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(30 marzo 2009) - fonte: Il Mattino - Antonio Troise - inserita il 30 marzo 2009 da 31
Pietro Ichino, giuslavorista e senatore del Pd, non si iscrive nè al partito dei catastrofisti nè a quello degli ottimisti. Sui numeri, insomma, dà ragione a Sacconi. Ma ha una sua ricetta per fare fronte all’emergenza lavoro che potrebbe abbattersi sull’Europa. Si chiama «flexecurity» e, in sintesi prevede uno scambio: più tutele per chi perde il lavoro in cambio di una maggiore flessibilità nei licenziamenti.
Ieri, al G8 sociale, i sindacati hanno lanciato l’ennesimo allarme sul fronte dell’occupazione. Nei prossimi mesi la crisi diventerà più acuta?
Nessuno è in grado di dirlo con sicurezza.
Sacconi ha invitato alla cautela sulle previsioni.
In questo gli do pienamente ragione.
Davvero oggi è impossibile avanzare ipotesi realistiche sulla crisi?
Dagli Usa e dalla Germania arrivano segnali positivi; ma è giusto stare attenti a evitare che un eccesso di ottimismo, se poi i fatti economici non corrispondono, produca un contraccolpo di sfiducia ancor peggiore rispetto alla situazione attuale.
Qualcuno dice che la crisi costituisce un’occasione da non perdere per riformare strutturalmente il mercato del lavoro. È d’accordo?
Sì. È questo il momento di dotarci, per le assunzioni future, del nuovo diritto del lavoro di cui avremo bisogno nel momento in cui il vento tornerà a gonfiare le nostre vele.
Perché è necessario farlo proprio oggi?
Perché altrimenti, in questa situazione di grave incertezza sul futuro, la quota del lavoro precario, nelle nuove assunzioni, è destinata ad aumentare molto.
Sbaglio o lei sta portando il discorso sul suo disegno di legge presentato nei giorni scorsi, che si propone di traghettare il nostro mercato del lavoro verso un sistema di flexsecurity?
Non sbaglia. Sono convinto che il nostro sistema ne abbia urgente bisogno.
Può essere una risposta anche per chi perde oggi il lavoro?
Soprattutto per chi perde oggi il lavoro: è il solo modo per aumentare le possibilità di ricollocazione a tempo indeterminato, con un lavoro di serie A, con un sistema di protezione nord-europeo.
Come dovrebbe funzionare?
L’idea è questa: nelle aziende disposte ad assumersi il costo di una assistenza integrale al lavoratore nel mercato, ivi compreso un trattamento di disoccupazione di livello danese, si applica anche una disciplina dei licenziamenti di tipo danese.
Non c’è il rischio che costi troppo, perché le aziende scelgano di partecipare al progetto?
No: l’ingessatura dei rapporti di lavoro determinata dal nostro vecchio diritto del lavoro costa molto più di quanto costi un sistema moderno ed efficiente di assistenza ai lavoratori nel mercato.
Può essere più preciso?
Quell’ingessatura determina una peggiore allocazione delle risorse umane nel tessuto produttivo; produce delle posizioni di rendita; è causa di una mortificazione sistematica del merito nel confronto tra vecchie e nuove generazioni. D’altra parte, puntare sull’impegno delle imprese è l’unico modo realistico di progettare un sistema efficiente “alla danese” di assistenza nel mercato del lavoro.
Perché?
Il progetto prevede che il trattamento economico e i servizi di riqualificazione vengano erogati da un ente bilaterale o consortile, costituito e finanziato dal gruppo di imprese che liberamente si associano per dar vita all’esperimento. Si attiva in questo modo un forte incentivo all’efficacia dei servizi: più rapida sarà la ricollocazione del lavoratore licenziato, minore sarà l’esborso a carico dell’ente per il trattamento di disoccupazione.
Il nuovo sistema riguarderebbe anche i lavoratori precari?
Nel nuovo regime non ci sono precari: tutti, o quasi, sono assunti a tempo indeterminato; ma nessuno è inamovibile. Tutti possono essere licenziati, ma nessuno può essere abbandonato a se stesso nel mercato.
Fonte: Il Mattino - Antonio Troise | vai alla pagina » Segnala errori / abusi