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Dichiarazione di Marco BELTRANDI

Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) 


 

DL sicurezza: intervento di Marco Beltrandi alla Camera

  • (07 aprile 2009) - fonte: www.radicali.it - inserita il 07 aprile 2009 da 1115
    Signor Presidente, onorevoli colleghi, proprio in un momento così tragico per il nostro Paese, i radicali eletti nelle liste del PD ritengono doveroso il massimo impegno nelle attività parlamentari, che includono anche attività di opposizione ad un provvedimento che non si condivide tutto, a differenza di quanto affermato da molti in questa aula prendo la parola per illustrare il complesso degli emendamenti presentati da noi radicali, eletti nelle liste del PD, al provvedimento in esame. La storia radicale è stata costantemente connotata da un severo rispetto del principio dello Stato di diritto che, in ogni democrazia, dovrebbe esserne contemporaneamente fondamento e “prodotto”. Nel 1976, per la prima volta entrando in quest’Aula, gli eletti radicali riuscirono a “conquistare” gli scanni posti all’estrema sinistra dell’emiciclo, postazione che tutt’oggi, simbolicamente e in continuità con quella scelta, occupiamo. Ci si continua a dividere in quest’Aula, oggi come ieri, in due “parti”: c’è, da una parte, quella che dice di credere in modo prevalente a certi valori di autorità, dall’altra, invece dice di credere in modo prevalente a certi valori di libertà. Eppure nessuno, o quasi, si spende oltre la propria voce, bensì con l’azione politica che naturalmente dovrebbe seguire le parole, ridotte letteralmente a mero flatus voci, per impedire la menomazione della libertà causata dalla mancata attuazione della Costituzione. Un tempo i De Pretis, ma ancor meglio i Crispi, incarnarono l’esempio di politici che, partendo da posizioni inizialmente popolari, conclusero la propria opera di governo manifestando tendenza autoritarie e nazionaliste. E già allora questo modus operandi proveniva da coloro i quali occupavano i banchi riservati in quest’aula all’esecutivo. In quel ritorno alle forme democratiche, non sempre alla sua essenza, che ha assunto il nome di “prima Repubblica”, ci fu l’esempio emblematico della c.d. legge Reale, licenziata dal Parlamento, ma proposta dal Ministro della giustizia, grazie alla quale ancor oggi è ricordato per aver introdotto nell’ordinamento giuridico la misura del fermo giudiziario nonché ampliato la possibilità di uso delle armi da fuoco da parte delle forze dell’ordine. Ora non è più tempo per queste scelte, basti considerare i tagli in bilancio che sono stati fatti contro le forze dell’ordine, producendo quel “disordine costituito” che, come potrebbe proporre un qualsiasi anarcocapitalista , delega ai privati ogni funzione statuale, compresa quella del controllo del territorio e il mantenimento dell’ordine pubblico. Ebbene, di cosa si tratta se non di delega di funzioni statuali a gruppi di privati, per ottenere quella che si vuol far credere possa essere una maggiore tutela della collettività, l’istituzione delle c.d. ronde? E’ per questa via che si crede di poter dare soluzione ai problemi affrontati dal provvedimento in esame? I Sabaudi ereditarono dai Borboni un metodo di controllo d’una parte del territorio italiano: la Sicilia. I proprietari terrieri, i latifondisti, spostarono la sede delle proprie dimore prima a Palermo, poi a Napoli, per finire a Roma. Essi delegarono ai propri campieri e manutengoli il compito di tutelare l’ordine sul territorio siciliano. Il proseguio della storia è inutile e dannoso da continuare a narrare, poiché è una storia che non ha avuto un lieto fine. Noi utilizzammo per la prima volta la definizione “Caso Italia”, nel 1984, convocando un convegno a Strasburgo, presso la sede del Parlamento europeo, dal titolo“Lo stato della giustizia in Europa. Il caso Italia”. Potrei sintetizzarne il contenuto: era un appello all’Europa per le condizioni della giustizia in Italia, ancor oggi attuale, legittimo e doveroso, a causa del permanere e dell’aggravarsi, nel nostro ordinamento, di certe condizioni che si fondano su meccanismi e logiche che rischiano di lasciare nella vita del diritto e della giustizia un segno irreparabile i cui confini e limiti nello spazio e nel tempo sono difficilmente identificabili e prevedibili. Le “emergenze”, che già tanto hanno negativamente influito sull’evoluzione della legislazione continuano a legittimare, innanzi alla pubblica opinione, la adozione di misure straordinarie che evidenziano per alcuni, celano per altri, la fragilità del nostro sistema, sostanzialmente estraneo alla tradizione liberale e garantista che connota ogni istituzione intimamente e non solo formalmente democratica. Già la mia collega, Rita Bernardini, durante la discussione sulle linee generali, ha evidenziato come la giustizia italiana attenda da anni la riforma organica. La risposta di questo Governo è stata, purtroppo, inversa: dietro il velo dell’emergenza si nasconde, ad esempio la volontà di ampliare i casi di carcerazione obbligatoria del presunto reo. Eppure il principio della presunzione d’innocenza nacque in Italia, grazie agli scritti di metà del secolo XVIII di Pietro Verri e di Cesare Beccaria. Oggi, grazie all’iscrizione di tale principio nella Costituzione, all’art. 27, la presunzione d’innocenza è elevata (formalmente) a principio cardine del nostro ordinamento. Ma non siamo in un paese anglosassone ove, pur senza un testo unitario scritto, il rispetto della Costituzione rappresenta il vero collante sociale, tanto da potersi permettere il lusso di non conoscere la nozione giuridica dello Stato. Noi abbiamo scritte magnifiche norme, mai applicate, oppure interpretate secondo la volontà del potente di turno che trasforma la carta fondante l’intero sistema in qualcosa di “materiale” che, a differenza del nome, è fluido quanto basta per prendere forme e volumi appropriati alla bisogna contingente. Ma le misure che i nostri emendamenti mirano a “scongiurare” sono purtroppo numerosi e gravi: secondo quanto affermato nella relazione illustrativa e precisato nelle premesse del decreto-legge, l’adozione del provvedimento è legata alla straordinaria necessità ed urgenza di introdurre misure per assicurare una maggiore tutela della sicurezza della collettività, a fronte dell’allarmante crescita degli episodi collegati alla violenza sessuale, attraverso un sistema di norme finalizzate al contrasto di tali fenomeni e ad una più concreta tutela delle vittime dei suddetti reati, all’introduzione di una disciplina organica in materia di atti persecutori, ad una più efficace disciplina dell’espulsione e del respingimento degli immigrati irregolari, nonché ad un più articolato controllo del territorio. Ebbene, il Ministro per le pari opportunità, in Commissione, non si è sottratta alla verità: nel corso del 2008, vi è stata una diminuzione dell'8,4 per cento dei casi di violenza sessuale. Quale sarebbe, quindi l’utilità di questo provvedimento, sottoposto al nostro esame, oltretutto, sotto forma di decreto legge? Quale la necessità e l’urgenza? Tornando alle misure proposte, si distinguono in negativo le norme che ricorrono in modo abnorme all’applicazione della presunzione di pericolosità e che su di essa fondano la necessità del ricorso alla sola custodia cautelare. Custodia cautelare che finisce così per divenire da misura di garanzia della funzionalità del procedimento penale a vera e proporia misura preventiva anticrimine, con uno stravolgimento dei principi costituzionali. Molti dubbi sulla legittimità costituzionale della previsione si possono infatti nutrire, a causa del mancato equilibrio raggiunto tra la tutela della libertà personale, di cui all'articolo 13, comma 1, della Costituzione, e le esigenze di tutela della collettività, con queste ultime che conculcano, di fatto, le garanzie che vanno riconosciute a tutti i cittadini imputati di qualsiasi reato. La modifica in discussione, finisce per impedire una valutazione di adeguatezza della misura, di regola opportunemente demandata al giudice, essendo valutazione strattamente legata alle particolarità del caso concreto, . Ciò, è innegabile, “garantirebbe” un ulteriore aumento dei detenuti in attesa di giudizio, che – lo ribadiamo -sino a sentenza passata in giudicato, dovrebbero essere considerati non colpevoli. Ma si viola solo la Costituzione, nello specifico, come già detto, l’art. 27.o anche il diritto comunitario? Ebbene le disposizioni contenute nella recente la direttiva 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio europeo del 16 dicembre del 2008 fanno ritenere che questo decreto-legge sia in contrasto col diritto comunitario.. Per tornare agli “eredi attuali” dei manutengoli e dei campieri, di cui ho già detto, sono stati molti i sindacati e gli esponenti delle forze di polizia, che si sono pronunciati proprio contro l'articolo 6 di questo provvedimento, che prevede l'istituzione delle associazioni volontarie di cittadini, cioè delle ronde. Torno allo specifico degli emendamenti da noi presentati: all’articolo 1 intendiamo evitare che si possa comminare automaticamente l’ergastolo per l’autore del delitto di “stalking” che commette un omicidio. All’articolo 2 intendiamo apportare emendamenti al fine scongiurare un uso obbligato della custodia cautelare in carcere, per coloro i quali sono imputati di reati di violenza sessuale. Inoltre si prevede una significativa contrazione dei termini massimi di custodia cautelare per quasi tutte le ipotesi di reato ivi previste, al fine di non sacrificare per periodi eccessivamente lunghi la libertà personale del cittadino-imputato, in quanto tale presunto innocente fino a sentenza definitiva. All’articolo 3 l’esclusione dei benefici penitenziari fondati solo sul titolo del reato introducono una deroga ai principi contenuti nella legge Gozzini, che rappresenta un indiscutibile baluardo dei diritti civili dei detenuti, potenzialmente in grado di aprire a futuri, possibili interventi di modifica della legge stessa, con il rischio di vanificare la indubbia e proficua capacità di risocializzazione dei rei, dimostrata dai risultati ottenuti con l’adozione di misure alternative al carcere, e di aggravare la condizione di vivibilità nelle carceri sempre più sovraffollate. L’emendamento all’articolo 4 è interamente sopressivo poiché è ammesso il patrocinio a spese dello Stato anche se la vittima non si trova in una situazione di disagio economico. Per la prima volta, e piuttosto curiosamente, viene pertanto previsto che anche una persona abbiente possa essere ammessa al patrocinio a spese dello Stato. Sei sono gli emendamenti all’articolo 5. Con i primi tre si intende revocare in dubbio i presupposti legittimanti una ulteriore proroga del provvedimento di trattenimento in caso di cittadini stranieri. Essi non possono essere danneggiati per il solo fatto che l’amministrazione trova delle difficoltà di natura meramente oggettiva (come i ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai Paesi terzi). Vogliamo evitare che l’amministrazione possa essere svincolata da qualunque presupposto di “colpa” del destinatario. Il quarto vuole riportare al tribunale , le competenze che si vogliono affidare ad un giudice non togato, addestrato ad amministrare una giustizia “minore” ed assolutamente privo di ogni competenza in punto di libertà personale. Il quinto evidenzia come dovrebbe considerarsi meramente residuale la misura del trattenimento rispetto ad altri provvedimenti meno coercitivi. L’ultimo introduce, fra i presupposti legittimanti il trattenimento fino ad un periodo massimo di 180 giorni, la necessità che sia stato già posto in essere, da parte dell’autorità amministrativa procedente, il massimo sforzo possibile nell’assicurare il rimpatrio immediato. Tre sono gli emendamenti all’articolo sei. Il primo esclude la possibilità che si formino le c.. ronde poiché, una simile disposizione, se approvata, sarebbe destinata non certo a garantire sicurezza, ma piuttosto ad innescare per legge una spirale di violenza e ritorsioni cui non sarà poi agevole porre freno. Garantire la sicurezza dei cittadini è compito esclusivo dello stato, con l'appaltarla a "bande" di privati lo stato dichiara di aver fallito il proprio compito e ad esso abdica. Sostituire allo Stato i cittadini organizzati significa ripercorrere a ritroso, per decreto, secoli di civiltà. Il secondo esclude la possibilità di ricorrere alla categoria del “disagio sociale” perché non sufficientemente definita. Disagio che, eventualmente, non dovrebbe essere segnalato alle forze dell’ordine, bensì ai servizi di assistenza sociale. L’ultimo precisa che le associazioni devono essere “riconosciute” ai sensi del codice civile (sarebbe infatti opportuno prevedere la loro formale costituzione e l’elaborazione di uno “statuto tipo”, il tutto onde evitare, in un settore così delicato, la formazione di associazioni in tutto o in parte segrete, in violazione dell’art. 18 della Costituzione). L’ultimo emendamento concerne l’articolo 9. Con esso, si mira ed eliminare l’estensione dell’ipotesi di incidente probatorio contemplata dal comma 1 bis dell’art. 392 cpp al reato di” atti persecutori” poiché è totalmente ingiustificata in quanto la natura del reato contemplato dal nuovo art. 612 bis c.p. e la sua relativa gravità non consentono in alcun modo di ipotizzare che possano verosimilmente porsi in atto da parte del reo o di terzi condotte volte a condizionare la persona offesa sì da indurla ad una “ritrattazione” rispetto a quanto eventualmente dichiarato al P.M. in sede di indagini preliminari, né tanto meno consentono di ritenere il rischio di una alterazione del ricordo conseguente al trauma subito. Detti pericoli, detto in altri termini, non avrebbero più probabilità di verificarsi che con riguardo ad ogni altro fatto di reato che veda un minore quale persona offesa. In conclusione, Come ha già detto Rita Bernardini, questo è un decreto-legge che non è in grado di risolvere le necessità dei cittadini italiani: la richiesta d’una di una giustizia giusta, efficiente e che sappia superare l’empasse che ci vede strangolati da oltre 8 milioni di processi pendenti molti dei quali non potranno essere mai celebrati, forse, anche grazie all'obbligatorietà dell'azione penale, che lascia ai magistrati e poi alle procure la possibilità di scegliere quali reati perseguire e quali, invece, lasciare che cadano in prescrizione. Auspicando che questo stesso Parlamento, approvando una nostra mozione, che ha raccolto consenso bipartisan e che indica i punti precisi di una riforma della giustizia, possa essere un punto comune di partenza per apportare le necessarie modifiche proposte al provvedimento in esame.
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