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Dichiarazione di Renato BRUNETTA

Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: FI)  -  Ministro  PA e innovazione (Partito: PdL) 


 

«Sulle pensioni non torno indietro possiamo creare due milioni di posti» - INTERVISTA

  • (15 dicembre 2008) - fonte: La Repubblica - Roberto Mania - inserita il 15 dicembre 2008 da 31

    «Quanta ipocrisia, quanta superficialità, quanta arroganza dai nostri soloni e soloncini, di destra e di sinistra. Ma andate a studiare prima di parlare! Lo dico a D`Alema, a Veltroni, alla Finocchiaro, a Epifani. Lo dico al mio amico Calderoli...».
    Ecco partiamo da qui, ministro Brunetta. Il suo "amico" Calderoli che è anche un suo collega di governo non l`ha trattata bene. Ha detto: "Brunetto-scherzetto", come i bambini quando festeggiano Halloween. La Lega ha detto no all`aumento dell`età pensionabile delle donne. Anche il ministro del Lavoro Sacconi non l`ha seguita. Si aspettava che la sua proposta venisse sommersa dai no?
    «Guardi, io non ho fatto alcuna proposta. Io devo ottemperare a una condanna della Corte di Giustizia europea. E qui sta l`ignoranza...».
    Di Calderoli?
    «Calderoli ha risolto tutto con una battuta scherzosa che non fa onore alla sua genialità. Molto probabilmente vede solo il federalismo e qualsiasi altra cosa lo fa diventare nervoso e gli fa perdere di lucidità. Lo incontrerò, gli spiegherò tutto e capirà. Ma i veri conservatori sono gli altri».
    Quelli di sinistra?
    «Abbiano il coraggio di dire chiaramente che per loro la donna deve essere l`angelo del focolare. Che deve curare i genitori anziani o i nipotini. Loro vogliono la"donna-sandwich", schiacciata, da una parte, da un lavoro nel quale non può fare carriera e guadagna meno degli uomini e, dall`altra, dalle cure familiari. Lo dica Epifani, che non legge i dossier, non studia e non s`informa. Sia onesto!».
    Cosa c`entra questo con la sentenza della Corte di Lussemburgo?
    La sentenza non condanna l`Italia per il suo regime pensionistico, cosa che non potrebbe fare non essendo il welfare di sua competenza. Siamo stati condannati perché l`anticipazione dell`età pensionabile delle donne determina una discriminazione. La pensione, infatti, viene calcolata sulla base degli anni di servizio prestati e in base all`ultimo stipendio del dipendente pubblico. Costringendo le donne ad andare in pensione cinque anni prima degli uomini le si condanna di fatto a percepire una pensione inferiore».
    Perché allora non riformare lo stato sociale anziché partire all`aumento dell`età pensionabile?
    «Non abbiamo scelto noi da che parte cominciare: è l`Europa che ce lo impone. Ma se siamo un Paese serio non possiamo limitarci a ottemperare alla sentenza della Corte e intervenire solo sul pubblico impiego. Questa sentenza offre all`Italia l`opportunità di riflettere sulle proprie follie. Occorrerebbe rimettere mano, nei modi, nelle forme possibili, attraverso il dialogo con gli attori sociali e in ragione della crisi economica in atto, all`intera architettura del welfare. Perché noi spendiamo troppo per le pensioni e troppo poco per il lavoro. Nel nostro welfare ci sono figli e figliastri, lo sappiamo tutti: troppo per la cassa integrazione e troppo poco per un`indennità di disoccupazione universalistica. Sappiamo tutti che ci sono troppe poche risorse per gli asili. Sappiamo tutti che ci sono discriminazioni nei confronti delle donne che fanno figli. Per forza che abbiamo il tasso di natalità tra i più bassi del mondo! Chi vuole che faccia figli in queste condizioni! Le donne sono discriminate nella loro carriera professionale: nelle posizioni apicali o non ci sono o sono troppo poche. Ecco, finora la nostra cattiva coscienza è stata compensata con l`anticipo del pensionamento delle donne. Ma è l`ennesima beffa perché si impedisce loro di andare in pensione con un trattamento adeguato».
    Quante risorse si libererebbero spostando il baricentro del welfare state dalle pensioni al lavoro?
    «Secondo un calcolo del Partito radicale si arriverebbe a regime a 7 miliardi di euro. Una cifra che permetterebbe di riscrivere l`architettura del welfare: più asili nido, più indennità di disoccupazione, più soldi per i non autosufficienti. E poi, dal punto di vista di un economista, significherebbe anche una redistribuzione in grado di creare posti di lavoro. Ho fatto due conti: alla fine ci sarebbero almeno 2,5 milioni di posti nei servizi. Si innalzerebbe il tasso di occupazione di circa 10 punti».
    A che quota fisserebbe l`età della pensione per tutti?
    «La si dovrebbe spostare verso i 65 anni, con flessibilità, con progressività, su base volontaria, ma con determinazione. Si produrrebbe un risparmio di spesa del welfare pensionistico che non dovrà essere portato in cassa bensì redistribuito sull`intero ciclo di vita. Così fa l`Europa».
    Quindi lei pensa che si debba riaprire il cantiere-pensioni?
    «Io devo rispondere a una sentenza della Corte europea. La riforma delle pensioni non è nel programma di governo, né era presente in quello elettorale».
    Che cosa pensa dell`altolà dei sindacati?
    «Che da tutti, con toni diversi, è arrivata una risposta culturalmente debole e fragile».

    Fonte: La Repubblica - Roberto Mania | vai alla pagina
    Argomenti: Donne, welfare, pensioni, economia, lavoro, discriminazione, occupazione, europa, asili, radicali, lavoro femminile, unione europea, occupazione femminile, sussidi, età pensionabile | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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