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Dichiarazione di Pietro ICHINO

Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) 


 

Donne e pensione, basta tabù

  • (19 dicembre 2008) - fonte: Il Sole 24 Ore - Pietro Ichino - Alberto Alesina - inserita il 19 dicembre 2008 da 31

    La proposta del ministro Renato Brunetta di aumentare l’età di pensionamento per le donne, fra l’altro dovuta in risposta a una recente sentenza della Corte di giustizia europea e a un’ínterrogazione della senatrice Emma Bonino con altri colleghi, va nella direzione giusta per due motivi. Il primo è che finalmente riporta al centro dell’attenzione il problema di come ridurre rapidamente la spesa pensionistica che grava fortemente sul nostro debito pubblico. E inutile lamentare le dimensioni di quest’ultimo, come periodicamente fa il ministro Giulio Tremonti, senza avere il coraggio politico di affrontare di petto il tema delle pensioni.
    Il secondo motivo è che la proposta ha implicazioni rilevanti per il problema della scarsa presenza delle donne nella forza lavoro, una peculiarità italiana che limita le potenzialità di crescita del nostro Paese. Ma la proposta del ministro è incompleta sia dal punto di vista della razionalità economica che dal punto di vista della sua vendibilità politica. La scontata (e un po’ ottusa) alzata di scudi sindacale ne è una prova.
    Il pensionamento anticipato delle donne è oggi giustificato come "risarcimento" per il lavoro di cura da esse svolto in famiglia durante l’intera vita. Ma questo risarcimento in realtà perpetua lo stesso circolo vizioso che vorrebbe eliminare. Non è "rispedendo" ai lavori di casa le donne a 55 anni o poco più che si assicura una più equa distribuzione del lavoro domestico tra mogli e mariti.
    Fra l’altro, è bene ricordare che il pensionamento anticipato femminile aveva in origine lo scopo di assicurare ai mariti l’assistenza delle mogli al momento del pensionamento, in un contesto in cui la differenza media di età tra i sessi al matrimonio era di circa cinque anni. Le donne italiane lavorano molto a casa. Sono poco aiutate dai loro mariti (molto meno che in altri Paesi europei come dicono precise statistiche) e quindi su di esse, assai più che sui loro partner maschili, pesa l’inefficienza dei servizi pubblici scadenti offerti dallo Stato alle famiglie. Da questo squilibrio nella divisione familiare dei compiti derivano le differenze occupazionali e salariali tra donne e uomini nel mercato del lavoro. E quindi su questo squilibrio che bisogna in primo luogo agire.
    E perfettamente ragionevole chiedere alle lavoratrici di andare in pensione più tardi anche perché la loro vita attesa è maggiore di quella dei colleghi maschi, ma è difficile e ingiusto imporre questo onere alle donne senza prima aver creato le basi per un riequilibrio dei ruoli nella famiglia e nel mercato. Un modo semplice per farlo c’è: combinare l’innalzamento dell’età di pensionamento delle donne con la proposta di riduzione delle imposte sul reddito da lavoro femminile da noi fatta in una serie di articoli su questo giornale e in un lavoro scientifico ("Gender based taxation and the division of family chores"). Con questa combinazione di politiche la perdita di gettito per lo Stato sarebbe relativamente contenuta (o addirittura nulla) perché le statistiche dimostrano che molte più donne lavorerebbero se tassate meno e, costando meno alle aziende, sarebbero da queste assunte con maggior frequenza. Inoltre l’aumento dell’età pensionabile farebbe risparmiare ulteriormente l’Erario. Il resto lo si potrebbe coprire con tagli di spesa e, perché no, con un leggero aumento in positivo sul lavoro maschile tale da ridurre le imposte totali per una famiglia se entrambi i coniugi fossero occupati. La teoria economica e l’analisi dei dati disponibili suggeriscono che questo è possibile.
    Con un maggiore reddito disponibile le famiglie potrebbero, fra l’altro, permettersi nel mercato quei servizi che faciliterebbero a entrambi i coniugi la conciliazione del lavoro in casa e nel mercato. E quando i mariti arrivassero a "capire" che l’intera famiglia guadagnerebbe da una minore tassazione delle donne, diventerebbero più propensi ad aiutare le loro mogli in casa per consentire loro di lavorare nel mercato, se lo vogliono fare.
    Non è fantascienza né fantapolitica. Nella precedente legislatura due parlamentari, Maria Ida Germontani (An) e Maria Leddi Maiola (Ulivo), hanno presentato una proposta di legge bipartisan che andava esattamente nella direzione della nostra proposta. Il Pd ne ha vagamente parlato nel suo programma. Perché allora non combinare il progetto del ministro Brunetta con la detassazione del lavoro femminile?
    Avrebbe un evidente senso economico e renderebbe l’aumento dell’età pensionabile molto più vendibile anche ai sindacati, preoccupati (a torto) di aprire una breccia nella diga che impedisce la riduzione della nostra enorme spesa pensionistica. Insomma, le condizioni sono mature per offrire meno tasse alle donne in cambio di una pensione procrastinata.

    Fonte: Il Sole 24 Ore - Pietro Ichino - Alberto Alesina | vai alla pagina
    Argomenti: Donne, pensioni, lavoro, famiglia, tasse, sindacati, mercato, debito pubblico, lavoro femminile, reddito, Corte di Giustizia europea, occupazione femminile, Bonino Emma, età pensionabile | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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