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Dichiarazione di Renato BRUNETTA

Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: FI)  -  Ministro  PA e innovazione (Partito: PdL) 


 

Brunetta: «Basta lamenti, in Italia i migliori ammortizzatori sociali» - INTERVISTA

  • (07 marzo 2009) - fonte: Corriere.it - Aldo Cazzullo - inserita il 07 marzo 2009 da 2528

    Ministro Brunetta, è vera la voce che gira?
    «Quale voce?».
    Lei ha portato in Consiglio dei ministri un dossier per sostenere che gli ammortizzatori sociali funzionano benissimo così?
    «E' vero. Il ministro Sacconi e io abbiamo fornito ai colleghi alcuni dati. Che confermano una mia convinzione: il mercato del lavoro italiano, al di là delle sue contraddizioni, è mirabile, funzionale, efficiente, flessibile, reattivo, intelligente, e a modo suo equo. Molto "italian", ma con più luci che ombre. Con tanta gente che rischia e troppi privilegi, d'accordo. Ma, per come è andato costruendosi nel dopoguerra, con un insieme di pesi e contrappesi, sotto l'influenza di forze imprenditoriali e sindacali, istituzioni, territori, culture, è il più efficace d'Europa. Relazioni industriali e ammortizzatori sociali compresi. Marco Biagi diceva che era il peggior mercato del lavoro».
    E lei?
    «Io non sono d'accordo con Marco Biagi. Ed è proprio nei momenti di difficoltà come questo che il mercato del lavoro italiano dà il meglio di sé».
    Adesso, che i precari sono esposti al vento della crisi?
    «Mi rendo conto di andare controcorrente. Ma, nella realtà, nessuno è lasciato fuori. Vediamo il quadro generale. In Italia lavorano in 22 milioni. Il tasso di occupazione media e quello femminile è un po' sotto lo standard europeo; ma, se si aggiungono i 3 milioni e mezzo del sommerso, siamo in pari».
    Del sommerso c'è poco da rallegrarsi, non crede?
    «Il sommerso è stato una scelta sociale implicita, che svolge una funzione soprattutto nei tempi di crisi. Il sommerso è un grande ammortizzatore sociale. Attenzione: non grido "viva il sommerso". Prendo atto della realtà».
    Sicuro che nessuno sia lasciato fuori?
    «Noi abbiamo un buon sistema di ammortizzatori sociali. Certo, con figli e figliastri. Però capace di distinguere, di adeguarsi, di coprire tipologie diverse: i lavoratori delle imprese industriali, quelli del settore agricolo, i lavoratori a termine, gli autonomi, ognuno ha i propri strumenti: cassa integrazione ordinaria, cig straordinaria, cgis in deroga, indennità di mobilità, indennità di disoccupazione, ammortizzatori in deroga... Resta fuori un pezzo dei cocopro».
    Cocopro?
    «Lavoratori coordinati e continuativi a progetto. Una forma ibrida: lavoro autonomo ma con un solo committente. Anche qui però è prevista una specifica indennità una tantum. E poi in Italia il peso del lavoro atipico è il più basso d'Europa».
    Sta dicendo che non serve l'assegno per chi perde il lavoro proposto da Franceschini?
    «Roba da apprendisti stregoni. Da riformatori immaginari. Un po' ignorantelli, un po' radical chic, che non riescono a capire il funzionamento del mercato del lavoro e i valori sottesi. Gli ammortizzatori sociali funzionano proprio in quanto segmentati e diversificati. Sarà una balcanizzazione; ma funziona. Questo non piace alla sinistra astratta e ideologica, che vorrebbe un assegno uguale per tutti. Benissimo. Facciamo un test. A quale livello fissiamo l'importo dell'assegno? Alto, medio, minimo?».
    Chiediamolo a Franceschini.
    «No, me lo dica lei. Medio? Ma allora il lavoratore atipico troverà più conveniente smettere di lavorare e incassare l'assegno. Basso? Peggio ancora: si lamenterebbero i lavoratori in cassa integrazione, che oggi prendono di più. Alto? Scoppierebbe la rivoluzione: i disoccupati ci inseguirebbero con i forconi, gli altri sarebbero indotti a incassare e lavorare in nero».
    Tutto bene così, allora?
    «Non dico questo. Servono interventi per rispondere alla crisi: infatti ci sono 8 miliardi per la cassa integrazione in deroga. Il sistema ha bisogno di manutenzione; non di stravolgimenti. Si tratta di mantenere il giusto equilibrio: non abbandonare chi perde il lavoro a se stesso; ma neppure dare troppe garanzie. Ammortizzatori sociali, non bancomat. Investire solo lì significherebbe condannare le imprese a chiudere; e invece il vero sforzo — credito, fidi, filiere tecnologiche — va fatto per tenerle in vita. Vuole un'altra prova del fatto che il sistema funziona?».
    Un'altra prova?
    «Gli unici che non hanno ammortizzatori sociali, perché non ne hanno bisogno, sono i miei 3 milioni e 600 mila dipendenti pubblici. E la pubblica amministrazione è anche l'area meno efficiente. Nessun rischio di disoccupazione, e poca produttività ».
    Avete anche voi lavoratori a termine, però.
    «Circa il 10%, tutelati con due forme di indennità di disoccupazione, ordinaria e a requisiti ridotti. Una percentuale fisiologica, a parte l'aberrazione — da sanare — dei contratti prorogati di volta in volta per una vita».
    La riforma delle pensioni va fatta o no?
    «Affrontare il tema ora significa creare uno stress inopportuno per il sistema e la coesione sociale. Resta un fatto: il vero problema è il welfare pensionistico. E resta valido l'obiettivo di superare le pensioni di anzianità e passare al contributivo per tutti, senza però creare oggi questo stress».
    Per ora niente pensione a 65 anni per le donne?
    «E' un discorso diverso. Su donne e pubblica amministrazione siamo stati condannati in Europa. Credo che la soluzione sarà l'innalzamento perequativo decennale, senza particolari stress. E ciò che sarà risparmiato andrà investito nel mercato del lavoro femminile. Perché l'altra grave anomalia italiana, accanto alle pensioni, è la discriminazione delle donne».

    Fonte: Corriere.it - Aldo Cazzullo | vai alla pagina
    Argomenti: Donne, welfare, lavoro, pubblica amministrazione, disoccupazione, precari, lavoro femminile, precarietà, dipendenti pubblici, crisi economica, età pensionabile, ammortizzatori sociali | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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Commenti (1)

  • Inserito il 08 marzo 2009 da 4110
    Brunetta si è troppo calato nel pubblico impiego. Non capisce più dove finisce il posto di lavoro garantito e dove inizia la disperazione.

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