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(14 gennaio 2009) - fonte: La Repubblica - Claudio Tito - inserita il 14 gennaio 2009 da 31
«Gianfranco cerca visibilità. Ma così il ruolo lo perde e non lo trova. Sta sbagliando tutto. Se cerca spazio nel futuro del Pdl, così farà solo la fine di Casini. Lì ce lo abbiamo messo noi e non il Pd».
Da qualche settimana Silvio Berlusconi ha messo nel mirino il presidente della Camera. E anche la strigliata fatta ieri al governo non l’ha digerita. Anzi, lo ha mandato su tutte le furie.Eppure, quel che è accaduto ieri pomeriggio nell’aula di Montecitorio non è stato solo lo "scontro" sulle formalità istituzionali. Non si tratta esclusivamente di un battibecco tra il Cavaliere e il leader di An. Ma è la rappresentazione plastica delle tensioni che stanno agitando la maggioranza.
E già, perché dietro la questione di fiducia si è giocata una partita molto più ampia. Che ha contrapposto le due "anime" che si contendono la supremazia nel centrodestra. Il partito del nord contro quello del sud. Giulio Tremonti contro Fini. La Lega di Bossi contro Gianni Letta. Il premier media, ma con il dente avvelenato nei confronti dell’inquilino di Montecitorio.L’ondata di emendamenti al decreto anticrisi, infatti, ha preso origine da questi conflitti. Il secco "no" del ministro dell’Economia alle richieste di molti parlamentari meridionali (in particolare sulle tariffe elettriche che penalizzerebbero le imprese del sud) ha scatenato la bagarre. Centoventi proposte di modifica, tutte presentate dal Pdl, hanno messo sulla graticola il Tesoro. Non solo.
Lo stesso Tremonti nello scorso week end aveva chiesto di rivedere completamente il testo del provvedimento. Per correggerlo e ampliarlo con un maxiemendamento. «Quelle richieste sono inaccettabili. Hanno capito in che situazione ci troviamo? - si è lamentato il capo di Via XX Settembre.
Semmai bisognerebbe cambiare il decreto per stringerlo ulteriormente». Tant’è che nessuno esclude un nuovo decreto mille proroghe per colmare qualche lacuna. Uno stop cui i deputati del Pdl hanno però reagito con nervosismo, appunto con un fiume di emendamenti. Tant’è che lunedì sera, dopo un colloquio con il capogruppo Pd Antonello Soro, Fini ha lanciato l’allarme. Difendendo le istanze "sudiste" e invitando l’esecutivo a correre ai ripari. Ha chiesto a Gianni Letta di evitare la fiducia. La soluzione escogitata, allora, è stata quella di sterilizzare le istanze di tutti, "nordisti" e "sudisti", blindando il testo già approvato in commissione.Ma i malumori non sono affatto passati. E l’ultimo scorcio della medesima partita si è consumata ieri sera con l’attacco del Carroccio a Gianni Letta. Roberto Castelli si è scagliato contro il sottosegretario sulla vicenda Malpensa-Fiumicino.
Ossia, ancora nord contro sud. Nello stessa logica il ministro degli Interni, Roberto Maroni, ha ripresentato l’emendamento sulla tassa sul permesso di soggiorno per gli immigrati. Così, di fronte al forcing lumbard, Fini ha rilanciato la sua parola d’ordine: «La Lega faccia quel che vuole ma noi quella tassa non la votiamo nemmeno al Senato».Il clima pesante non piace per niente a Berlusconi. Non vuole ripercorrere il sentiero litigioso percorso nel 2001-2006. Evita di schierarsi apertamente nel braccio di ferro tra le due anime della Cdl. Ma le uscite di Fini lo indispettiscono. «Cerca visibilità - si è sfogato con i suoi - ma non si è reso conto che non lo seguono più nemmeno quelli di Alleanza nazionale. Se continua così diventa il leader del Pd». Parole che il capo del governo ripete da tempo. Come è successo sabato scorso sulla tassa sugli immigrati. «Sapeva benissimo - si era sfogato nella sua camera d’albergo a Cagliari - che non l’avrei fatta passare.
E invece ha dovuto fare uno show». Stesse lamentele sulla giustizia. Perché il premier non ha affatto digerito la lettera al Corriere. «Pensano di costringermi a fare quello che vogliono loro, pensano di circondarmi». E quegli altri sarebbero il Quirinale e il Csm, Giorgio Napolitano e Nicola Mancino. «Ma sappiano - ha avvertito - che una riforma come dicono loro, io non la faccio. Tanto vale lasciare tutto così com’è».Anche da parte di Fini i "non possumus" non mancano. Ieri la terza carica dello Stato se l’è presa soprattutto con il ministro per i rapporti con il Parlamento: «ha detto delle cose incredibili. Non poteva far finta di niente». Ma in gioco c’è il futuro del Pdl. Da tempo i vertici di An si lamentano per lo scarso peso assegnato nel nuovo partito.
Viene rimarcata la circostanza che non è previsto un ruolo per Fini nel Popolo delle Libertà. «Un ruolo - dicono i suoi fedelissimi - che dovrebbe essere alla pari di quello di Berlusconi». Del resto, bastava leggere mercoledì scorso l’intervista rilasciata al Tempo da uno dei principali consigliere di Fini, Alessandro Campi, e in privato rivendicata dal presidente della Camera: «Se il Pdl non cambia, An rischia di entrare in un calderone e rimettersi alla volontà di Berlusconi. Un suicidio politico». Insomma, la posta in palio è la guida e i compiti nel futuro del centrodestra. Di successione, però, Berlusconi non vuole sentire parlare. Soprattutto dagli attuali "contendenti".
Fonte: La Repubblica - Claudio Tito | vai alla pagina » Segnala errori / abusi
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Inserito il 08 marzo 2010 da 13881
Berlusconi sembra un monarca, probabilmente ancora gli italiani quelli della terza età sentono una nostalgia,e Fini, che è un vero democratico, non accetta più il peso del Capo. Vedo in un prossimo futuro un avvicinarsi di Casini, Fini, Pisanu che con parere favorevole di Letta, se vuole andare al Quirinale,dovrà benedire l'operazione per fare un grande centro. In italia si sente la mancanza di un polo moderatore forte e determinante perchè non siamo maturi ne per un bipolarimo e tantomeno per il bipartitismo; questo lo devono fare presto perchè la crescita della Lega e dell'IDV non lo permetterebbero più, in tal caso nord e sud si metterebbero d'accordo mutando completamente lo scenario politico italiano. luciano paci
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