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Dichiarazione di Fausto BERTINOTTI


 

La politica non si condanni all'inutilità

  • (15 maggio 2009) - fonte: Il Sole 24 Ore - Fausto Bertinotti - inserita il 16 maggio 2009 da 31

    Il Sole 24 Ore, chiedendosi se la crisi finanziaria "muterà in radice" oppure no il nostro mondo, apre un dibattito sul suo futuro.
    Guido Tabellini nel saggio d`apertura s`interroga sulle cause che hanno innescato la crisi e indaga le riforme considerate necessarie perché essa non si ripeta.
    Le tre questioni (le cause della crisi, la sua natura e il che fare per uscirne) sono effettivamente cruciali e interrogano non solo l`economia, ma direttamente la politica e le scienze umane.

    Il fatto che nell`apertura del dibattito Tabellini dia una risposta che tende a circoscrivere il campo d`azione della crisi e quindi delle reazioni da adottare per uscirne, non riduce la portata dei quesiti ai quali credo si possa (e si debba) dare risposte assai diverse da quelle prospettate. Questa crisi non è la manifestazione di un`ordinaria turbolenza quanto piuttosto un terremoto imprevisto dai governi e dai principali attori dell`economia e dalle conseguenze ancora largamente imprevedibili. La sua espansione nelle diverse sfere in cui è organizzata la società e la sua estensione nel mondo la rendono imparagonabile a tutte quelle che si sono succedute negli ultimi decenni.

    La crisi è sempre una transizione dolorosa da una condizione a un`altra da essa diversa e, quando si manifesta nell`economia, sempre ne propone un processo di riorganizzazione e di ristrutturazione. Ma la crisi del 2008 non ha nulla che faccia pensare solo a un avvallamento temporaneo terminato il quale si tornerà ai livelli previsti. Il suo carattere strutturale ha fatto sì che, esplosa nella dimensione finanziaria, essa ha immediatamente e direttamente investito, con un`imponente massa d`urto, l`economia e la società in tutte le sue articolazioni. Il suo carattere globale è stato messo in evidenza da come la crisi ha investito il mondo intero.
    Né si può trascurare che la crisi si manifesta, anche nei paesi a più alto tasso di sviluppo, all`interno di una coesione sociale già largamente compromessa. Su di essa irrompono orale conseguenze della crisi.
    La diffusione senza precedenti del lavoro precario compie un salto con la messa a rischio, per una parte rilevante della popolazione lavorativa, dello stesso posto di lavoro. Il contesto sociale e politico, del resto, ha visto assai indebolite tutte le difese sociali. In una strisciante crisi di civiltà, la perdita di futuro e lo smarrimento di senso fanno dell`incertezza il suo tratto più caratteristico.
    La paura prevale sulla speranza. La solidarietà sociale è spezzata dalla produzione di meccanismi d`esclusione e dalla crescita di un individualismo mercantilistico alimentato anche dall`eclissi della politica. Parlare in queste condizioni, alla stessa stregua, della crisi come rischio e come opportunità diventa tutt`altro che innocente. Per trasformare questa crisi in opportunità ci vorrebbero tante cose che oggi non ci sono, a partire dalla politica.
    La prima dovrebbe essere l`acquisizione della natura profonda, di società della crisi.
    Guido Rossi ha descrittivamente parlato di una crisi del capitalismo finanziario globalizzato.
    Si potrebbe sostenere che le cause della crisi sono le medesime che ne avevano determinato il successo: la finanziarizzazione pervasivi, l`unificazione di mercati non governati, la crescita delle disuguaglianze quale volano dello sviluppo. Lucio Caracciolo ha definito gli Usa un "impero a credito". La contraddizione, insita nella definizione, è diventata un potente fattore di crisi ma, prima, ha costituito la possibilità d`immettere, anche attraverso la spesa pubblica in disavanzo, nell`economia, potenti dosi dì denaro decisive per quella spinta all`innovazione tecnico-scientifica, alla sua applicazione e all`aumento della produttività. Senza la crescente finanziarizzazione dell`economia non ci sarebbe stata la rivoluzione digitale.

    La relazione che si è venuta realizzando tra le economie occidentali e la crescita imponente di quelle asiatiche, a partire dalla Cina, non avrebbe avutolo stesso svolgimento: uno svolgimento così imponente da configurare già nella crisi la transizione, uno spostamento del baricentro dello sviluppo a Oriente (la Cinamerica).
    Se verso l`esterno gli Usa hanno funzionato come un impero a credito, sul mercato interno hanno realizzato una soluzione del problema della domanda interna non meno gravida di contraddizioni, con lo stesso complice consenso delle altre aree economiche del mondo. Un brillante economista come Riccardo Bellofiore ha parlato, a questo proposito, della creazione d`una figura economico-sociale particolarmente rilevante a quel fine, quella del consumatore indebitato.

    Quando Ford progettò il modello T (l`annuncio della produzione di serie per il consumo di massa) considerò la necessità di alti salari. L`economia della globalizzazione ha preteso sistematicamente di farne ameno, sostituendoli con l`indebitamento privato. È impossibile non vederne il rapporto con la creazione della bolla e con l`esplodere della crisi finanziaria. La teoria di Minsky sull`instabilità si prende così una rivincita sull`oscuramento a cui è stata condannata e rivela la prevedibilità della crisi.
    È la conferma, la possibilità di prevederla analizzando il funzionamento di questa economia, che si tratta di una crisi sistemica. Invece non rappresenta ancora un`ammissione di questo stato di cose il fatto che sia in corso la rinuncia, di fatto, da parte delle principali economie occidentali di uno degli assunti fondamentali teorizzati nel ciclo del "turbocapitalismo":
    lo stato non è la soluzione dei problema, bensì il problema.

    Lo stato viene potentemente richiamato in servizio, il mercato chiede soccorso alla politica. L`ordine di grandezza dell`intervento pubblico è sconvolgente. L`intervento dello stato configura delle nazionalizzazioni di fatto in gangli strategici delle economie. Eppure non è né un ritorno al keynesismo dei "30 anni gloriosi" né, tanto meno, la prefigurazione di un`uscita dalla crisi verso un modello economico e sociale diverso. Non basta lo spiazzamento, che c`è, sia delle culture neo-liberiste che di quelle "modernizzatrici".
    Vale la lezione di Bauman secondo cui il capitalismo crea problemi che non sa risolvere e per risolverli deve negare anche propri dichiarati fondamenti per uscire dalla contraddizione. La capacità d`innovarsi non viene certo meno nella crisi. Lo sarà anche in questa crisi così profonda, strutturale e drammatica.
    Ma in quale direzione? La discussione su quale modello economico vada perseguito è il centro reale della contesa in questa crisi.
    Se la politica non lo vede si condanna all`inutilità.
    Non c`è nulla d`astratto, di separato dai problemi concreti in questa consapevolezza. La spesa pubblica in disavanzo è una necessità, ma quel che incide della direzione di marcia è a cosa viene finalizzata, se o non si accompagna a una riqualificazione produttiva, aura conversione della produzione, dei servizi e della composizione dei consumi. L`intervento pubblico per salvare le banche e le imprese strategiche è una necessità, ma decide la sua natura la strada che intraprende, se cioè, contemporaneamente, si modificano o no gli assetti proprietari; se s`introducono o no forme inedite di democratizzazione dell`economia.

    Il rafforzamento e la generalizzazione degli ammortizzatori sociali vanno bene, ma decide della qualità dell`intervento pubblico su questo terreno il non lasciare mano libera sui licenziamenti, come una significativa redistribuzione a favore dei bassi redditi, come la restituzione ai lavoratori di un reale potere di contrattazione e di controllo sull`organizzazione del lavoro e sulle scelte dell`impresa.
    Ha ragione Delors quando parla contro l`arroganza del "brevitempismo". Riaprire, nella crisi, un discorso sulla programmazione e sullo spazio pubblico significherebbe mostrare di aver inteso la sfida della crisi, se è la crisi di un intero modello economico e sociale. L`Europa dovrebbe intenderlo prima e più di altri.

    Fonte: Il Sole 24 Ore - Fausto Bertinotti | vai alla pagina

    Argomenti: europa, lavoro precario, redditi, Stato, globalizzazione, crisi finanziaria, politica economica, crisi economica, economia globale, ammortizzatori sociali, crisi sociale | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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