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Dichiarazione di Pietro ICHINO

Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) 


 

«Pochi aiuti a chi perde il posto. Eppure la Cassa integrazione è ricca»

  • (25 settembre 2009) - fonte: www.pietroichino.it - inserita il 29 settembre 2009 da 31

    Alla domanda di sostegno del reddito di centinaia di migliaia di lavoratori che perdono il posto nella crisi economica il governo risponde con il contagocce, come se la Cassa integrazione fosse a secco.

    Ma le cose non stanno affatto così: il bilancio degli ultimi anni della Cassa, anche computandosi questo periodo di recessione, segna un attivo di oltre 10 miliardi.
    Nell' ultimo quinquennio del quale sono disponibili i dati (2003-2007) i contributi versati annualmente dalle imprese per la Cassa integrazione ordinaria hanno oscillato tra i 2,3 e i 2,8 miliardi, mentre le prestazioni della Cassa hanno oscillato tra 0,2 e 0,5 miliardi l' anno.

    Nello stesso periodo, per la Cassa integrazione straordinaria (quella che viene erogata su decisione del governo, in relazione a crisi di settore), i contributi hanno oscillato tra 1 e 0,8 miliardi, mentre le prestazioni sono state inferiori alla metà di quel gettito.

    Complessivamente, il saldo attivo della Cassa per il quinquennio ammonta a oltre 13 miliardi di euro. Certo, il bilancio della Cassa per il 2008 (ancora non disponibile) risulterà probabilmente vicino al pareggio, mentre per il 2009 segnerà prevedibilmente un passivo non superiore a un miliardo; questo passivo sarà comunque di gran lunga inferiore all' attivo accumulato negli anni precedenti e di fatto incamerato dallo Stato.

    Che cosa aspetta il governo a rimettere in circolazione tutto questo denaro per il sostegno dei lavoratori che sono più direttamente colpiti dalla crisi, introducendo la Cassa integrazione e i trattamenti di disoccupazione dove ancora non ci sono? Il primo punto, dunque, è restituire a lavoratori e imprese ingenti risorse che appartengono a loro e che sono state accantonate proprio in funzione di sicurezza per i momenti bui. Ma il discorso non può fermarsi qui. Questi dati sul sistema della Cassa integrazione evidenziano un grave squilibrio permanente tra l'entità del contributo pagato dalle imprese sulle retribuzioni lorde dei loro dipendenti e l'entità complessiva delle prestazioni erogate:
    per la Cassa ordinaria i contributi superano ogni anno addirittura di quattro o cinque volte l'erogazione.

    Oggi il contributo per questa assicurazione ammonta al 2,20 per cento delle retribuzioni lorde a carico delle imprese con più di 50 dipendenti, all' 1,90 per cento per le altre; se, per questa «polizza», l' Inps operasse in regime di concorrenza, il «premio assicurativo» si ridurrebbe probabilmente al di sotto dello 0,5 per cento!

    Ora, in questo campo è difficile introdurre un sistema di libero mercato assicurativo: lo impedisce la grave asimmetria informativa tra assicuratore e assicurato circa il rischio che la polizza deve coprire. Ma questo non giustifica che il «premio» dell' assicurazione obbligatoria sia tenuto così alto. Tanto meno questo squilibrio si giustifica in riferimento al settore delle imprese medio-piccole, che di fatto fruiscono della Cassa integrazione in misura enormemente inferiore rispetto alle medio-grandi.

    In conclusione, quel 2 per cento sul monte-salari che la Cassa integrazione riscuote dalle imprese industriali si configura in gran parte come un' imposta sul lavoro, progressiva in ragione inversa delle dimensioni dell' azienda!

    È tempo di por mano alla correzione di una stortura tanto assurda. Anche in questa materia, come per l' intero diritto del lavoro, occorre una riforma profonda che, innanzitutto, semplifichi la normativa vigente: per la Cassa integrazione le leggi in vigore sono 34; e proprio a questa ipertrofia normativa si deve la non trasparenza del sistema, che ha consentito al «mostro» di nascere e di conservarsi per lungo tempo al riparo dalle proteste. Per altro verso, occorre una riforma che garantisca il carattere universale della protezione: oggi quelle 34 leggi riguardano soltanto industria, distribuzione commerciale con più di 50 dipendenti e imprese del terziario con più di 200 dipendenti: al di fuori di questi settori c' è solo il «contagocce» dei sussidi straordinari «in deroga» disposti dal governo, di incerta erogazione e di entità davvero molto modesta.
    Nel codice del lavoro in 64 articoli proposto con il Progetto semplificazione di cui ho scritto sul Corriere del 9 settembre e che verrà presentato in Parlamento nei giorni prossimi da un gruppo di parlamentari di opposizione e di maggioranza (lo si può leggere nel sito www.pietroichino.it) quelle 34 leggi sono sostituite da un solo articolo che estende il trattamento (80 per cento della retribuzione) a tutti i lavoratori in caso di sospensione, elimina le procedure burocratiche ma responsabilizza le imprese, ponendo un quarto del trattamento a loro carico, e obbliga l'Inps a commisurare il «premio» assicurativo al rischio effettivo, istituendo un contributo bonus-malus che mediamente comporterà una riduzione del costo del lavoro almeno dell' uno e mezzo per cento. Ai sindacati il compito di acquisire ai magri salari dei lavoratori dipendenti italiani la maggior parte possibile di questo beneficio. Si possono proporre, ovviamente, anche altre soluzioni. La sola cosa che occorre non fare è lasciare tutto com'è.


    Fonte: www.pietroichino.it | vai alla pagina

    Argomenti: lavoro, imprese, PMI, lavoratori, cassa integrazione, Inps, contributi sociali, cassaintegrati | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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