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Dichiarazione di Antonio POLITO


 

Questa Italia è un Paese da rottamare

  • (09 aprile 2009) - fonte: Il Riformista - inserita il 09 aprile 2009 da 31

    Siamo davvero uno strano paese. Discutiamo seriamente se sia possibile prevedere i terremoti (impossibile), ma ci sembra impossibile prevenire il crollo delle case (possibilissimo).
    Rottamiamo con piacere la nostra auto ancora funzionante, ma ci teniamo scuole ed edifici pubblici che cadono a pezzi.
    Scambiamo volentieri la sicurezza con la proprietà, e per farci la seconda casa, o per dare la prima ai nostri figli, ci affidiamo a un geometra sbrigativo, a un`impresa abusiva, a una licenza compiacente. Quello che è successo all`Aquila avrebbe dell`incredibile in ogni landa del Nord Europa.

    E’ saltato un ospedale consegnato appena nove anni fa. E’ crollata la prefettura. E’ caduta la Casa dello studente. Che vengano giù le casette in pietre di un secolo fa, che si accartoccino i presepi sui cocuzzoli delle montagne, lo si può capire. Ma che si sfasci l`ossatura stessa della comunità e delle sue funzioni pubbliche (la sanità, il governo, l`università), edificata appena ieri o l`altro ieri, questo no. E' incomprensibile. E dovrebbe essere intollerabile.

    Ogni calamità naturale scoperchia due tratti del nostro carattere nazionale. Il primo è un certo scetticismo nei confronti della tecnica, un fatalismo di fondo, una melodrammatica arrendevolezza alla forza del destino.
    Sembriamo un paese assuefatto dalla prima legge di Murphy: «Se qualcosa può andar male, lo farà». E invece la tecnica, oggi, può fare andar bene quasi tutto. Volete un grattacielo che non cada con un terremoto? Si può fare (lo fanno in California). Volete un Ponte sullo Stretto che resista a un cataclisma? Si può fare (l`hanno fatto in Svezia). Volete un treno che vada a 431 chilometri all`ora senza poggiare su rotaie? Si può fare (l`hanno fatto a Shanghai). Si può fare tutto. Però ci vogliono ingegneri, architetti, inventori, nuovi materiali. Per avere un indizio della nostra arretratezza, contate il numero di brevetti che ogni anno si registrano in Italia, e confrontateli con quelli degli altri paesi moderni. Oppure contate il numero degli ingegneri in parlamento e confrontatelo con quello dei giornalisti. Il secondo tratto del nostro carattere nazionale è la tendenza ad essere conservatori senza saper conservare.
    Gli intellettuali sono conservatori perché hanno paura del nuovo. Vorrebbero conservare intatte le nostre città e i nostri villaggi, perché - dicono si tratta di un patrimonio unico, e guai a guastarlo. E così, appena si parla di costruire ex novo, giù petizioni di architetti e urbanisti in rivolta. Abbiamo ormai smesso di considerare gli insediamenti umani come organismi vivi che cambiano, crescono, si trasforma no, qualche volta muoiono.

    Ci comportiamo come se fossimo l`ultima generazione che calcherà il sacro suolo d`Italia, e il nostro compito non fosse altro che di consegnarlo alla Storia. Ma, allo stesso tempo, i governanti non sanno conservare ciò che gli intellettuali vogliono conservare. Conservare è un lavoro duro, costoso, impegnativo. Richiede anch`esso tecnica e ingegno. Conservare un centro storico è un`opera immane. Può valerne la pena, ma bisogna farlo. Altrimenti per conservarlo lo si distrugge.
    Se la nostra cultura rifiuta le new town perché ci sembrano delle banlieue, le nostre Regioni e i nostri Comuni dovrebbero investire il doppio di risorse ed energie. Vorrebbe dire che siamo abbastanza ricchi da permettercelo, come un collezionista di auto antiche, disposto a spendere una fortuna per un pezzo di ricambio. Ma se non ce la facciamo, dobbiamo tirar su qualche new town, e smetterla di discutere. Per costruire bisogna essere moderni; ma per conservare bisogna essere iper-moderni. E questione di soldi? Direi di no. Secondo Gianantonio Stella, che l`ha scritto ieri sul Corriere, dal 1945 al 1990 solo «per tamponare i danni di catastrofi naturali varie, sono stati spesi 75 miliardi di euro e cioè quasi 140 milioni al mese», e dal conto mancano il sisma del `90 in Sicilia, quello del 1997 in Umbria e Marche, quello del 2002 a San Giuliano di Puglia. E allora questioni di leggi? Nemmeno. Sempre secondo il Corriere l`Italia dispone di ben quattro normative sull`edilizia antisismica, e tutte in vigore, varate nel 1996, nel 2003, nel 2005 e nel 2008, di solito dopo una tragedia.
    E questione di destra e sinistra? Difficile dirlo, perché nella Seconda Repubblica il tempo di governo è equamente diviso, e quello che succedeva nella Prima Repubblica si condensa in due parole: Belice e Irpinia. La verità è che l`Italia è un Paese da rottamare, se si vuole modernizzarlo. I radicali segnalano che ci sono 47 milioni di vani (su complessivi 120 milioni) che sono stati realizzati prima del `70 senza seguire criteri antisismici. Noi più modestamente, per cominciare, ci accontenteremmo dei circa 80mila edifici pubblici censiti che cadono a pezzi. Così magari, al prossimo terremoto, almeno l`ospedale e la prefettura resteranno in piedi. Farebbero comodo.

    Fonte: Il Riformista | vai alla pagina

    Argomenti: l'aquila, edilizia pubblica, ospedale, edilizia antisismica, terremoto in Abruzzo | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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