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Dichiarazione di Luciano VIOLANTE
Se il governo non si fida dei suoi
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(15 gennaio 2009) - fonte: Il Riformista - Luciano Violante - inserita il 15 gennaio 2009 da 31
La decima fiducia negli otto mesi del governo Berlusconi pone due distinte questioni, una di ordine politico e l’altra di ordine costituzionale.Cominciamo dalla prima. La fiducia non è stata posta per far fronte all’ostruzionismo, che non c’era, ma per far fronte agli emendamenti che venivano dalla stessa maggioranza.
Se un Governo che ha un leader indiscusso, numeri del tutto tranquillizzanti in Parlamento, un soddisfacente tasso di fiducia nel Paese, decide di usare il voto di fiducia per fronteggiare dopo soli otto mesi la propria maggioranza, vuol dire che qualcosa non va. Una coalizione non sta insieme per ragioni disciplinari. Sta insieme per ragioni politiche: quando le sono proposti grandi obbiettivi di valore strategico, che sono trainanti, hanno una forza evocativa, prevalgono sugli interessi particolari.
Il primo Governo Prodi cadde dopo l’ingresso nell’euro perché non riuscì a proporre al Paese un nuovo traguardo. In assenza di un nuovo grande obbiettivo la maggioranza si dissolse. Oggi i problemi sono più gravi rispetto a dieci anni fa e occorrerebbe una ambizione all’altezza delle necessità. Sia ben chiaro: questa è la condizione in cui si trovano molte democrazie occidentali. Né avrebbe senso una polemica tra le opposte parti politiche perché l’indicazione di traguardi strategici manca a entrambe le coalizioni. I problemi, visibili tanto nel centrosinistra quanto, ora, anche nel centrodestra, sono determinati proprio dall’assenza di grandi obbiettivi attorno ai quali riunirsi o per i quali combattersi. Questo deficit, ripeto, non è solo italiano, ma in Italia per la fragilità propria delle nostre strutture sociali ed economiche, può produrre effetti più gravi. Il "dialogo" tra le due coalizioni di cui tanto si parla, anche a sproposito, dovrebbe riguardare proprio il futuro del Paese, cosa dovrà essere l’Italia dopo la crisi, che ruolo assegnerà a sé stessa nello scacchiere europeo e in quello mediterraneo.
Quando presentò il suo primo Governo, Giuliano Amato denunciò il rischio Disneyland; che l’Italia potesse essere considerato un grande parco giochi, dove prendere il sole, nuotare e divertirsi mentre gli affari, la ricerca, lo sviluppo produttivo si facevano altrove. Oggi forse non possiamo neanche ambire a essere Disneyland, visti i problemi dei trasporti, i costi degli alberghi, l’ammassarsi dei rifiuti in tante aree del Mezzogiorno. Rimboccarsi le maniche, "usare" la crisi per costruire il futuro, come ha suggerito il presidente Napolitano, potrebbe aiutare a mettere in primo piano gli interessi nazionali, a far rinascere un senso di responsabilità nazionale nelle classi politiche dirigenti, a rendere più solide entrambe le coalizioni.
La seconda questione è di carattere costituzionale.
Sta nascendo sotto traccia un sistema costituzionale parallelo, estraneo e contrario alle regole scritte nella Costituzione. Tanto il centrodestra quanto il centrosinistra hanno deciso di indicare sulla scheda elettorale il nome del candidato a Palazzo Chigi. La conseguenza è stata grave. L’unica figura istituzionale che appare in via di fatto legittimata direttamente dal consenso dei cittadini sembra essere il presidente del Consiglio. I membri del Governo non rispondono al Parlamento, ma al presidente del Consiglio che li ha scelti. I parlamentari sono stati "promossi" dai capi delle due coalizioni e, per la maggioranza, dallo stesso presidente del Consiglio, la cui decisione costituisce la fonte della loro legittimazione attuale e della loro ricandidatura futura. I parlamentari perciò rispondono non ai cittadini, ma al capo della coalizione che li ha scelti. La stessa cosa accadde nella scorsa legislatura, ma i numeri ridotti e la frammentazione del centrosinistra nascosero le distorsioni del sistema che stava nascendo.La miscela tra indicazione sulla scheda del nome del candidato alla presidenza del Consiglio e legge elettorale fondata sulla cooptazione ha cancellato il carattere rappresentativo del Parlamento e ha conferito, in via di fatto, il carattere di rappresentante dei cittadini al solo presidente del Consiglio.
Con due modifiche, apparentemente minori, abbiamo dato vita alla possibilità di sultanati elettivi. Ma a volte non si riesce a governare neanche con i sultanati. Il ricorso ordinario e continuato a strumenti di eccezione come la fiducia e il decreto legge, mai così elevato come in questa legislatura, sono insieme il segno della crisi istituzionale e il tentativo di non soggiacervi. Ma quando le regole sono forzate sino allo stravolgimento permanente, nascono mostri che portano in sé tutti i segni delle distorsioni e degli stravolgimenti che li hanno partoriti. L’allarme del presidente Fini riguarda certamente l’abuso delle fiducie, ma può riguardare in modo ancora più preoccupato il sistema che sta nascendo, dove il Parlamento diventerebbe un semplice luogo di ratifica delle decisioni dell’esecutivo e del suo capo. A questo punto l’unica soluzione è fare davvero e rapidamente le riforme. Sbaglierebbe il centrodestra se pensasse di poter continuare a governare mediante l’uso ordinario di misure eccezionali. La prima vittima sinora è stata la sua maggioranza. Prima o dopo il desiderio di riscatto dall’umiliazione potrebbe prevalere sul senso di coalizione. Sbaglierebbe il centrosinistra a dilazionare un vigoroso impegno in questa direzione. Darsi un grande obbiettivo servirebbe a uscire dalla crisi e a riprendere un dialogo con la parte più moderna del Paese.
Fonte: Il Riformista - Luciano Violante | vai alla pagina » Segnala errori / abusi