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Dichiarazione di Romano PRODI
Europa dell'Est, ecco perchè si vuole creare un capro espiatorio.
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(15 marzo 2009) - fonte: Il Messaggero - inserita il 16 marzo 2009 da 31
Crisi, dalla Lettonia all’America
Avevamo tutti imparato che la crisi economica era partita dagli Stati Uniti, aveva infettato l’Europa e l’Asia, e si era poi diffusa in tutto il mondo, devastando anche i Paesi più poveri.
Credo che le cose stiano proprio così.
Per questo motivo sono stato molto colpito dal fatto che i giornali e le televisioni degli Stati Uniti e della Gran Bretagna abbiano, nelle ultime settimane, dedicato uno spazio smisurato alle difficoltà dei Paesi dell’Europa Centro-Orientale.
Il giudizio negativo nei confronti di questi Paesi è talmente forte da far pensare che essi, anche se non la causa della crisi, ne siano almeno attori principali, tanto da mettere a rischio l’economia dell’intera Unione Europea.
È evidente che un’interpretazione di questo tipo può contribuire ad alleviare la tensione nell’opinione pubblica americana e, ancora di più, in alcuni Paesi europei come Gran Bretagna, Irlanda e Spagna, Paesi dove gli eccessi dei mercati immobiliari, uniti a spericolate operazioni finanziarie, avevano contribuito all’aggravamento della crisi.
Mi sembra tuttavia opportuno chiarire come stiano davvero le cose, sottolineando il fatto che alcuni di questi Paesi sono messi davvero male (come la Lettonia e l’Ungheria), mentre altri, (come la Slovacchia, la Repubblica Ceca e la Polonia) navigano nella tempesta non certamente peggio dei Paesi della “vecchia Europa”.
Ed è ancora più importante sottolineare che quello che possiamo definire (anche se con linguaggio non scientifico) il “buco finanziario” di questi Paesi presi tutti insieme, non raggiunge la dimensione quantitativa del “buco” di una sola impresa americana, come il colosso assicurativo Aig.
Quando, con titoli cubitali, si parla della crisi della Lettonia come fattore di rischio per tutta l’Europa, non ci si vuole rendere conto che l’intera economia di questo Paese ha una dimensione pari a quella di una medio-grande provincia italiana.
Un po’ diversa è la situazione dell’Ungheria ma, complessivamente, si tratta di cifre che possono essere messe in equilibrio con misure alla portata dell’Unione europea anche in questo periodo di grande difficoltà.
Naturalmente questo intervento sarebbe più facile ed efficace se avessimo uno strumento a livello europeo come gli eurobonds o un altro strumento comune, capace di fare capire ai potenziali speculatori che non possono nemmeno pensare di assalire prima la Lettonia, poi l’Ungheria e (dopo aver creato un sufficiente panico) anche la Grecia e l’Irlanda, per arrivare magari fino alla Spagna e all’Italia.
Allo stesso modo viene naturalmente ridimensionato anche il rischio delle banche svedesi, tedesche, italiane e francesi che hanno acquistato istituti bancari dell’Europa Centro-Orientale. L’impegno in questi Paesi costituisce infatti una parte non molto rilevante rispetto alla dimensione totale delle banche della “vecchia Europa”.
Il discorso fatto prima riguardo all’economia dei Paesi può estendersi quindi, con un legittimo parallelismo, agli equilibri finanziari delle banche. A questo proposito, è opportuno sottolineare a titolo di esempio, che il credito totale delle banche di tutti i Paesi dell’Europa Centro-Orientale, rappresenta poco più dell’80% delle banche del Benelux (Belgio, Olanda e Lussemburgo).
Tali osservazioni non debbono spingerci a trascurare il problema, ma ci invitano semplicemente a valutarlo nella sua giusta dimensione quantitativa. E nel conto bisogna anche aggiungere il fatto che i Paesi dell’Europa Centro-Orientale hanno avuto negli scorsi anni un tasso di sviluppo molto forte e che , se non li abbandoniamo in questo periodo di crisi, manterranno probabilmente un forte ritmo di crescita anche per il futuro, una volta superata questa fase di emergenza.
Nel prossimo fine settimana avremo di nuovo un vertice europeo. Mi auguro che questo problema venga affrontato con la consapevolezza di avere in mano tutti gli strumenti per risolverlo. Parlo naturalmente degli strumenti economici, perché sotto l’aspetto politico, l’Unione europea non sta certo offrendo l’esempio di sapere prendere le decisioni contro la crisi con la rapidità e la solidarietà che sono oggi necessarie.
Il problema, allora, non è l’ipotesi di un crollo della Lettonia, ma solo la nostra incapacità di prendere decisioni. Se questo è lo stato delle cose, la crisi di un pur piccolo Paese non potrà che tradursi nel crollo della credibilità dell’intero sistema.
Mi auguro perciò che i responsabili della politica europea siano coscienti della forza che insieme possono esercitare e mi auguro anche che la esercitino con la necessaria rapidità. In questo caso la solidarietà è anche conveniente.
Fonte: Il Messaggero | vai alla pagina » Segnala errori / abusi