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Dichiarazione di Luigi de MAGISTRIS
La classe operaia esiste. E le tute blu oggi sono in piazza.
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(09 ottobre 2009) - fonte: micromega-online - inserita il 14 ottobre 2009 da 31
La classe operaia esiste. E non solo esiste, ma subisce pesantemente una crisi le cui conseguenze sono e saranno in atto per diverso tempo: la fine della cassa integrazione per tantissimi lavoratori e la scadenza senza rinnovo dei contratti dei precari, mentre le pmi vivono in apnea per la mancanza della copertura finanziaria da parte delle banche. Il fatto che i metalmeccanici, categoria fra le più colpite, abbia scelto di astenersi oggi per otto ore dall’occupazione è il segnale di quanto questa situazione sia grave e richieda un impegno serio da parte del Governo.Un impegno che fino ad ora è mancato: lo scossone economico e produttivo che ha investito l’economia globale è stato infatti negato a lungo dalla maggioranza, per essere riconosciuto tardi, per altro approntando misure insufficienti e determinando scelte nocive e ingiuste.
Tra queste, la frattura del fronte sindacale sul rinnovo del Contratto nazionale collettivo di lavoro, cioè un elemento negativo in un momento economico ‘normale’, drammatico in una condizione eccezionale come quella che stiamo attraversando. Isolare la Cgil, cercando il consenso solo di Confindustria e Federmeccanica, non è stata una scelta illuminata da parte dell’esecutivo. Così come le organizzazioni imprenditoriali non hanno agito nell’interesse del Paese nel momento in cui hanno perseguito la strada della spaccatura dell’unità sindacale.
Oggi le tute blu che scendono in piazza ci ricordano tutto questo. In primo luogo l’ingiustizia di un accordo separato sul rinnovo del Ccnl: ratificato il 15 aprile senza l’appoggio del più grande sindacato –la Cgil- e senza che fosse sottoposto al voto dei lavoratori e delle lavoratrici nella loro interezza, prevedendo al massimo, come impongono le regole di Fim e Uilm, il vaglio dei soli iscritti (il 20% di tutti i metalmeccanici). Una lesione della democrazia di fabbrica per avvallare una riforma che ha come scopo quello di annientare il Contratto nazionale (conquistato dopo ore di sciopero e approvato da referendum), nonostante tutti i soggetti sindacali si fossero impegnati a non revisionarlo fino al 2011.
Così con l’intesa ad excludendum deIla Cgil, si è arrivati ad una piattaforma di Cisl, Uil, Confindustria e Federmeccanica che è anti-democratica nel metodo e nel merito, oltre che dannosa per i lavoratori. Il Contratto nazionale è stato dunque cambiato pur essendo formalmente ancora in vigore e senza consultazione referendaria.
Cambiare per distruggere: è stato questo lo scopo. Si è infatti accelerato sul salario aziendale, quindi su una retribuzione più incerta e flessibile perché legata alla produttività (che in periodo di crisi è inesistente), e si è svuotata di forza e senso la rappresentanza dei lavoratori con gli enti bilaterali a sostituzione del sindacato. Conseguenza di questo è la limitazione dei diritti dei lavoratori (tra i quali quello di scioperare) e della loro forza al tavolo delle trattative, perché la contrattazione non è più collettiva e nazionale ma frutto di un confronto locale, per altro con gli enti bilaterali a farla da padrone al posto del sindacato. Chi difenderà infatti il singolo lavoratore nella singola azienda impegnato nella singola contrattazione? E con quale forza rispetto al resto degli attori sociali?
Il Ccnl è ridotto ad un’effige, la concertazione non esiste più e, quindi, il sindacato muore. I lavoratori, privati della copertura collettiva che derivava loro dall’appartenenza all’organizzazione sindacale, come previsto dal Ccnl, perdono la loro forza nel confronto con il mondo datoriale finendo esposti ai suoi interessi. Una riforma autoritaria e dannosa per i lavoratori, sul piano delle libertà e della remunerazione, che tenta di coprirsi con l’alibi della crisi.
Mentre nessun impegno, visto il contesto economico, obbliga le imprese a non licenziare; nessuna politica di vera lotta all’evasione fiscale viene prospettata per rinvestire i proventi magari nel sostegno e nell’estensione degli ammortizzatori sociali. Infine, il potere d’acquisto dimenticato a se stesso: gli aumenti salariali non tengono conto del rincaro di benzina e beni energetici importati e la misura per calcolarli è solo quella dell’inflazione programmata triennalmente sulla base delle indicazioni di un istituto di ricerca (Isae).
Le motivazioni per essere oggi in piazza a sostegno dei metalmeccanici sono dunque tante e riguardano un futuro che non solo per le tute blu, ma per l’intero mondo del lavoro si tinge di grigio e sa di svolta illiberale. Va dunque respinto il tentativo di Governo e Confindustria di nascondere, con l’argomentazione della crisi, una prassi riduttiva della forza sindacale, dei diritti di chi lavora, della democrazia nelle fabbriche e in ogni realtà occupazionale.
Fonte: micromega-online | vai alla pagina » Segnala errori / abusi