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Dichiarazione di Gianfranco FINI

Alla data della dichiarazione: Pres. Camera   (Lista di elezione: PdL)  - Deputato (Gruppo: FLI) 


 

Giustizia, sei punti per cambiare Intercettazioni sui reati amministrativi

  • (10 gennaio 2009) - fonte: Corriere della Sera - inserita il 12 gennaio 2009 da 100
    Caro Direttore, ci sono fin troppe polemiche ma ben pochi dubbi sulla necessità di «riformare la giustizia». Qualche riflessione in materia, senza alcuna pretesa di organicità, può forse essere utile al dibattito.

    1) È auspicabile che le modifiche normative scaturiscano da un ampio confronto parlamentare tra le forze politiche e tutti gli operatori del settore Soprattutto è necessario che queste modifiche derivino da lucide valutazioni delle patologie strutturali del sistema giudiziario e non siano frutto di situazioni contingenti. In altri termini, sarebbe sbagliato prendere le mosse dalle ultime controverse vicende giudiziarie e individuare in esse le ragioni della necessità di una riforma.

    2) C'è una realtà non più tollerabile da cui occorre muovere. I cittadini tendono a rinunciare alla tutela legale dei propri diritti perché frenati dalle lungaggini e dalle disfunzioni che scoraggiano il ricorso alle vie giudiziarie; c'è un crescente sentimento di sfiducia nei confronti della giustizia che rischia di minare, specie per la giustizia civile, le fondamenta della nostra democrazia. La stella polare di una riforma "per il cittadino" dev'essere quella di restituire efficienza al sistema. In questo senso, lo stanziamento di risorse finanziarie adeguate assume un valore determinante quanto l'impegno dei magistrati.

    3) In un sistema giudiziario efficiente, il principio costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale garantisce l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, assicurando l'obiettività nell'instaurazione del processo e, di conseguenza, certezza su quel che è lecito fare e su quel che invece non lo è. Di fatto, tale principio risulta però svuotato della sua effettività: dal momento che per l'autorità giudiziaria non è più possibile perseguire tutti i reati, molto (troppo) dipende dalla discrezionalità dei Pm. Ciò mina agli occhi dei cittadini il principio della legge uguale per tutti. Accanto ad una valutazione sui reati che è utile depenalizzare, può quindi essere opportuno che sia il Parlamento, sentita la Procura generale della Cassazione a fissare i criteri per individuare i reati ai quali dare priorità di trattazione (proposta Mancino). C'è semmai da chiedersi se tale metodo deve diventare la regola (ipotesi cui non credo) o piuttosto trovare attuazione per un periodo limitato, durante il quale prendere le misure necessarie per restituire al sistema la sua efficienza.

    4) La riforma dovrà interessare anche il Csm per assicurare che la composizione dell'organismo sia all'altezza delle importantissime funzioni che gli sono proprie. Vanno superate in modo definitivo quelle nefaste logiche correntizie che lo hanno finora penalizzato e screditato.

    5) Se è vero — come è vero — che la separazione delle carriere dei magistrati è ipotizzata per garantire l'imprescindibile terzietà del giudice, è comunque evidente che ciò non può avvenire a discapito dell'autonomia e indipendenza del Pm. È necessario pertanto scindere i ruoli, ma senza che ciò comporti la subordinazione del magistrato requirente ad altro potere che non sia quello giudiziario. Fino a oggi il dibattito non ha toccato un tema rilevante: i criteri di selezione dei magistrati sono inadeguati alle loro funzioni. Perché non prevedere per l'aspirante magistrato un periodo di tirocinio sotto la guida di un magistrato esperto, come attualmente avviene per chi si prepara a superare l'esame da avvocato? Mi sembra ipotesi maggiormente in sintonia con la nostra tradizione rispetto alla elezione dei magistrati.

    6) Infine sul tema intercettazioni. Sono e devono restare uno strumento indispensabile di ricerca della prova dei reati. Sarebbe insensato privare la magistratura della possibilità di avvalersene nel contrasto alle mafie, al terrorismo ma anche ai reati contro la Pubblica amministrazione. Escludere la corruzione getterebbe un discredito sulla politica devastante per la credibilità della democrazia parlamentare, a esclusivo vantaggio del populismo più demagogico e giustizialista. Non è però più tollerabile che le intercettazioni siano lo strumento per «fare giustizia» attraverso la gogna mediatica. Ciò che accade oggi è indegno di un Paese civile. Per porvi rimedio non è sufficiente trovare un punto di equilibrio tra esigenze investigative degli inquirenti e diritto di riservatezza del cittadino se poi i divieti di pubblicazione delle intercettazioni e i presupposti che le giustificano vengono ignorati. L'obiettivo prioritario dovrà dunque essere quello di rendere effettivi i divieti già esistenti, creando un sistema di sanzioni pecuniarie effettive a carico di quanti le violano e di misure disciplinare specifiche per i magistrati che abusano sistematicamente delle intercettazioni. Non è un bavaglio alla libertà di informazione o una limitazione del potere inquirente, ma una garanzia di rispetto della dignità della persona.
    Fonte: Corriere della Sera | vai alla pagina

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