Ti trovi in Home  » Politici  » Pier Luigi BERSANI  » «Perché al Pd serve il coraggio di riscoprisi cattolico popolare e socialista» - INTERVISTA

Chiudi blocco

Altre dichiarazioni nel periodo per gli stessi argomenti



Dichiarazione di Pier Luigi BERSANI

Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) 


 

«Perché al Pd serve il coraggio di riscoprisi cattolico popolare e socialista» - INTERVISTA

  • (27 agosto 2009) - fonte: Tempi.it - Emanuele Boffi - inserita il 27 agosto 2009 da 31

    «Il Partito democratico deve essere un ben strano insetto se tanti entomologi si accaniscono così tanto nello studiarlo. Ma noi stiamo solo facendo una cosa normalissima: un congresso, come lo fanno tanti altri partiti in Europa. Eppure in tanti proseguono a studiarci e a criticarci al di là dei nostri demeriti. Ma che ci lasciassero lavorare! E che si rivolgessero a quei partiti che in Italia il congresso nemmeno lo fanno».

    Pierluigi Bersani, piacentino, 57 anni, è, fra i tre candidati alla segreteria del Pd (congresso l'11, primarie il 25 ottobre), il più deciso nel difendere il partito dagli attacchi esterni. Lo ha detto più volte, volendo forse anche rimarcare una certa differenza di atteggiamento verso i sui diretti avversari, il diellino Dario Franceschini e il medico Ignazio Marino: «Serve rispetto per tutti, la ditta non si piccona».
    Picconate sulla sua testa di ex ministro dello Sviluppo del governo Prodi, invece, ne sono arrivate. Gli hanno dato del «nostalgico», del «vecchio», lo hanno accusato di mettere a repentaglio il bipolarismo. Soprattutto, i suoi due avversari hanno tentato di cucirgli addosso l'abito del politico del secolo scorso, tutto apparato, tessere, militanza, poco avvezzo a guidare un partito "proiettato nel futuro", qualsiasi cosa questa espressione significhi per i fan di Twitter. Bersani, dall'alto di un pronostico che lo vede favorito, ma anche forse per un senso di antica disciplina, ha sempre cercato di smussare gli angoli, di minimizzare le dichiarazioni più roventi, di usare l'ironia come arma di difesa. L'ultima volta è capitata nella settimana di Ferragosto quando qualche suo collega di partito ha usato le parole di Umberto Bossi - «Tra i tre preferisco Bersani» - per imputargli «errori su tutta la linea».
    «Come rispondo?», dice Bersani a Tempi. «Rispondo con una battuta: si vede che gli piacciono i tipi tosti. Bossi si diverte alle nostre spalle e qualcuno ci casca.
    Sono solo battute estive, dette a Ferragosto, senza alcuna importanza».

    Bersani, lei ha scelto come canzone della sua campagna Un senso di Vasco Rossi. Vasco canta che «un senso questa storia non ce l'ha». La storia del Partito democratico un senso non ce l'ha?

    Ho scelto questa canzone proprio per quelle due parole: "senso" e "storia". Ma non intendevo riferirle al Pd, ma all'Italia. Beninteso, la storia l'Italia ce l'ha, ed è pure una grande e gloriosa storia, quel che vorrei fare è darle un senso oggi. Credo che il Pd possa farlo, a patto che sappia recuperare dei valori che oggi, troppo spesso, sono dati per acquisiti e scontati, come libertà, democrazia, identità.

    L'Italia, dunque, non ha un senso?

    Io parto nelle mie valutazioni da quello che vedo oggi accadere nel paese. L'unità non è scontata, va conquistata. Viviamo in uno Stato in cui è cresciuta enormemente la forbice tra i redditi e in cui è diminuita spaventosamente la mobilità sociale. Sono dati di fatto e la politica ha la responsabilità di fornire un programma sociale e liberale che possa sanare questa ferita. E poi si è abbassata l'asticella dello spirito civico che ci impone una grande risposta morale.

    Lei è candidato alla leadership di un partito che però, fino ad ora, non è riuscito a raccogliere consensi adeguati per poter dare un senso a quest'Italia, anzi, litigate anche molto tra di voi su quale sia il vostro senso. Lei quale ha in mente?

    Io credo in un grande partito popolare che si rivolga ai ceti produttivi (le imprese, i lavoratori), ai giovani, alle fasce più deboli. Credo in un partito organizzato e che abbia un'identità chiara e definita, non matematica.

    Dicono che lei non è "nuovo"...

    Sono sempre stato assai critico con i cultori del nuovismo. Chi mi imputa di essere il "vecchio" è superficiale. Quel che è nuovo lo ha sempre deciso la storia. Il nuovo è davanti a noi, ma per affrontarlo bisogna essere nelle condizioni adatte.
    Conosco la fatica del cambiamento, ma per cambiare devi sapere chi sei. Dobbiamo dire chi siamo per dire che cosa vogliamo e come intendiamo farlo. Cioè dobbiamo, prima di ogni altra questione, affrontare il tema della nostra identità. Sono anche disposto a discutere quale.

    Però lei un'identità ce l'avrà già in mente. O no?

    Certo, io propongo di emanciparci dalla storia dei nostri ultimi trent'anni e di andare a recuperare quelle che sono le nostre radici più profonde: quelle cattoliche popolari e quelle socialiste. Radici che ci insegnano che se parti dagli ultimi, dai più deboli e sfortunati, sarai capace di costruire una società migliore per tutti.
    Non classista, non ribellista, ma in grado di essere solidale e aperta.

    Si capisce che lei parte nella proposta della sua ricetta per l'Italia dall'esperienza della sua terra piacentina. Ma è una formula riproponibile su tutto territorio nazionale?
    È anche una delle accuse che le vengono rivolte: di essere troppo "emiliano".

    Ma quell'identità popolare cui io guardo non è solo delle mie parti: io l'ho vista anche in Lombardia e perfino in Calabria e Sicilia. Io ci credo molto. Penso che solo rifacendoci a questa tradizione possiamo unificare veramente l'Italia.
    Pensiamo solo al dibattito sulle gabbie salariali. Vent'anni fa, quando se ne discuteva, si sapeva che le gabbie bisognava farle per il Sud, ma anche per il Nord.
    Oggi, invece, tutto il dibattito, un po' volgare e molto ingeneroso per il nostro Meridione, divide il territorio italiano in due parti: il Nord e il Sud. È un altro dei tanti punti di crisi che io vedo oggi in atto nella politica che si limita a denunciare i problemi senza fornire soluzioni su come affrontarli.
    Oggi, anziché combattere un divario tra Settentrione e Meridione, che facciamo? Lo interpretiamo. E dopo aver fornito tante pur lodevoli chiavi di lettura, lo lasciamo così com'è.

    Franceschini non è stato tenero nei suoi confronti. Nel video d'annuncio della sua candidatura apparso su YouTube, ha chiesto agli elettori di non «riconsegnare il partito a quelli venuti prima».

    Io credo che occorra portare rispetto a tutti quelli che ci hanno portato fin qui, perché, è un dato insindacabile, il Pd esiste. Va dovuto rispetto a Massimo D'Alema, Walter Veltroni, Francesco Rutelli, Franco Marini, a tutti.
    Tutti, me compreso, sappiamo che dobbiamo girare la ruota e tirare grande una nuova generazione.

    Però in molti, nel suo partito, hanno avvertito quelle parole come una dichiarazione di guerra. Qualcuno ha anche messo in dubbio che si possa continuare a mantenere l'unità del partito dopo una simile uscita.

    Ma poi Franceschini s'è corretto, e mi pare che le sue successive dichiarazioni siano state più prudenti. Certamente dobbiamo trovare una "chiave" per non dividerci.

    E per aprire anche a forze come Udc e Sinistra e Libertà di Vendola?

    Faccio una premessa: avere una vocazione maggioritaria non significa fare da sé, ma cercare delle alternative. Non in seno a un antiberlusconismo sciocco, ma cercando di adempiere a quello che è lo scopo primario di un'opposizione e cioè fornire un'alternativa felice. Quindi non aspettare di avere il 51 per cento, ma tentare di fornire agli elettori un'altra possibilità di scelta. Per fare questo mi rivolgo a tutte le forze di opposizione e le invito a dialogare rispetto a due problematiche: le piegature improprie della nostra democrazia che ha ormai ridotto il ruolo del Parlamento solo a un continuum del governo e le difficoltà del nostro paese nell'affronto della crisi economica.
    Noi pensiamo che oggi l'Italia abbia bisogno di riforme elettorali, istituzionali e di regolamenti. E di una nuova ricetta anticrisi. Con chi condivide queste preoccupazioni, noi ci siederemo a un tavolo e discuteremo con pazienza, perché so bene che non è un'operazione che si fa in un giorno.
    Noi abbiamo in mente uno scenario plurale che si declina nel bipolarismo e non nel bipartitismo.

    L'alleato più scomodo che avete è Antonio Di Pietro. Come può il Pd sopportare oltre certi suoi attacchi? Cosa c'entra con voi, con la vostra storia, i vostri ideali, una forza che fa del giustizialismo la sua unica ragion d'essere?

    È un discorso lungo, le cui ragioni vanno rintracciate nella caduta del muro di Berlino e nel crollo dei pilastri che fino a quel momento avevano retto un sistema. Da allora è cresciuto molto il sentimento dell'antipolitica, condiviso anche da tanti nostri elettori. Fra noi e Di Pietro esiste un diverso modo di fare opposizione: o unisci sul tema della democrazia o ti limiti ad enunciarne le storture.
    Solo che questa seconda via, imboccata dal leader dell'Italia dei Valori, non ti porta da nessuna parte.

    Però sembra essere preferita anche da molti vostri elettori...

    Io credo che se il mio partito costruisce un'alternativa credibile al governo, tanti torneranno con noi, e non soffriremo più il fenomeno Di Pietro.

    Fonte: Tempi.it - Emanuele Boffi | vai alla pagina

    Argomenti: di pietro, riforme istituzionali, pd, opposizione, programma politico, congresso pd, crisi economica | aggiungi argomento | rimuovi argomento
    » Segnala errori / abusi
    Pubblica su: share on twitter

 
Esporta Esporta RSS Chiudi blocco

Commenti (0)


Per scrivere il tuo commento devi essere loggato