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Dichiarazione di Dario FRANCESCHINI

Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) 


 

«Dopo Silvio? La mia paura è che arrivi Pier Silvio» - INTERVISTA

  • (27 aprile 2009) - fonte: La Stampa - Claudio Sabelli Fioretti - inserita il 27 aprile 2009 da 31

    Doveva essere un segretario di transizione. Si pensava: il congresso del Pd, ad ottobre, sancirà la nuova leadership di Pier Luigi Bersani. Ma adesso non ci giura più nessuno, nemmeno lui. Dario Franceschini ha assunto la guida del Pd con un piglio che somiglia molto ad una autocandidatura. Con il suo decisionismo dichiarazionista, antiberlusconiano e soprattutto di sinistra, è apparso subito come un raggio di speranza a tutti quelli che erano affranti dalla “mollezza” di Veltroni e dalla litigiosità di tutti gli altri, tanto da far pensare che fra qualche mese potrebbe essere proprio lui a prendere la guida del partito erede degli ex Pci e degli ex Dc.
    Un ex Dc che guida ex Pci…
    «Fino a qualche mese fa c’era un ex Pci che guidava ex Dc. Ma ci sono milioni di elettori che non sono né ex Pci, né ex Dc. Tutti quelli che hanno meno di 36 anni non possono avere votato né Dc, né Pci, perché, quando hanno cominciato a votare, questi due partiti non esistevano più. Alle primarie che hanno eletto Veltroni hanno votato tre milioni e mezzo di persone. Gli iscritti ai Ds e alla Margherita erano un milione. Più di due milioni di italiani si sono dichiarati fondatori del Pd senza venire dai due partiti».
    Fa comunque impressione.
    «Quelli della mia generazione vivevano un mondo diviso in blocchi. Ma con la consapevolezza che qualcosa li univa: la Resistenza, la Costituzione, la lotta al terrorismo, la crisi… Moro e Berlinguer avevano preparato il terreno. Alla fine sono confluiti nella stessa alleanza e poi nello stesso partito».
    Dicono che tu sei il contrario del veltroniano “ma anche”…
    «Sbagliato. La vita è tutta fatta di “ma anche”. Non esiste il tutto bianco o tutto nero».
    Allora aveva ragione Giancarlo Perna a chiamarti, sul Giornale, “ghiaccio bollente”. Citava il caso Welby. Dicevi: “Capisco, ma l’eutanasia no”.
    «Voglio vedere chi riesce a non ragionare col “ma anche” su temi così delicati».
    Sui gay dicevi: “Bisogna riconoscere che la coppia di fatto ha dei diritti ma anche che la famiglia è un’altra cosa”.
    «Non è “ma anche”. E’ buon senso».
    Cossiga dice: Franceschini non è “ma anche”. E’“sì però”.
    «Il “sì però” è una variante post-democristiana».
    Tu sei di Ferrara, antico feudo della sinistra.
    «E’ una città di grande vivacità culturale e solidarietà. Tra avversari politici c’erano legami fortissimi».
    Tu eri minoranza.
    «Delegato provinciale dei giovani Dc. Consigliere comunale. Capogruppo… sempre minoranza. Anche dopo. Per i due terzi della mia vita politica ho fatto opposizione».
    Ricordi i vecchi amici?
    «Sono quelli con cui vado in vacanza, con cui gioco a carte».
    Tressette come De Mita? Burraco come Andreotti? Scopone come Pertini?
    «Trionfo, il gioco più divertente del mondo, praticamente tressette con la briscola».
    Gli amici...
    «Ero compagno di classe di un ragazzo comunista, Alessandro Bratti. Siamo ancora molto amici. Adesso siamo anche parlamentari nello stesso partito».
    Allora invece…
    «C’era un clima molto goliardico, ce ne facevamo di tutti i colori. Io arrivavo in classe ostentando il “Popolo” e lui me lo bruciava. Siamo rimasti amici, abbiamo sposato due amiche, abbiamo fatto sempre le vacanze insieme».
    Ricordi la tua canzone dell’amore?
    «Canzoni che si alternano nel tempo. Da ragazzo ascoltavo De Gregori, De André, i cantautori».
    La canzone italiana più bella in assoluto?
    «Atlantide di De Gregori».
    Tu canti?
    «Per un po’ di tempo ho tentato di suonare il saxofono».
    Il saxofono?
    «Mi piaceva l’idea che un giorno, in un locale jazz, mi sarei alzato tra il pubblico e mi sarei messo a suonare, improvvisando. Feci sei mesi di lezione con un vecchio professore. Commisi l’errore tragico di registrarmi. Quando mi sono risentito, sono caduto in una crisi depressiva e ho venduto il sassofono».
    Da giovane facevi lo sbandieratore del palio di Ferrara.
    «E’ uno sport, non uno scherzo. Ci sono i campionati nazionali, bisogna allenarsi».
    E’ pericoloso sbandierare?
    «Se ti arriva in testa la bandiera sì».
    Ti è arrivata mai in testa?
    «Sì. Ho ancora la cicatrice. Facevamo l’allenamento di sera, era buio, non l’ho vista».
    Sbandieri ancora?
    «Lo sogno a volte. Nel sogno mi accorgo che non ce la faccio. Ma se mi danno in mano una bandiera sono ancora capace».
    Tua moglie ha dichiarato che volevi fare il tennista.
    «Mia moglie ha dato una sola intervista nella sua vita e ha giurato di non farlo più. Le han fatto dire cose assolutamente false. Compreso che lei di politica non si occupa e si fida di quello che dico io. E’ l’esatto opposto. In politica mi incalza e mi critica».
    Da destra?
    «No, da sinistra. Quando io ero in lista votava per me. Altrimenti più a sinistra. Adesso tutti e due Pd».
    Non viaggi in aereo.
    «Più cresce la notorietà più dicono cavolate su di me. L’aereo lo prendo da sempre. Però preferisco il treno».
    Seconda classe…
    «Con la famiglia in seconda classe. Ma siccome i parlamentari non pagano, inutile contare balle, quando sono solo spesso vado in prima».
    Il soprannome ciuffolino è un’invenzione?
    «E’ la prima volta che lo sento».
    Altri soprannomi?
    «Ferrara ha una grande tradizione di scutmai, “soprannome” in ferrarese».
    Il tuo scutmai?
    «“Onorevole”, quando avevo 20 anni, “Ministro”, quando ero consigliere comunale».
    La tua passione per le moto. Questa è vera?
    «Non passione, vero amore. Facevo sempre tutte le vacanze in moto. Prima avevo una Ducati scrambler, quella arancione. Poi una Bmw 100/7. Andavamo io, Bratti e Stefano Scavo, anche lui ex comunista, oggi dirigente dell’Unipol. Con le mogli. Grecia, Jugoslavia, Creta, vacanze bellissime. Quando è nata la mia prima figlia abbiamo smesso. Ho venduto la moto, soffrivo vedendola invecchiare in garage. La Bmw va curata, va amata. La cosa incredibile è che venti anni dopo due amici parlamentari, Alberto Losacco e Antobello Giacomelli, l’hanno rintracciata e me l’hanno regalata».
    Altri sport?
    «Giocavo a calcio. Portiere».
    Come mai in porta?
    «In porta giocavano quelli che fuori erano schiappe».
    In famiglia: partigiani da parte di padre, fascisti da parte di madre…
    «Ho capito in casa che era possibile la riconciliazione. Ma non ho mai avuto il minimo dubbio su quale fosse la parte giusta».
    Una volta De Mita ti disse: “Quello non sarà mai un politico perché scrive romanzi”. Tu avevi già scritto due romanzi.
    «Ma non li avevo ancora pubblicati e stetti zitto, codardo».
    Perché uno che scrive romanzi non può fare politica?
    «Al politico serve freddezza, razionalità, distacco. Al narratore è richiesta profondità, sentimento».
    Politica e letteratura non vanno d’accordo…
    «Se uno va in libreria e vede un romanzo scritto da un politico scappa. Perché pensa che gliel’abbia scritto un ghost writer, o che sia un’operazione di marketing».
    Quante copie hai venduto?
    «In Francia il mio primo libro, “Nelle vene quell'acqua d'argento”, pubblicato da Gallimard, è arrivato a 12 mila copie».
    Nel ’68 avevi dieci anni. Se fossi stato più grande?
    «Sarei stato tentato. I moti collettivi e generazionali ti coinvolgono al di là delle appartenenze politiche».
    A Ferrara giravi con l’eskimo e la lunga barba rossa…
    «I giovani dc mica andavano in giro in doppio petto e cravatta».
    Frequenti salotti?
    «Non faccio pubbliche relazioni. La sera, se esco, esco con gli amici. La vita dei politici è già talmente distorta… Tre mesi ero fermo a un semaforo, mi si avvicinò un signore e mi disse: “Complimenti”. E io: “Grazie, ma perché?”, e lui: “Perché sta fermo al semaforo come gli altri!”. “Guardi che se passo mi fanno secco!”».
    Eri una dei “ragazzi di Zac”. Chi erano gli altri?
    «Fabris, Lusetti, Garofani, Digiovanpaolo, Giuntella, David Sassoli… Avevamo vent’anni. Entrammo nella Dc di allora perché Zaccagnini rappresentava un momento di rottura. Lo avevano fatto segretario perché era palesemente onesto».
    “Il peggior segretario che la Dc abbia avuto”, scrisse Moro prigioniero delle Br.
    «Appunto. Prigioniero delle Br. Da quel dolore Zaccagnini non s’è mai più ripreso».
    Moro non era padrone di sé, dissero quelli del partito della fermezza…
    «No. Moro, legittimamente e giustamente, tentava di uscirne vivo. Molte cose le scriveva per far credere alle Br che lui sarebbe stato molto più pericoloso da vivo che da morto».
    Anche tu eri per la fermezza?
    «Sì. Pensavamo: se si cede su Moro, poi come dovremmo comportarci se rapissero un operaio? Per Moro si tratta e per un operaio no?»
    Il capo della segreteria di Zaccagnini era Pisanu. Adesso è con Berlusconi. Voltagabbana?
    «Ha scelto Forza Italia dal primo giorno. Finita la Dc lui è andato con Berlusconi».
    E adesso è nello stesso partito di Fini, Gasparri e La Russa. Zaccagnini non era di sinistra?
    «Si vede ogni giorno quanto Pisanu sia a disagio con Berlusconi. Ogni cosa che dice è l’opposto di quello che dice il suo schieramento».
    Berlusconi ha detto di te: “Con quella faccia da bravo ragazzo buca il video”.
    «Poi ha smentito, naturalmente!»
    Buchi il video?
    «Io mi sono dato la regola di non ascoltare i consulenti di immagine».
    Però porti il maglioncino blu…
    «Un autorevole quotidiano ha scritto: “Ha scelto il maglione blu come Marchionne per dare il messaggio che anche lui solleva un’azienda in crisi”. Meravigliosa dietrologia».
    Il maglioncino blu di Marchionne ce l’hai.
    «Ma io l’ho comprato all’Upim…»
    I tuoi nemici…
    «Non voglio fare il buonista, ma la categoria “nemici” non mi piace».
    Buonista…
    «Ho avuto degli scontri politici».
    Con Parisi…
    «Era molto critico sulle modalità di nascita del Pd. Ma poi si andava fuori a cena».
    Con Rutelli…
    «Rutelli è uno preparato. L’opposto di come viene descritto. Approfondisce, è capace di fare squadra. Politicamente ci sono delle cose che non condivido».
    Tipo?
    «Sui temi etici ha imboccato una strada troppo rigida».
    Il documento dei sessanta della Margherita, da te sponsorizzato, fu bollato dai rutelliani come una “mignottata”.
    «Non è corretto dire “rutelliani”. Era una parte dei teodem. I rutelliani sono una cosa un po’ più ampia».
    Con Bettini…
    «Tutto esagerato dai giornali».
    La storia che gli avresti ceduto la poltrona per enfatizzare che era il vero vice di Veltroni?
    «Il Corriere ci fece mezza pagina sostenendo che il mio era un gesto polemico».
    Invece?
    «Tutto inventato. Con Bettini abbiamo lavorato nella segreteria un anno. Abbiamo avuto dei momenti di distinzione, ma è normale».
    Sei più buonista di Veltroni…
    «Sono anche cattivo quando è giusto. Ma se c’è uno scontro con una persona, non è per tutta la vita. Mi sono scontrato anche con Marini. Dopo due mesi amici come prima. E anche con Castagnetti… adesso andiamo perfettamente d’accordo».
    Chi ti piace a destra?
    «La Prestigiacomo, Alemanno… Ti dirò una cosa su cui mi prenderò degli insulti: la Carfagna. Gli uomini italiani hanno mostrato tutto il loro razzismo inconsapevole, il loro tardo-maschilismo. Se la Carfagna fosse brutta, tutti ne parlerebbero bene. Siccome è bella, si esclude che possa essere brava. Io l’ho vista, parla a braccio, dice cose approfondite».
    Sei d’accordo con la Carfagna?
    «Dice spesso cose sbagliate. Però è preparata».
    Perfino Paolo Guzzanti ha detto che è strano che si facciano ministri persone che non hanno mai fatto politica.
    «Con questa legge elettorale ci sono stati molti altri casi simili. Nel governo di destra come in quello di sinistra».
    Qualche esempio? Qualche uomo magari? C’è un Carfagno?
    «Più di uno. Ma non sono belli e fanno meno notizia».
    Chi altri ti piace?
    «Alfano. Non come fa il ministro. Ma si vede che ha fatto la gavetta».
    All’opposizione chi non ti piace?
    «Di Pietro. Non mi piacciono i partiti personali. Sono fisiologicamente a termine».
    Chi sarà il successore di Berlusconi?
    «A volte temo che sarà Piersilvio, il figlio. Non sto scherzando. In Italia purtroppo nessuno si scandalizzerebbe. Anzi temo che alla gente piacerebbe».
    Un partito che ha la Bindi a sinistra e la Binetti a destra, somiglia un po’ alla vecchia Dc…
    «Assomiglia a tutti i grandi partiti. I partiti identitari, in cui tutti sono d’accordo su tutto, sono partiti piccoli».
    Prodi dice che la scelta di correre da soli ha fatto cadere il suo governo…
    «Assolutamente no. Berlusconi lavorava fin dall’inizio della legislatura per convincere alcuni senatori a far cadere il governo. Gennaio era l’ultima occasione. Era in calendario la legge sul conflitto di interessi. Che così è saltata. Alcune persone hanno fatto cadere il governo e sono state ricandidate con Berlusconi. C’erano nomi e cognomi».
    Nomi e cognomi…
    «Dini e i diniani. E Mastella».
    Mastella non è stato ricandidato.
    «E infatti se ne lamentò. E adesso, alle Europee, è in lista con Berlusconi».
    Vi accusano di aver fatto sparire la sinistra dal Parlamento.
    «Sono stati gli elettori, non noi».
    Vogliono ricostruire il Grande Centro…
    «Tutti quelli che ci provano vanno a sbattere. Casini ha annunciato che il Grande Centro nascerà in ottobre. Forse se è grande dovrebbero deciderlo gli elettori in giugno».
    Rai: sei rimasto scottato dall’episodio De Bortoli?
    «Ci aveva dato la disponibilità. Poi ci ha ripensato. E devo dire che aveva buone ragioni».
    Debora Serracchiani ti è piaciuta?
    «Mi ha stupito positivamente. Ha preso la parola da sconosciuta in una assemblea di 2500 persone. Dopo due minuti la stavano ascoltando tutti. Parlava a braccio. E’ stata coraggiosa perché era un momento di entusiasmo, anche nei miei confronti».
    C’è una critica che ti è parsa ingiusta?
    «No, erano tutte giuste, compreso quando mi ha detto: “Tu non sei una faccia nuova”. Anche se…»
    Anche se?
    «Debora ti frega. Ha la faccia da 20 anni e ne ha 38. E’ una donna matura».
    A Vittorio Zincone hai detto: “Non mi piace spendere soldi per abiti e scarpe”. Essendo nel partito di D’Alema non avresti dovuto nominare le scarpe…
    «Infatti non le avevo nominate. Le ha aggiunte Zincone. Io avevo detto: “Non mi piace spendere soldi per vestirmi”. Il furbo Zincone ci ha infilato le scarpe».
    Ti piace l’Unità?
    «Mi piace ma molto spesso non ne condivido i contenuti. Su alcune posizioni non rappresenta la sintesi delle posizioni del Pd, ma la parte più a sinistra».
    Hai detto che il ciclo di Berlusconi è finito. Una botta di ottimismo…
    «“Non ho mica detto che finirà domattina. Ma il suo ciclo dura da 14 anni. Se finisce questa legislatura fanno 19 anni».
    Un ventennio. A proposito: c’è regime in questo momento in Italia?
    «Il regime nel significato del ‘900, no. Il rischio di una cosa che rispetti la democrazia da un punto di vista formale, ma che da un punto di vista sostanziale sia totalmente squilibrata, sì. Svuota il Parlamento facendo solo decreti legge e fiducie. Controlla il sistema della comunicazione…»
    Mi sembra di capire che c’è regime…
    «Una versione moderna. Io non userò mai quella parola, perché per noi ha un altro significato. Però ci sono delle anomalie, siamo unici in Europa».
    Quando un premier dice che il Parlamento è inutile e andrebbe abolito, si può parlare di voglia di regime?
    «E l’idea di far votare solo i capigruppo? A Berlusconi è consentito tutto, c’è assuefazione. Lui e Bossi possono dire qualsiasi cosa. Lui smentisce. E per l’altro si dice: “Vabbé… dai».
    Alla fine del ciclo Berlusconi fonda un partito che mira ad avere il 51%.
    «Beh, io miro al 90 per cento».
    Ma tu sei all’inizio del ciclo.
    «E infatti punto più in alto».
    Quelle di Berlusconi sono gaffes oppure è un profondo conoscitore dell’animo umano?
    «Sono gaffes. Ma piacciono alla gran parte degli italiani».
    I sondaggi…
    «Mitologia. Berlusconi va a naso. Il suo naso è molto meglio dei sondaggi, è in sintonia con un pezzo di opinione pubblica che non a caso si è formato con vent’anni di sua televisione».
    Berlusconi ha detto che avrebbe dato le sue case ai terremotati.
    «E non ha smentito. Manderemo i picchetti davanti alle sue case a controllare...»
    Gioco della torre. D’Alema o Veltroni?
    «Mi butto io».
    Marini dice che quando, con uno dei due, parli bene dell’altro, quello si rabbuia.
    «Hanno avuto alti e bassi nei loro rapporti. Adesso siamo al punto basso, speriamo che torni quello alto».
    Tremonti o Brunetta?
    «Butto Brunetta. Molta immagine e pochi fatti. Vuole i titoli dei giornali».
    Grillo o Travaglio?
    «Tutti e due. Non hanno mai dubbi. Son sempre gli altri che sbagliano».
    Tu hai dubbi?
    «Abbondo».
    Qualche domanda epocale. La prima: Rutelli crede in Dio?
    «Certo!»
    Una volta non ci credeva…
    «Se ci arrivi da adulto la fede è più forte».
    Seconda domanda epocale: Di Pietro è di sinistra?
    «Raramente».
    Terza domanda epocale: Mina riapparirà?
    «Prima o poi cederà alla tentazione, magari in penombra».
    Quarta domanda epocale: Fini è un compagno?
    «Chissà. Forse la mattina davanti allo specchio fa le prove di come gli verrebbe bene il pugno chiuso».

    Fonte: La Stampa - Claudio Sabelli Fioretti | vai alla pagina
    Argomenti: Berlusconi, centrosinistra, partiti piccoli, eutanasia, pd, partiti, politici, aldo moro | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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