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Dichiarazione di Furio COLOMBO

Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) 


 

Un «editore fortunato» e un uomo libero nell’ Italia di regime

  • (18 dicembre 2008) - fonte: l'Unità - Furio Colombo - inserita il 18 dicembre 2008 da 31

    Lo stendardo dell’Anpi in una basilica romana accanto al corpo di un principe di cui si stanno celebrando le esequie, un vescovo che si rivolge alla persona scomparsa ricordando la Resistenza, ricordando l’impegno civile, la partecipazione mai interrotta nei momenti difficili, controversi, pericolosi, nella vita del Paese, tutto ciò non è una tipica scena italiana ai giorni nostri. Ma è ciò che è accaduto nella basilica di San Bartolomeo, all’Isola Tiberina, la mattina del 17 dicembre. Il principe era Carlo Caracciolo, morto la sera del 15 dicembre. Il vescovo era monsignor Paglia, che molti conoscono per il suo legame con la comunità di Sant’Egidio e con le imprese di pace di quella comunità. La bandiera dei partigiani era lì a ricordare che Carlo Caracciolo, anni 83, non aveva mai dimenticato o oscurato quel passaggio giovane della sua vita in cui aveva partecipato alla Liberazione e dunque alla ricostruzione di una Italia nuova e libera.

    Carlo Caracciolo ha fatto per tutta la vita l’editore. Non era solo, all’inizio nel progetto di dare un contributo moderno e intelligente al Paese. Per esempio, tutto comincia quando Adriano Olivetti decide di affidare a lui l’Espresso. L’Espresso è un settimanale diverso, nato libero, con una parentela francese (L’Express di Jean-Jacques Servan-Schreiber), una affinità americana (Newsweek) e un occhio più o meno consapevole al periodico politico-culturale tipo Die Zeit.Vi lavorano ovi collaborano già personaggi nuovi e diversi. Di tutti e tre questi giornalismi senza frontiere, alcuni vengono o verranno dal mitico Il Mondo (proprietà di un altro Olivetti, Arrigo). Altri verranno e saranno per un lungo periodo il riferimento alto del giornalismo italiano. Assediato dalla Confindustria che già allora non amava giornali come L’Espresso, premuto dai grandi eurocrati che erano anche potenti clienti della grande fabbrica italiana di calcolatrici e macchine per scrivere, Adriano Olivetti si rende conto che, per essere veramente nuovo e libero, un giornale come L’Espresso non poteva appartenere a un industriale e che bisognava inventare la figura dell’«editore puro», già allora estranea alla vita pubblica e alla società italiana. Olivettiha scelto Carlo Caracciolo.E il principe Carlo Caracciolo di Castagneto, figlio dell’unico ramo di grande nobiltà italiana estraneo alla monarchia e al fascismo, al punto di fare il combattente della Resistenza, è diventato il dottor Carlo Caracciolo, Editore.

    È stato un lungo percorso fortunato, come racconta lui stesso nel libro di Nello Ajello. Però non è il tipo di fortuna che va dove porta il vento, che si lascia spingere, dirigere, trainare da ciò che conviene. Si forma un patto di fiducia fra editore e giornalisti, che vanno da Arrigo Benedetti a Giorgio Bocca, da Camilla Cederna a Bernardo Valli (ma i nomi sono tanti, cominciano tutti da giovani, si possono scrivere i nomi di Arbasino, di Eco, ma anche il mio) con un perno che è tuttora Eugenio Scalfari.
    C’è un prima e un dopo, nella vita dell’editore fortunato, a cui è riconosciuta la bravura di un equilibrio che non è fra un’idea e un’altra, fra un po’ di opposizione e un po’ di regime, ma in un testardo attaccamento a quella che una scuola di business chiamerebbe «costante innovazione del prodotto». Lo spartiacque fra quel prima e quel dopo è la nascita di la Repubblica. Caracciolo e Scalfari, come in un western da brivido, puntano tutto su un nuovo quotidiano nel Paese più conservatore, abitudinario, sorvegliato e conformista del mondo. La scommessa, arrischiata, prima vince poi stravince.
    E nasce in Italia un giornalismo che anche adesso, mentre la firma di Scalfari è tuttora la più autorevole (la sola a cui ogni domenica Radio Radicale dedica una lettura quasi completa) è di gran lunga il giornalismo più giovane e innovativo d’Europa. Sto scrivendo queste cose (mentre Ezio Mauro, sul giornale di Caracciolo, proprio il giorno del suo funerale, raccomanda “strappo dai vecchi apparati e piazza pulita” parlando di corruzione a sinistra) per nostalgia o per disperazione? Si può fare a meno, in Italia, a parte il dolore e la mancanza, dell’” Editore fortunato”?

    Certo - dai giorni di Adriano Olivetti - Caracciolo ha contato molto, anno per anno nelle strane e disorientanti stagioni della vita politica italiana. E certo è stato un grande ostacolo al giornalismo da lancio pubblicitario e da campagne di potere guidate a distanza. Farò un esempio. Il 16 dicembre, il giorno dopo la sua morte, ho preso l’iniziativa di ricordare Carlo Caracciolo alla Camera. Ho detto alcune delle cose che avete letto in questa pagina perché fossero incluse nei verbali del Parlamento italiano. Ma nello spazio di un minuto, il tempo concesso a un intervento per “ragioni personali” e al di fuori del dibattito in corso. Un minuto per il principe-editore che viene dalla Resistenza e lascia una onorevole eredità e dignità professionale ai giornalisti e ai lettori che hanno accettato il patto e avuto fiducia. I presenti nell’aula della Camera - destra e sinistra - dopo il breve discorso hanno applaudito. L’intervento in morte di una persona evoca, il più delle volte, comportamenti di cortesia. Non sempre. Il deputato Giancarlo Lehner (Popolo della Libertà), mentre ancora duravano gli applausi ha chiesto subito la parola. E ha detto (trascrivo):
    «Signor presidente vorrei sia messo agli atti che, per ragioni morali, io mi dissocio dal signor Caracciolo, mi dissocio profondamente. È un personaggio che io ho considerato sempre pericoloso». Sono parole che si possono trascurare se il tema è la decenza o anche solo le buone maniere.
    Ma in un testo di storia di questa Italia, rancorosa e spaccata, divisa fra ricatti e ronde, fra processi aboliti per legge e minacce sempre più ravvicinate di interventi pesanti sui magistrati, definire Carlo Caracciolo, mentre muore, «personaggio pericoloso» è un documento utile e tragico per conoscere la storia contemporanea italiana.
    Dopotutto, in questa Italia di regime, non c’è peggior nemico di un uomo libero. Per giunta fortunato.

    Fonte: l'Unità - Furio Colombo | vai alla pagina

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