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Dichiarazione di Fausto BERTINOTTI


 

«Alle Europee? Tanto peggio, tanto meglio» - INTERVISTA

  • (07 maggio 2009) - fonte: l'Unità - Simone Collini - inserita il 07 maggio 2009 da 31

    Abbiamo avuto due sinistre. Non ne abbiamo più nessuna. Dobbiamo provare a ricostruirne una». Fausto Bertinotti chiude con questa frase “Devi augurarti che la strada sia lunga” (Ponte alle Grazie, 229 pagine), che sta per arrivare nelle librerie.
    «Non ero molto convinto di farlo», spiega nel suo studio al quarto piano di Palazzo Theodoli, sede della Fondazione della Camera di cui è presidente. A sollecitarlo sono state Ritanna Armeni e Rina Gagliardi, insieme alle quali poi lo ha scritto. Attraverso «il cannocchiale di un’educazione sentimentale», stila un bilancio e analizza «le ragioni di una sconfitta». Si parte dall’infanzia nella «Milano operaia» e si finisce, appunto, sul fatto che oggi in Italia non esiste più la sinistra.
    Per l’ex segretario di Rifondazione comunista è necessario un «big bang» per chiudere con gli esperimenti fin qui falliti (dal Pd al Prc) e riportarla in vita.
    Tanto che quando l’intervista è finita e si avvia verso l’uscita che dà su piazza del Parlamento, Bertinotti si lascia andare a una battuta: «Io non l’ho mai detto, ma per il risultato delle europee è proprio il caso di dirlo: tanto peggio tanto meglio». Una battuta, appunto, perché questa «destra populista» va contrastata e perché il suo voto alla sinistra (e libertà) non lo farà mancare. Ma che non è poi così estranea al ragionamento che fa l’ex presidente della Camera.

    Perché sostiene che la sinistra non esiste?

    «Una sinistra diffusa esiste. Anzi, è visibilissima la contraddizione tra quella che esiste nel paese e il vuoto di sinistra politica, l’assenza di un discorso e di una forza organizzata di questo tipo. Basti pensare che per la prima volta nella storia repubblicana c’è stato uno sciopero generale organizzato dalla Cgil senza che il maggiore partito di opposizione vi abbia aderito. Una manifestazione come quella della Cgil al Circo Massimo mette sulla scena un popolo laburista come non c’è in nessun altro paese europeo. A cui non corrisponde però un partito.E questo vuoto lascia sul campo solo il populismo, rappresentato da Berlusconi, dalla Lega e da Di Pietro. Siamo di fronte a una solitudine degli operai. Che non a caso, come ha mostrato un recente sondaggio, votano più il Pdl che non il Pd».

    Gli operai, stando al risultato delle politiche, non votano troppo neanche la sinistra radicale. Che in quest’anno non è riuscita a risalire la china.

    «Dalla sconfitta elettorale si è ricavato il peggio a sinistra. Ci sono state conseguenze più disastrose del risultato medesimo, sia nell’accentuazione che nel Pd si è presa come partito senza radice sociale, sia nella regressione neoidentitaria che ha colpito Rifondazione comunista».

    Partito che lei ha guidato per 12 anni: avrà delle responsabilità per come si è conclusa la vicenda, o no?

    «Io ho tentato un revisionismo di sinistra, ho provato a produrre una rinascita partendo dall’incontro tra il movimento operaio e il movimento altermondista. Noi siamo stati, lo dico anche con orgoglio, l’unico partito al mondo che è stato ammesso alla firma del Social forum di Porto Alegre.
    E poi su Genova abbiamo investito tutta la nostra forza. Il dubbio che oggi ho è di non aver osato troppo in quell’occasione».

    Cioè?

    «Forse lì, dopo Genova, Rifondazione comunista avrebbe dovuto tentare di fare l’operazione dell’araba fenice, risorgere dalle sue ceneri, proporre la costruzione di un nuovo soggetto politico. Non, come giustamente abbiamo fatto e come secondo me bisognerebbe continuare a fare, a fine corsa. Ma lì, nel pieno di un movimento allo stato nascente».

    Nel libro parla del fallimento del governo dell’Unione e di Prodi come “spregiudicato uomo di potere”: perché?

    «Il fallimento del governo Prodi è derivato dalla sua impermeabilità alla società italiana e al movimento. Era fortissima la domanda di cambiamento, erano tante le attese, tutte fondate sulla discontinuità rispetto al governo Berlusconi.
    Questa discontinuità non c’è stata. Basti pensare alla prima Finanziaria, all’aspettativa di un minimo di redistribuzione, quando noi invece abbiamo fatto l’operazione del cuneo fiscale».

    Voi non avete commesso errori?

    «Per un verso abbiamo sopravvalutato la permeabilità del governo alla sinistra. E forse abbiamo sopravvalutato noi stessi. Cioè abbiamo pensato che anche qualora il movimento avesse una fase di stanca, la sinistra radicale avrebbe potuto alimentare questa permeabilità. Ma non abbiamo fatto i conti con la nostra esiguità di peso, nella società».

    Esclude che un tipo diverso di centrosinistra possa riuscire dove voi avete fallito?

    «Il centrosinistra italiano può essere idoneo ad accompagnare la modernizzazione, si veda ad esempio l’introduzione dell’Euro, ed è invece totalmente inidoneo ad operare la trasformazione, cioè la riforma economica e sociale del paese. Per quanto riguarda lo specifico del governo Prodi, dietro il programma di 180 pagine, avanzato, c’era come nascosto un programma reale di cui erano depositarie le forze moderate del centrosinistra, la tolda di comando di quell’esecutivo. Ed era un’idea di sostegno delle ragioni della globalizzazione capitalistica, intesa come modernizzazione da sostenere e non come restaurazione capitalistica».

    E lei in tutto questo? Sicuro che abbandonare la guida del Prc ed assumere il ruolo di presidente della Camera sia stata la scelta giusta?

    «Riconosco che è stata una scelta problematica, perché era stata pensata in continuità con la storia della sinistra italiana, che aveva occupato quel posto come valorizzazione del Parlamento quale luogo di accrescimento della democrazia nel paese.Questo punto conteneva un errore analitico. Cioè non ha visto quanto la tendenza a far prevalere l’esecutivo sulle assemblee avesse logorato gli istituti parlamentari nella realtà. Tanto che quando ci venne addosso l’offensiva della casta ha potuto far breccia perché agli occhi del paese il Parlamento non è più il luogo della decisione ma è quasi un lusso.
    Me ne sono accorto poco dopo che ho assunto quel ruolo, di fronte alla decretazione sempre maggiore, al fastidio crescente da parte dell’esecutivo per il dibattito parlamentare, per le sue lungaggini».

    Parla della scorsa legislatura?

    «Sì. Figuriamoci adesso».

    Fonte: l'Unità - Simone Collini | vai alla pagina

    Argomenti: casta, sinistra, elezioni europee, rifondazione comunista, governo prodi, Parlamento Italiano, Cgil, capitalismo, g8 genova, movimento per la sinistra, sinistra e libertà, operai | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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