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Intervento alla Direzione nazionale Pd
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(19 gennaio 2009) - fonte: official web site - Pd Veneto - inserita il 21 gennaio 2009 da 31
Il merito della relazione del Segretario è di non aver eluso le questioni, né di aver lasciato che fatti giudiziari distorcessero l’agenda dei nostri lavori. E’ importante che il Segretario ci abbia ricordato in apertura che la grande questione del nostro paese è l’accentuarsi in forme intollerabili di una disparità sociale. Parliamo molto di giustizia, dobbiamo parlare di più di giustizia sociale Dopo la sconfitta elettorale abbiamo visto appannarsi rispetto alle aspettative e nella percezione dei nostri elettori il progetto politico, il nostro profilo programmatico, la reale innovazione nella forma partito. Ieri ho ricevuto, insieme al segretario, una lettera firmata dai dodici consiglieri regionali del partito Democratico del Veneto Nella lettera tra l’altro si afferma. “Chi ha assunto l’onere di creare attese e speranze ha anche la conseguente grande responsabilità di non disattenderle, ma constatiamo con grande amarezza che l’attuale dirigenza nazionale sembra più esprimere preoccupazioni per la propria visibilità piuttosto che attendere alle attese della base del partito. Dopo la sconfitta elettorale la mancanza di un progetto politico comprensibile alla gente comune assieme ad una scarsa presenza sul territorio, ha portato il partito a ripiegarsi su questioni che interessano più gli addetti ai lavori che i cittadini.” Se dirigenti di primo livello fanno queste considerazioni possiamo comprendere come sia diffusa una delusione a cui occorre offrire una prospettiva.Penso che per aprire questa necessaria nuova fase occorre partire, come ha fatto la relazione del segretario, da una piena consapevolezza che abbiamo davanti una crisi strutturale, sistemica, che per profondità, durata, intensità non ha precedenti nella storia recente del nostro paese. Dovremo affrontare fenomeni sociali inediti, con un generalizzato aumento della disoccupazione, anche in parti del territorio nazionale in cui la questione appariva definitivamente superata. Il paese è chiamato all’enorme fatica di una ulteriore profonda trasformazione, in un contesto sociale più debole e lacerato: partiti, sindacati, associazioni economiche più deboli e meno rappresentative, una mancanza di fiducia nelle istituzioni, ammortizzatori sociali naturali come la famiglia che nel passato sono stati capaci di stendere una rete di sicurezza oggi hanno meno potenzialità. Lo stesso tessuto valoriale appare consumato e fragile.
Da questa crisi il paese uscirà diverso. In parte dipenderà dal coraggio della buona politica orientare l’uscita dalla crisi. Sbaglia gravemente il Governo a sottovalutare come fin qui ha fatto e sembra intenzionato a fare anche per il futuro a sottovalutare la natura della crisi. Sbaglieremmo noi se non cogliessimo l’occasione per proporre al paese in modo credibile le nostre proposte, anche con necessarie rotture rispetto al passato. Cambierà il ruolo della politica, torna centrale la capacità della politica di offrire le necessarie mediazioni degli interessi sociali, una prospettiva in cui credere. E’ sempre stato il ruolo dei grandi movimenti riformisti. Perciò se il Partito democratico non ci fosse occorrerebbe realizzarlo oggi.
La storia ci insegna che quando una crisi economica che mette in discussione in modo generalizzato tenore di vita, fiducia nel futuro, che genera insicurezza diffusa, si aggiunge ad una scarsa efficacia delle istituzioni ed una sfiducia nella loro capacità di offrire risposte condivisibili da larghi strati del corpo sociale possono verificarsi gravi rotture nella tenuta democratica del paese. E’ evidente un rischio di una regressione in due direzioni: quella di un populismo del giustizialismo, dell’antipolitica, e quella di un populismo autoritario. Due strade diverse che portano allo stesso risultato: politiche autoritarie e securitarie che indeboliscono la tenuta democratica e la soluzione dei problemi, che hanno bisogno invece di una larga mobilitazione degli interessi popolari.
E’ in questo quadro di crisi e di nostra debolezza che le vicende giudiziarie che riguardano alcune amministrazioni diventano questione morale. Perché vicende che hanno colpito ed in modo anche più grave altri partiti (da PdL, alla lega, all’Italia dei valori) non hanno avuto le stesse conseguenze nell’opinione pubblica e nella base di quei partiti? Certo, il nostro elettorato è mediamente molto più esigente nel pretendere comportamenti individuali adeguati ai valori che professiamo. Ma in parte emerge anche da questo lato il disorientamento del nostro elettorato, una troppo debole fiducia nelle potenzialità del partito. Pesano anche nodi irrisolti, dal giudizio storico complessivo sulla stagione di tangentopoli a una equilibrata visione dei problemi della giustizia. Non illudiamoci che la soluzione sia quella dei codici etici rafforzati, delle espulsioni secondo le inchieste della magistrature. L’ho già vista questa storia. La storia ha sempre i suoi contrappassi. Ricordo quando quindici anni fa Rosetta Jervolino presidente del Consiglio nazionale della Dc distribuiva lettere di espulsione dal Consiglio nazionale a seconda degli avvisi di garanzia dei pubblici ministeri. Era sbagliato, perché la politica rinunciava a giudicare nel merito i propri dirigenti ed trasformava atti preliminari in giudizi di condanna. Non è servito naturalmente ad affrontare il nodo della questione morale.
E tuttavia ciò che conosciamo, poiché tutto diventa pubblico, può essere sufficiente a formarci un giudizio politico. Vedremo il quadro penale, perché per il momento emergono fatti ma anche ardite estrapolazioni da parte dei pubblici ministeri. Dal punto di vista politico dobbiamo dire che emerge in alcuni casi un drammatico calo dell’etica pubblica ed in generale l’idea di una politica che vuole estendere i propri spazi di intermediazione discrezionale anche quando non è necessaria e perde quell’autonomia, quell’imparzialità di giudizio che è il presupposto della capacità di seguire senza condizionamenti gli interessi generali, fino al punto di essere soggetti subordinati, felici di esserlo, a poteri economici pervasivi. Cosa spetta alla politica? Un grande rigore nella selezione e nell’accreditamento dei gruppi dirigenti. Le primarie servono a porre rimedio a gruppi dirigenti troppo chiusi ed autoreferenziali. Non servono ad impedire che il consenso si appoggi a pratiche di intermediazione non corrette. Occorrono gruppi dirigenti molto rigorosi nell’indicare i valori di merito e di competenza con cui selezionare i candidati. Non possiamo dire che nella selezione delle candidature per il parlamento sia andato tutto per il verso giusto, se è vero che il sen. Villari, di cui erano noti precedenti trasformistici, è stato ricandidato, mentre parlamentari universalmente apprezzati per competenze e linearità non sono stati ricandidati.
Occorre anche una iniziativa politica ben visibile e determinata nell’affrontare l’obiettivo della riduzione dell’intermediazione politica discrezionale quando non necessaria: pensiamo alla enorme pletora di società a capitale pubblico ma con regole di diritto provato che gemmano nei sistemi di potere locale, alla necessità di ridurre l’area degli enti pubblici e parapubblici, ad affrontare con più determinazione il tema dei costi della politica. Dobbiamo dire che tentativi fatti dal governo Prodi non hanno trovato nei nostri gruppi parlamentari tutto l’appoggio necessario.
Credo comunque che abbiamo il dovere di porre al centro della nostra agenda politica il tema della crisi. Le proposte in questo campo ci sono, sono state ben espresse nella relazione del segretario e sono state presentate in parlamento. Occorre che tutto il gruppo dirigente nella comunicazione con il paese si concentro su questo aspetto. Abbiamo le carte in regola per farlo. Se l’OCSE ci dice che l’italia è al secondo posto dopo gli Usa per disparità sociale abbiamo buoni argomenti per dire che le ricette della destra sono destinate ad aggravare questa disparità ,che le nostre politiche fiscali, di riorganizzazione del welfare, di maggiore libertà per le imprese e le professioni in un mercato ben regolato, la sottolineatura del ruolo essenziale dei beni pubblici per la tenuta sociale ed economica sono più adatte ad affrontare questa fase di trasformazione dell’economia mondiale.
Occorre che il gruppo dirigente si concentri su questi temi, li comunichi con continuità ed efficacia al paese, dando anche il senso di una passione civile che è stata alla radice dell’interesse per il partito nuovo. Rischio di dire cose banali, ma non per questo meno vere. I nostri militanti non capiscono che senso abbia promuovere due mezze televisioni invece di concentrare le risorse su una iniziativa editoriale condivisa, non accettano che vadano sulla stampa discussioni senza senso tra i segretari amministrativi del nuovo e dei vecchi partiti, in presenza di un doppio finanziamento pubblico.
Sulla forma partito sottolineo solo il tema della sfida della realizzazione del partito federale, così come previsto dallo statuto. La proposta di un partito del Nord, avanzata sia pure in forme diverse da Chiamparino e da Cacciari, corrisponde ad una aspettativa diffusa nei nostri territori tra militanti e dirigenti. Io penso che sia più innovativa e rispondente ai bisogni di questa fase politica un partito federale. Al Partito del Nord farebbe seguito una frammentazione complessiva in senso territoriale dello schieramento riformista. Per questo insieme mai segretari regionali del nord abbiamo scelto la strada di un Coordinamento. Ma occorre che il partito federale vi sia sul serio. Finora è stata troppo debole l’evoluzione in questa direzione. Pensiamo al tema del finanziamento dell’attività sui territori, al permanere di una struttura verticale dal centro all’ultimo circolo della periferia. Dobbiamo passare ad un modello in cui il partito centrale si occupa delle grandi questioni della linea politica, programmatica, comunicativa, lasciando più autonomia e responsabilità ai territori regionali.
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