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Dichiarazione di Furio COLOMBO

Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) 


 

«Sui metodi della CIA, Obama non tornerà mai indietro» - INTERVISTA

  • (26 agosto 2009) - fonte: L'Altro - Paolo Castelnuovo - inserita il 27 agosto 2009 da 31

    Giornalista, più volte parlamentare, grande americanista, Furio Colombo è appena tornato dagli Stati uniti. «In aereo - racconta- ho avuto tempo di leggere da cima a fondo i giornali, in particolare il New York Times: la stampa americana e quella inglese sono letteralmente scandalizzate per le feste che si preparano in Libia per onorare l'assassino di Lockerbie, con la partecipazione delle Frecce tricolori e del ministro italiano».

    Sui giornali Usa, però, figura anche un'altra notizia: il braccio di ferro in corso fra il presidente Obama e la Cia.
    Uno scontro di portata quasi inaudita, innescato dalla decisione del ministro della Giustizia Helder di nominare un procuratore speciale per indagare sulle torture usate negli interrogatori dei presunti terroristi.

    Era prevedibile una mossa così forte da parte del presidente?

    Secondo me sì. Io, almeno, me l'aspettavo, perché Obama ha fatto promesse importanti in campagna elettorale e ha dimostrato di essere estremamente tenace nel mantenere quelle promesse. Aveva attratto l'attenzione proprio promettendo cose di enorme difficoltà, e adesso le sta mantenendo una per una, con tenacia, decisione e inflessibilità, anche a costo di sfidare l'impopolarità.

    Appunto: l'offensiva contro i metodi della Cia, come quella sulla sanità, non rischia di minare ulteriormente il suo consenso?

    Credo che Obama stia coscientemente affrontando una fase di possibile impopolarità. C'è una ragione se ha preso per modello Lincoln, che aveva promesso di abolire schiavitù nella situazione più difficile che si potesse immaginare e lo ha fatto.

    Dunque non cederà neppure sulla sanità?

    Non cederà di un passo e darà una lezione di coraggio ai membri del congresso che, come hanno già fatto con Clinton, hanno la tendenza a squagliarsi e ad accampare una serie infinita di "se" e di "ma" non appena vedono profilarsi all'orizzonte il rischio dell'impopolarità. E bisogna specificare che la riforma sanitaria, negli Usa, rappresenta una rivoluzione della portata di quella di Luther King e dei diritti civili.
    E' una riforma che va al cuore del problema fondamentale: chi sono i cittadini, quali sono i loro diritti e perché devono essere uguali per tutti.
    Per quanto riguarda la vicenda Cia, va anche detto che Obama non potrebbe condurre una battaglia così nobile e isolata come quella sulla sanità e lasciar perdere la Cia.

    Perché? Qual è il legame fra le due questioni?

    Perché non ci si può dire democratici e liberali e poi uccidere persone in mare, o almeno lasciare che muoiano, come capita in Italia. Obama non vuol essere della stessa partita di cui fa parte il governo italiano, e un po' anche la mite opposizione italiana. Torturare è orrido, come è orrido non poter disporre di soccorso medico e lui lo dice apertamente. Senza voltarsi a guardare quanti nel suo paese non concordano, perché sono stati intimiditi in tutti i modi da un falso patriottismo e da una falsa difesa delle libertà individuali, secondo cui ognuno deve potersi curare come gli pare. Dunque sussiste un rapporto stretto tra il battersi contro le torture della Cia e per la riforma della salute.

    Ma l'intervento sulla Cia e sulle torture negli interrogatori non rimanda anche al complessivo cambio di indirizzo nella lotta al terrorismo?

    E' più che un semplice cambio di indirizzo. E' un rovesciamento totale, in termini di moralità ma anche di strategia e intelligenza politica. Obama è un presidente che tende a fare la pace preventiva invece della guerra preventiva.
    Si rende conto che non devi entrare in situazioni da cui poi non sei in grado di uscire. Questa volontà di pace preventiva si è vista in pieno con il discorso sull'Iran, che ha dato coraggio all' opposizione facendola venire allo scoperto come si è visto negli ultimi mesi, ed è una vicenda tutt'altro che finita. Si pensava che Ahmadinejad potesse essere affrontato solo con le bombe atomiche. Obama lo ha ridotto a metà della metà del suo valore solo con le parole. Perché la strategia della pace preventiva non è una parata di bontà ma un modello di intelligenza politica.

    E l'Afghanistan, dove invece l'impegno americano è stato intensificato?

    L'Afghanistan è la sfida più grande. Ha ricevuto in eredità una guerra che non può finire e c'è da chiedersi, come si chiede appunto il New York Times, se il presidente dispone di consiglieri all'altezza di una simile sfida. Io penso e spero di sì. In ogni caso quello di cui sono convintissimo e che dall'Afghanistan Obama uscirà. Lo diciamo oggi e ne riparliamo entro il prossimo anno. Barak Obama non accetterà mai di essere il presidente per una guerra infinita.

    E quanto al Medio oriente?

    Che Netanyau se ne renda conto o meno, Obama ha già dato a Israele un aiuto immenso riducendo di moltissimo il ruolo di Ahmadinejad. Troneggiava all'orizzonte del Medio Oriente come il leader che avrebbe trascinato tutto l'islamismo e ora appare come un poveretto che a malapena riesce a restare al potere.
    Ripeto: grandi cose sono già accadute, e la più importante è che quest'uomo non molla. Il periodo che abbiamo di fronte, per difficile che possa essere, non potrà che essere tra i più importanti. E per fortuna lo sarà anche per noi italiani.

    In che senso?

    Obama condanna senza mezzi termini la festa che Gheddafi si appresta a fare in onore dell'assassino di Lockerbie.
    Noi mandiamo le Frecce tricolori a quella stessa festa. Oggi l'Italia è alleata non di Obama ma di Gheddafi, e questo ci dice dove sia finito oggi il nostro paese. Ma la forza della presidenza americana è tale che riporterà anche l'Italia dalla parte dei governi democratici.

    Torniamo alla Cia. Perché proprio ora un intervento simile? Non è che in passato fossero mancate zone oscure nei comportamenti di quell'agenzia…

    La Cia è un servizio segreto, e i servizi segreti sono sempre zone oscure sulle quali non cala mai tutta la luce del controllo democratico, come invece sarebbe necessario.
    Ma l'era Bush è stata, anche per quanto riguarda il controllo sulla Cia, la più tenebrosa, terribile, lontana dai princìpi della emocrazia americana.
    Obama sta riportando la Cia a quei principi, attraverso quell'uomo straordinario che è Leon Panetta, che è non a caso un grande politico democratico e non un tecnico. Averlo messo alla guida della Cia è di per sé un impegno.

    Eppure pare che proprio Panetta sia il più inviperito per l'inchiesta sulla Cia…

    In questi casi è bene guardare la polvere sotto il tappeto solo se si è davvero in grado di farlo. Sappiamo per certo che le cose stanno così? Abbiamo fonti attendibili? Persino sui giornali americani, in agosto si deve pur scrivere qualcosa...
    Ma i legami tra Panetta e Obama, e tra Panetta e tutta quella parte del Pd irreversibilmente democratica sono molto più forti di un malumore o di un diverso parere. E chiunque avesse accettato di dirigere la Cia sotto Obama sapeva che comportamenti di quel tipo da parte dei servizi segreti non sarebbero più stati tollerati.

    Fonte: L'Altro - Paolo Castelnuovo | vai alla pagina

    Argomenti: Afghanistan, usa, politica estera, medio oriente, Obama, Libia, Gheddafi, Ahmadinejad, CIA | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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