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«L’inerzia del governo aggrava la crisi ma a Torino violenza ingiustificabile» - INTERVISTA
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(18 maggio 2009) - fonte: Il Messaggero - Claudio Sardo - inserita il 18 maggio 2009 da 31
Partecipazione dei lavoratori alla gestione d’impresa, parliamone«La crisi è molto dura, soprattutto per le fasce sociali più deboli. Ma la crisi sta anche mettendo in moto energie positive nel Paese: bisognerebbe valorizzarle e condurle ad un’impresa comune. Invece il governo risponde con l’inerzia. La sola filosofia che sa esprimere è quella della divisione, del ”si salvi chi può”». Dario Franceschini respinge le accuse di disfattismo rivolte al Pd ora dal premier Berlusconi, ora dal ministro Tremonti. «A nessuno di noi - sostiene - è mai venuto in mente di addossare al governo la responsabilità della crisi globale. Ma l’impatto sulla vita concreta dei precari, dei piccoli imprenditori, degli artigiani dipende dalle scelte dei governi nazionali. E che il nostro abbia investito un decimo rispetto ai governi dei Paesi industrializzati lo dice il Fmi, non un gruppo bolscevico».
Dimentica il nostro debito pubblico, che peraltro proprio in seguito alla crisi sta tornando al livello dei primi anni ’90?
«Anche in questo caso il debito cresce per dinamiche inerziali, che comunque rimandano a responsabilità di governo. Diverso sarebbe stato se avessimo investito un punto di Pil per alleviare il disagio sociale. Il Pd ha fatto diverse proposte: l’assegno mensile ai disoccupati non protetti da altri ammortizzatori sociali, il contributo straordinario del 2% sui redditi più alti per soccorrere la povertà assoluta, l’allentamento del patto di stabilità dei Comuni in modo da consentire a chi ha i soldi in cassa di pagare le commesse, la riduzione dal 40 al 20% dell’acconto sulle imposte per i piccoli imprenditori. Ma il governo ha sempre risposto no».
Ammetterà che è più facile fare proposte dall’opposizione. Il governo rivendica di aver messo in sicurezza il sistema finanziario e di aver posto così le condizioni per la risalita.
«Il governo gioca con le parole. Si era anche vantato di aver previsto per primo la crisi. Ma ciò non gli ha impedito di buttare dalla finestra 5 miliardi per Alitalia, di abolire l’Ici anche per le case più pregiate, di detassare gli straordinari quando gli straordinari non si fanno più, di istituire la Robin tax a carico delle banche prima di sostenerle col denaro pubblico. La verità è che, fin quando ha potuto, ha negato la crisi. Poi, appena la velocità di caduta si è attenuata, ha annunciato la ripresa nel 2010. E ora, dopo la botta del -5,9% di Pil, prova a dire che la crisi è un problema psicologico».
Onorevole Franceschini, così torna all’ottimismo del governo contro il vostro pessimismo.
«Quello del governo non è ottimismo. È una strategia comunicativa che contrasta con quella di tutti gli altri governi, di destra o di sinistra. Guardare in faccia alla crisi è la condizione per intervenire dove serve, per accompagnare le riforme possibili e per valorizzare ciò che emerge di positivo nella società e nel mercato. Peraltro, se la tv dice che va tutto bene, chi soffre è spinto alla disperazione. Il governo è doppiamente colpevole».
Sta parlando della disperazione che si è manifestata anche sabato a Torino?
«L’assalto al palco sindacale è stato un atto di violenza. E come tale è ingiustificabile e da condannare senza riserve. Ho già espresso solidarietà a Gianni Rinaldini e al segretario della Cgil. La disperazione è un’altra cosa. È una condizione che dovremmo tutti combattere. Anche perché una maggiore uguaglianza sociale, stavolta, è condizione stessa della ripresa economica. Il governo invece si tira indietro. Aspetta che la locomotiva si metta in moto altrove. Intanto da noi ”si salvi chi può”».
Parliamo della Fiat. Non teme che gli operai italiani abbiano a disposizione strumenti deboli, come lo sciopero, mentre negli Usa i lavoratori della Chrysler posseggono il 53% delle azioni, in Germania i sindacati sono nel comitato di sorveglianza della Opel.
«Perché contrapporre lo sciopero ad una maggiore partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa? Lo sciopero resta una strumento a disposizione dei sindacati. Invece è probabilmente giunto il tempo di discutere con serietà di quell’art. 46 della Costituzione, così lungimirante da offrire oggi nuove opportunità dopo essere rimasto inattuato per 60 anni».
Ma la Fiat garantirà l’occupazione italiana? Tifando Fiat il centrosinistra non rischia di restare scottato?
«Il managment della Fiat si sta muovendo nella crisi con capacità. Sta lavorando ad un’impresa più grande e cercando di esportare la tecnologia italiana. Dalla crisi non usciremo come prima. La Fiat può essere parte decisiva della seconda industria mondiale dell’auto. Avremmo voluto questo destino anche per Alitalia, invece il governo Berlusconi ha pregiudicato il risultato. Ma ora le ambizioni Fiat devono combinarsi con la salvaguardia del lavoro e degli stabilimenti in Italia. È un dovere morale prima che una condizione politica».
Non teme che i ceti più colpiti dalla crisi restino senza rappresentanza politica e che dunque il Pd giochi in fondo un ruolo marginale in questa stagione?
«Il potere mediatico di Berlusconi è una seria questione democratica anche perché tende a deformare le rappresentanze. Tuttavia, non ho alcun timore sul ruolo decisivo del Pd. La crisi aprirà una stagione nuova. E fare un partito nuovo in una stagione nuova è un’impresa affascinante».
Fonte: Il Messaggero - Claudio Sardo | vai alla pagina » Segnala errori / abusi