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Dichiarazione di Antonio BASSOLINO

Alla data della dichiarazione: Pres. Giunta Regione Campania (Partito: DS)  - Consigliere Regione Campania (Lista di elezione: DS) 


 

"Io cacicco? Vado avanti ma non tiro a campare. Ora pago per aver ascoltato troppo il partito" - INTERVISTA

  • (16 gennaio 2009) - fonte: La Repubblica - Alberto Statera - inserita il 16 gennaio 2009 da 31

    Il cacicco dei cacicchi, il vicerè di Napoli e della Campania Antonio Bassolino, non arretra di un pelo e, dopo il confessionale senza perdono di martedì scorso con Walter Veltroni e Massimo D'Alema al Largo del Nazareno, finalmente parla e si arrocca nella resistenza istituzionale a oltranza, negando orgogliosamente - vecchia, rocciosa scuola comunista - il ruolo di icona nazionale del malgoverno. Anzi è lui stesso a somministrarci didascalico la nascita nel lessico politico del termine e la fenomenologia del cacicco: "Guardi, per sua conoscenza, il termine cacicco fu usato in politica per la prima volta da Massimo D'Alema negli anni Novanta durante la stagione dei sindaci eletti direttamente dai cittadini. D'Alema si riferiva all'autonomia che conquistavano i primi cittadini. Autonomia giusta, termine critico. In un momento di crisi dei partiti l'autonomia dei sindaci fu il modo per riaprire il canale di comunicazione tra la politica e i cittadini".
    Non divaghi, presidente, stiamo parlando della sua "cacicchità", quella di uno che governa a Napoli e in Campania da quindici anni con il suo partito degli assessori e con i risultati che sono sotto gli occhi del paese e anche del mondo.
    "Allora D'Alema intendeva: attenzione sindaci, sono importanti anche i partiti. Oggi il termine cacicco viene inteso come sinonimo di capobastone. E allora dovremmo chiederci: a chi ci si riferisce? A chi lavora nelle istituzioni o a chi lo fa nel partito? Sergio Chiamparino non ha torto quando dice che i cacicchi abitano anche a Roma. Se a Roma intendono dire che non li stanno a sentire, io posso garantirle che sono sempre stato a sentirli, forse anche troppo".
    Ma ora le chiedono un passo indietro e lei, con la sua socia cacicca Rosetta Jervolino, li manda, come dire.
    "Guardi, io ho ascoltato il partito nel 2000, quando mi hanno candidato in regione. Avrei potuto completare il mandato di sindaco e poi stare a Roma a fare una vita più tranquilla. Ho ascoltato nel 2005, quando sono stato rieletto col 62 per cento in una regione che cinque anni prima era del centrodestra. Si disse che la mia ricandidatura rendeva meno difficili le elezioni politiche del 2006, nelle quali la Campania poteva essere determinante. E sa chi portò i 24 mila voti che consentirono a Prodi di diventare presidente del Consiglio?"
    Suppongo che sia stato lei.
    "Esattamente. Fui io che, nella notte chiamai Prodi per annunciargli: " Romano, ce l'abbiamo fatta". Forse sarebbe stato meglio che fossi stato a sentire un po' meno i vertici del partito. Altro che cacicco".
    E infatti ha deciso di non ascoltarli più.
    "Guardi, l'anno scorso nel momento piu critico era legittimo chiedere un mio passo indietro. Ne discussi con Veltroni e in quella discussione affermai il mio dovere di andare avanti e di non scappare, di rimanere sul campo per uscire dalla fase acuta dell'emergenza. Cambiai metà della giunta e affrontai un anno di intenso lavoro in collaborazione col governo, quello prima e quello dopo".
    Qualche risultato mediatico l'ha però portato a casa Berlusconi.
    "Io non sono un partito che ha il diritto-dovere di fare l'opposizione, sono un'istituzione che collabora con chi governa".
    La santificazione di Berlusconi per la monnezza (quasi) scomparsa è quindi dovuta anche a lei?
    "La settimana prossima si accende la prima linea di Acerra. Ho messo a disposizione 25 milioni di euro, più 75 su Salerno e 150 per il piani comunali di raccolta differenziata. E nessuno può negare che su Acerra sono sempre stato sulla linea giusta del sì ai termovalizzatori, combattendo contro ostacoli di centrodestra e di centrosinistra. Aprii io il cantiere di Acerra e con Beppe Pisanu ministro dell'Interno concordai di mandare la forza pubblica"
    Ergo, non ravvisa alcuna necessità di dimettersi neanche in vista delle elezioni europee che rischiano di essere un bagno pazzesco per il suo partito.
    "Tra febbraio e marzo, come dissi un anno fa, faremo il punto in consiglio regionale e vedremo se ci sono le condizioni politiche per andare avanti, o se dare la parola ai cittadini. Io comunque lavoro per andare avanti con l'approvazione dello statuto regionale, la metropolitana di Napoli, la rete del ferro, che è la più grande opera pubblica in costruzione dopo l'alta velocità. Le ricordo, tra l'altro, che l'alta velocità tra Roma e Napoli, fino a Gricignano di Aversa, l'abbiamo aperta un anno e mezzo prima del previsto. Se non si va avanti sarò io stesso a dire: decidano gli elettori".
    Ma Veltroni le aveva chiesto comunque un "gigantesco rinnovamento".
    "E ha ragione, ma il gigantesco rinnovamento deve esserci nelle istituzioni e anche nel Partito democratico. Io sono verso la conclusione della mia esperienza, la Iervolino non è più ricandidabile a sindaco di Napoli. Bisogna che anche il Pd si rinnovi nella costruzione della sua identità e nella strategia delle alleanze. Quanto a me non tirerò a campare".
    La sua esperienza proseguirà con un suo partito, una sua lista civica magari per ricandidarsi a sindaco di Napoli per la terza volta?
    "Io lavoro per fare il Pd e rinnovarlo. Il partito è nato troppo tardi rispetto a quando io stesso ne auspicavo la nascita nel 1996. Sono passati dodici anni e siamo stati stretti nella morsa tra la nascita ritardata e le elezioni politiche troppo anticipate per la crisi del governo Prodi".
    Le hanno offerto un seggio a Strasburgo se lascia subito?
    "Non se ne è affatto parlato con Veltroni e D'Alema. E in uno scenario difficile io lavoro per una maggiore unità del partito, per dare anche segnali che vengano da Napoli. Per esempio l'elezione, con il contributo del commissario Morando, di un nuovo segretario del Pd di Napoli all'unanimità".
    Chi? Lei stesso?
    "No, io l'ho già fatto da ragazzo. In un partito lacerato in molte parti d'Italia e a Roma, credo che da Napoli possa partire un segnale che non ci porti a elezioni europee e amministrative distruttive per il partito nascente".
    E se tutto esplode prima di giugno?
    "Il crinale è stretto, ma io intendo lavorare perché non esploda, perché sono convinto che nessuna forza riformista, ex Pci, cattolici, socialisti, laici, potrà mai essere da sola forza di governo e grande forza popolare di massa".
    Governatore, lei parla come se il caso Napoli non sia diventato l'epitome del malgoverno, come se non sia nata una questione immorale targata a sinistra. Non crede che ogni tanto sarebbe utile fare un po' di autocritica?
    "Napoli è la città più difficile d'Italia. Noi abbiamo introdotto cambiamenti forti non solo sul piano civico. Per anni è stata tra le città più pulite. Abbiamo fatto le piazze, riaperto i musei, fatto il metrò. Abbiamo fatto la prima privatizzazione di un aeroporto in Italia affidandolo al 70 per cento al miglior gestore europeo. E Capodichino, ricordatevene, era un suk arabo. Sapemmo interpretare lo spirito del tempo, l'elezione diretta dei sindaci anche in un comune in dissesto finanziario. Poi sono cominciate le difficoltà, gli scontri, con danni sulla fiducia, sull'identità, sull'orgoglio urbano che erano valori fondamentali di quel rinnovamento. E molti sono tornati a pensare: "Non c'è niente da fare". Un sindaco o un presidente di regione non può rovesciare i dati di un'economia ferma, non può creare industrie. La vicenda locale non è separabile da quella nazionale".
    Chiamata di correità?
    "A livello nazionale non si vinceva senza larga coalizione. In Campania il centrosinistra governava quasi tutto e quella coalizione larga era necessaria per vincere a Roma, mentre da noi sarebbe bastata una coalizione più stretta. Ma quei 24 mila voti che fecero vincere Prodi".
    Insomma, lei non demorde. Non si attribuisce neanche una delle tante colpe che le vengono accreditate?
    "Il presidente della regione era per prassi commissario ai rifiuti. Quando lasciai si succedettero Catenacci, Bertolaso, Pansa, Cimmino, De Gennaro e di nuovo Bertolaso. Io non ero più commissario da quattro anni quando la crisi esplose, anche se poi tutto è stato messo in conto a me".
    Presidente Bassolino, apprezziamo il suo orgoglio, ma non possiamo passare la sua totale autosantificazione. Chi ha fatto assunzioni clientelari invece di spendere i fondi comunitari per opere utili?
    "Alt. In regione l'unico concorso pubblico nella storia l'ho fatto io nel 2002, con l'assunzione di centinaia di ragazze e ragazzi. Non le racconto cosa dovetti affrontare per aver interrotto la pratica della chiamata diretta e clientelare. Il numero dei dirigenti è dimezzato. Per scelte come queste, per il mio onore e per quello del mio partito dovrà essere rivisto - mi auguro al più presto - il giudizio almeno su questi anni in cui abbiamo fatto tante cose positive".
    Presidente, neanche una piccola resipiscenza?
    "Credo si sappia che non mi piace perdere. Rivendico l'autonomia delle istituzioni dai partiti centrali, ma questa autonomia non deve diventare separazione. Si ripropone il tema del giusto rapporto tra centro e periferia".
    Chiamparino e i suoi colleghi sotto le Alpi vogliono fare il Pd del Nord.
    "E hanno ragione. Ma non solo il Pd del Nord, quello del Mezzogiorno, quello del Centro. Sarebbe un arricchimento per un grande partito nazionale che deve radicarsi sul territorio e non può nascere e agire solo a Roma. Il partito nazionale, se vuole decollare, deve avere la pazienza di confrontarsi con Chiamparino, con Cacciari, con Domenici, con me. E con tanti altri amministratori".

    Fonte: La Repubblica - Alberto Statera | vai alla pagina
    Argomenti: campania, bassolino, napoli, veltroni, pd, clientelismo, governatore, regione Campania, dirigenti, questione morale | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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