un partito come il Pd. Il problema di Villari pone in prima battuta il problema della scelta dei candidati alle elezioni, ma più a monte c’è una questione di credibilità degli eletti. Qualcuno dice si dovrebbe dimettere, prima di Villari, chi sceglie Villari.

    A me pare che gli elettori abbiano gli occhi più aperti di quanto non succeda a noi. Nel senso che porre la questione della credibilità degli eletti spazza via in un colpo decine e decine di dichiarazioni che sono state messe in campo per giustificare questo attaccamento alla poltrona della presidenza alla vigilanza. La gente chiede "ma se non ti vuole nessuno, che ci stai a fare?". C’è, poi, un profilo che attiene alla credibilità degli eletti molto profondo: gli elettori non vogliono più questa legge elettorale orrenda che noi dovremmo superare. Si tratta della non controllabilità degli elettori sugli eletti, i quali sentono di dover rispondere, e nel caso di Villari nemmeno, soltanto alle segreterie dei partiti che li hanno messi in lista. Questa legge porta solo guai, va superata al più presto. Vengo da una regione del Sud e so benissimo quali siano i timori, penso al disastro della dc delle clientele, collegati alla reintroduzione delle preferenze, ma dico “corriamo il rischio e reintroduciamole”. Quanto al perché di alcune scelte va detto che non sempre sono felici ma a volte sono felicissime. Non nel caso di Villari, la cui indicazione evidentemente si è basata su un difetto di conoscenza circa il suo modo di rapportarsi con un partito. Questo dimostra anche un’altra cosa: quando non opera un principio di scelta democratica che si basa sulla presenza sul territorio e la competenza, quando giocano i poteri di fidelizzazione, si sbaglia in una percentuale più alta.

    Un lettore osserva: sembriamo un po’ deboli, non abbiamo neanche la forza di alzare la voce con i nostri. A Firenze assistiamo a uno spettacolo demoralizzante. Forse qualcuno dovrebbe avere il coraggio di dire che se i candidati indagati non si dimettono, si possono perdere le elezioni. Firenze è uno dei casi all’ordine del giorno della questione morale. Come si affronta questo problema?

    Innanzitutto partendo da una discussione nel partito democratico per il bene del Pd. Non è un’esigenza moraleggiante, dobbiamo riflettere molto su questo, anche perché quando un partito nuovo nasce - dopo che l’Italia ha vissuto una stagione tragica, quella di Tangentopoli -, dovrebbe portare impressa la lezione. Se noi abbiamo una serie di episodi che riguardano Firenze, Napoli, l’Abruzzo, non possiamo fare finta di niente. Dobbiamo metterci le mani dentro, non sostituendoci ai giudici, ma cercando di capire se, come e quando, la presenza di una persona che a torto - e mi auguro sempre a torto - o a ragione sia oggetto di un’indagine giudiziaria, giovi o meno al partito. Anche se dovrebbe appartenere soprattutto alla sensibilità di quella persona capire quando è il momento di fare un passo indietro. E arriviamo alla vicenda fiorentina: lo spettacolo di Firenze, dove è in corso una competizione per la scelta del sindaco, destabilizza. Qui si pone un problema democratico serio, rispetto al quale le primarie, alcune volte, sono l’unica via d’uscita perché non abbiamo un sistema interno che consenta di decidere per altre vie democratiche chi debba essere il candidato alle elezioni amministrative. Avere quattro candidati, che sono tutti dello stesso partito, svela questa debolezza che un partito strutturato e maturo non deve avere: da qui deriva lo spettacolo demoralizzante. Altra cosa le primarie di coalizione.

    Le inchieste che riguardano esponenti del Pd sono molto diverse tra di loro,ma quello che è sconcertante è il tipo di promiscuità e di contiguità che dimostrano le intercettazioni telefoniche, tra persone che dovrebbero fronteggiarsi su diverse sponde.Come se ci fosse una sostanziale commistione di interessi e non soltanto tra partiti e settori imprenditoriali, ma anche all’interno degli stessi partiti, come ha dimostrato l’episodio di Nicola Latorre che suggeriva a Bocchino.

    Bisogna stare molto attenti. Quando si amministra un Comune, piuttosto che una Regione, è assolutamente normale e giusto avere interlocuzione con i soggetti che agiscono sul territorio. Il ruolo della politica è anche quello di intermediazione fra interessi diversi per il raggiungimento dell’interesse comune. È normale che anche su grandi questioni di interesse nazionale maggioranza e opposizione si parlino. Quello che non è normale è il doppio livello, che è tanto più evidente nel momento in cui nel nostro paese si è affermato uno schema bipolare, rappresentato come uno scontro permanente, mai esausto, tra due fazioni opposte. Questa rappresentazione teorica, a mio avviso è sbagliata, perché sulle soluzioni strategiche maggioranza e opposizione dovrebbero confrontarsi e arrivare a soluzioni condivise durature nel tempo al fine di creare condizioni economiche e sociali certe e stabili. Quello che è inammissibile è la cointeressenza per fini che nulla hanno a che fare con gli interessi generali.

    Come si fa: devono andare tutti a casa?

    Come sarebbe a dire tutti a casa? Siamo un partito che ha il 34% di consensi, che ha avuto 300 mila iscritti malgrado il tesseramento sia appena iniziato, che governa regioni, e centinaia di comuni, e molte grandi città. Dire: tutti a casa, ecco, mi pare eccessivo. Ci sono alcuni episodi che si sono verificati, affrontiamoli. Sapendo che fra le varie responsabilità verso noi stessi ne abbiamo una più “alta”: quando s’imprimono alcuni crismi, così simbolici, nell’opinione pubblica, nell’immaginari collettivo, si fa un danno che poi è difficile rimarginare. Molto difficile.

    Il 19 ci sarà una direzione attesa, importante. Cosa possiamo aspettarci: un profilo unitario, o la cristallizazione della crisi? Un partito del Nord? E non le sembra altrettanto evidente un problema meridionale, per il partito, per il Paese? Non sono due questioni da tenere insieme?

    Dobbiamo rivendicare di essere nati come partito federale. Con l’esigenza di avere un governo del partito che tenga conto delle diversità territoriali e declini a tal fine le proprie politiche. La questione “settentrionale” mi sembra diversa dalla discussione sulla natura organizzativa del partito., sembra piuttosto un sintomo - che non va sottovalutato - della difficoltà di relazione fra le classi dirigenti del nord e il Pd. Questa difficoltà nasce da una questione politica più ampia: la mancanza di decisioni maturate e condivise su alcuni temi fondamentali. Dobbiamo fare scelte forti tali da agire efficacemente in tutte le realtà. Proprio per questo mi preoccupa assai di più che non si parli del radicamento del nostro partito nel Mezzogiorno. Al Nord esiste un orgoglio maturato dalla capacità di governare - e bene - territori complessi e moderni del Paese. Questo orgoglio, questa vanità, che i dirigenti non sentono assecondata è una questione antica, se ne parlava anche nei Ds. Non a caso viene sollevata dai governatori, dai sindaci delle grandi città. Al Sud, invece, tutto tace e questo mi preoccupa. Allora dobbiamo usare tutti gli strumenti che lo statuto del partito mette a disposizione per favorire un coordinamento per macro aree, per assecondare il federalismo. Sarebbe abbastanza strano ragionare di federalismo fiscale e non sapere adeguare il partito a questo. E fatemi dire: mi lascia perplessa questa idea dell’alleanza con la Lega. La loro anima è di destra. Sanno esprimere giovani e capaci amministratori nel Nord, ma sono il partito che cavalca il razzismo e la xenofobia, un’idea di Italia disunita, divisa, un federalismo egoista, incentrato sulle risorse piuttosto che sui diritti. Torniamo sul Pd. C’è un certo disorientamento: dopo la manifestazione al Circo Massimo, con una enorme partecipazione, il partito si è avvitato sul solito scontro,Walter o Massimo? Dopo vent'anni, siamo al solito conflitto. La classe dirigente come assiste a questo eterno pendolo? La tua candidatura alla segreteria rispondeva a questo malessere? Credo che nessuno sia appassionato alla sedicesima replica della sfida fra Massimo e Walter. Ogni anno, la stessa commedia virtuale: sembra di giocare alla Play Station. I giornali sono pieni di dissidi interni al Pd, ma due temi sono concreti: il partito del Nord e la collocazione europea ed entrambi non li riguardano personalmente. Sarei grata a tutti noi se riuscissimo a mettere al centro della discussione nella prossima direzione i temi reali. Cosa pensa il Pd rispetto alla crisi economica? Che misure adottare? Una spesa sociale che sostenga i soggetti più deboli del Paese, la cassa integrazione, i soldi alle famiglie? E con quali criteri? Sulla riforma istituzionale siamo tutti convinti del federalismo ? Voglio parlare di questo, per capire se ci sono differenze dentro il partito, trovare un punto e fissarlo. Valutare e scegliere vuol dire costruire l’identità. Quindi, fermiamoci ai temi veri, prendiamo il rapporto con il sindacato, grande protagonista della vita del Paese: lo vogliamo unico, ma la realtà ci mostra un’organizzazione lacerata da una crisi, un sindacato diviso che firma accordi separati. Come cuciamo questo scarto? Come ci poniamo davanti ai lavoratori? Mi interessa, semmai, capire come si pongono Walter e Massimo rispetto al partito, alla sua organizzazione, alle forme di decisione e partecipazione. Intanto, credo che si possa già accantonare una prima dibattuta questione: quella di un partito liquido, poco praticabile nella realtà italiana.

    Ma lei si è candidata alla guida del Pd o no?

    Partiamo dai fatti: durante una trasmissione radiofonica ho risposto ad un’ascoltatrice sulla possibilità di una donna segretario. È la più frequente che ho ricevuto in questi anni. La conduttrice, Ritanna Armeni, femministra convinta, ci ha messo il carico, ricordando che mi ero mi ero tirata indietro alle primarie. Ho spiegato che non mi presentai perché sarebbe stata una candidatura minoritaria e avrebbe nociuto alla causa delle donne del mio partito. Sarebbe scattato il solito discorso sulla marginalità delle femmine nella vita politica. Pensai a questo e al fatto che la candidatura di Walter Veltroni fosse la più forte per tenere unito il partito. Detto ciò, ribadisco che sì, una donna può guidare un partito importante, non perché sia un’ambizione di Anna Finocchiaro, ma perché ci sono migliaia di ragazze là fuori che si chiedono se mai sarà possibile che in questo paese una donna faccia il premier, il presidente della Repubblica. Risponde: sì, è possibile. Abbiamo avuto Nilde Iotti presidente della Camera: una gemma incastonata, non il grano di un rosario. Per questo quando mi è stato chiesto se mi sarei candidata, ho risposto “non lo escludo”. Da lì è nata una reazione politica che mi ha fatto divertire e preoccupare: è la spia di un partito sull’orlo di una crisi di nervi, che mi ha dipinto come una che tentava di scalare il palazzo d'Inverno. Questo agitarsi, quando intorno a noi ben più gravi problemi attanagliano l’Italia, mi è sembrato un chiaro segno di disagio.

    Ma la questione femminile esiste: ogni tanto spendono il suo nome, quasi che la politica debba - per tre minuti - "purificarsi" rifugiandosi in una candidatura femminile...

    Le figure femminili sono rassicuranti, non aggressive, e poi se perdono sono felici lo stesso. Come la borsa dell’acqua calda quando fa freddo: non rimedia, ma intanto scalda. Tirare fuori il nome di una donna è un modo banale per fare bella figura. Allora mi scatta l’hidalgismo, come quando dissi che “un uomo” con il mio curriculum può ambire a fare il Capo dello Stato. Noi donne non possiamo essere reticenti su questo argomento. Non ci stanno facendo un favore. Sostengo l’ambizione delle donne, forse anche la mia, e di riconoscimenti ne ho avuti tanti da poter dire “grazie” al mio partito, Pci-Pds-Ds-Pd.

    In Sicilia, nella corsa a governatore, i numeri furono deludenti.

    È stata l’avventura politica più bella della mia vita. Ho incontrato la Sicilia moderna, imprese, professioni, università, ricerca, società civile: ho lavorato con loro. Ho perso, ho sanguinato, ma era una cosa da fare. Se avessi ragionato politicamente in modo egoista, avrei dovuto dire: “voi siete pazzi”. Ma ho avuto molto da questo partito, e mi è sembrato onesto “dare”. Sapevo di perdere, ma era la mia terra, noi siciliani siamo “impastati” di sicilianità. Mi sono “buttata”, entrando a gamba tesa in una situazione complicata, con un partito, quello sciliano, diviso. Ma questo partito, questo Paese, deve avere coraggio.

    Lei ha affrontato i temi sui quali dovrebbe misurarsi il Pd. A questo giornale ne sono cari anche altri, "moderni", etici: dal testamento biologico alle coppie di fatto. Molte proposte, troppo silenzio.

    Giovedì prossimo i gruppi di Camera e Senato si riuniranno, per discutere un ddl interessante sul testamento biologico proposto da un gruppo di lavoro da noi creato. Discuteremo, cercheremo di condividerlo. Sulle coppie di fatto dobbiamo tornarci e in modo più netto della proposta che riuscimmo a mettere in piedi ai tempi del governo Prodi. Più netta non significa più radicale: dobbiamo dirci meglio le cose, fra noi, più esplicitamente, e trovare una soluzione. L’attualità ci mette a nudo: in questa crisi, quando parliamo di forte sostegno alle famiglie di quali famiglie parliamo? Il Pd deve avere un’idea chiara. Non sono solo le famiglie tradizionali a tenere unito e forte questo paese. Abbiamo bisogno di uno straordinario coraggio per decidere su questi temi: le cose lasciate lunghe diventano serpenti, si dice dalle mie parti.

    Allora scegliamo: in Europa dove si sta?

    Abbiamo sciolto i Ds per guardare avanti, e al dunque siamo sempre a dividerci tra ex Ds e ex Margherita. Se abbiamo avuto un’ambizione così alta in Italia dobbiamo averla altrettanto in Europa. Anche là dobbiamo dare il segno della novità del Pd. Rutelli dice: “Mai con il Pse, perché non voglio mutuare la politica francese di alleanze con la sinistra..e…”. Dai, Francesco, coraggio, vedremo in che modo la novità del Pd inteloquirà con il Pse. Non possiamo porci sempre come ex, credo che serva una nuova generazione, gente che parta con una valigia piccola, leggera.

    Lei prima ha parlato delle primarie: perché adesso spaventano? In America la sfida fratricida fra Obama e Hillary è stata un momento di forza del partito.E non sono utili perfino per creare nuovi dirigenti? Per superare lo schema Ds-Margherita?

    Non sono un'appassionata delle primarie. In America il partito esiste solo quando si vota, non è radicato. Al dunque, mettono in piedi i comitati elettorali ed ecco il partito. Tutto lì. Preferisco un partito in grado di decidere e usare le primarie come estrema ratio, piuttosto che servirsene come luogo sostitutivo delle mancate scelte. E se penso a Firenze, a Bologna, non mi pare una competizione serena, vinca il migliore, una pacca sulla spalla e via: mi sembrano piuttosto la spia di una grossa difficoltà. Quanto ai giovani, bisogna cercarli con la “scuola”. Il campo estivo di Cortona è stato bello, da ripetere. Bisogna creare un corpo di rinnovamento molto solido, organico. Alla scuola di Frattocchie venivano solo i comunisti, a Cortona è venuto tutto il mondo ad insegnare: deve diventare un appuntamento, e non solo un avvenimento.

    Chiudiamo con uno sguardo sulla crisi. I provvidementi del governo le paiono sufficienti?

    Con il decreto approvato, il governo mostra la paura di prendere atto fino in fondo di quello che è il possibile evolversi di questa crisi economica e finanziaria. Berlusconi disse: “il problema è risolto, stiamo provvedendo con le banche”, ma siamo poco esposti alle buriane internazionali. Noi cercavamo di aprirgli gli occhi sul fatto che questa crisi avrebbe morso l'economia reale, e quindi la quotidianità dei nostri cittadini. Ma lui: “spendete, consumate…”. E poi ha dovuto fare il decreto che dimostra la paura di misurarsi con la realtà. Il loro messaggio è sempre stato rassicurante e si scontra con la cocciuta realtà, più forte della loro propaganda. Per questo hanno paura. Prima erano antieuropeisti, ora hanno l’ossessione dei parametri Maastricht. Hanno paura e partoriscono soluzioni fragili. È il bambino che mette il dito nel buco della diga, hanno vergogna a dire che la crisi è gigantesca. Ma perderemo 900mila posti di lavoro, e i risparmi sono minacciati. Allora bisogna intervenire in modo strutturale, con strumenti di sostegno organici, continui. Incoraggiando le famiglie, con una leva fiscale che aiuti le donne che lavorano. Invece si aggiunge qualcosa in modo sporadico, spesso improduttivo. Il governo si è gettato nella crisi con il freno a mano tirato. Non è l’Italia scintillante e gaudente che Berlusconi voleva: gli è capitata fra le mani un'altra cosa, abbia il coraggio di guardarla in faccia, e ci troverà pronti a fare la nostra parte.

    Fonte: l'Unità - Maria Zegarelli - Marco Bucciantini | vai alla pagina

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