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Dichiarazione di Giorgio NAPOLITANO

Alla data della dichiarazione: Pres. della Repubblica


 

Bobbio e la Carta. La Costituzione non è intoccabile. Fedeli alla Costituzione fino a volerla cambiare.

  • (16 ottobre 2009) - fonte: Il Riformista - Napolitano Giorgio - inserita il 16 ottobre 2009 da 31

    La lezione che Norberto Bobbio poteva offrire a chi si inoltrasse sulla via dell'impegno nella sinistra politica a cavallo tra gli anni 40 e 50 giungeva controcorrente, in antitesi a posizioni prevalenti in quel campo. Posizioni in cui si rifletteva l'asprezza che la lotta politica stava raggiungendo in Italia, dopo la rottura dell'unità tra le forze antifasciste e dopo le elezioni del 1948 che avevano segnato una drastica contrapposizione tra l'alleanza di centro e la sinistra.

    Un'asprezza inseparabile da quella della guerra fredda che andava dividendo drasticamente il mondo in due blocchi, dei quali va ricordata la forte connotazione ideologica.
    Ai rischi fatali di antitesi e fratture, ben al di là dei confini italiani, si opponeva da parte di Bobbio l'«invito al colloquio»:
    al colloquio per lo meno - egli scrisse nel 1951 - tra gli uomini di cultura. (...) La polemica di Bobbio interveniva, invece, a sollevare interrogativi di fondo, a seminare dubbi, a proporre argomenti complessi, e a farlo dal punto di vista di un uomo di pensiero, di uno studioso portatore di molteplici valori politici, come ha scritto di recente Revelli - liberalismo, democrazia, socialismo, federalismo - che avevano caratterizzato da 'ircocervo' il Partito d'Azione.

    Non era dunque in nome di un bagaglio ideale ostile alla sinistra, era piuttosto in nome di un dichiarato interesse positivo per le sorti del movimento operaio e della sinistra, che Bobbio sviluppava il suo discorso, si rivolgeva a quegli interlocutori. Era un discorso volto a contestare una serie di semplificazioni e contrapposizioni fuorvianti libertà sostanziale,'di fatto' , 'vera' , contro libertà giuridica o formale, libertà socialista contro libertà borghesi;
    un discorso, quello di Bobbio, volto a contestare la riduzione del concetto di libertà a quello di potere, cioè di potere di esercitare un diritto altrimenti astratto, e quindi la negazione del valore della libertà come non impedimento.

    Dietro le posizioni teoriche - che Bobbio metteva drasticamente in questione, si manifestava in una parte della sinistra un'accentuata, prioritaria sensibilità per esigenze sociali e obbiettivi di riforma delle strutture economiche, ma si coglieva anche, e chiaramente, la difesa, l'idoleggiamento delle conquiste rivoluzionarie delle società dell'Est.

    Di qui l'affermazione nettissirna, da parte di Bobbio, della necessità, egli scrisse, che «qualunque sia la classe sociale che tenga le chiavi del potere, essa non governi dispoticamente e totalitariamente, ma assicuri all'individuo una sfera più o meno larga di attività non controllate, non dirette, non ossessivamente imposte»...
    La passione che aveva nel passato animato - parole di Bobbio - la battaglia liberale contro il dispotismo si era tradotta in istituzioni e principi che egli esortava la sinistra a valorizzare pienamente:
    la garanzia dei diritti di libertà - primo fra questi la libertà di pensiero e di stampa - la divisione dei poteri, la pluralità dei partiti, la tutela delle minoranze politiche; la distinzione delle funzioni al servizio del principio di legalità; la distinzione degli organi dello Stato al servizio del principio di imparzialità.

    Questo messaggio liberale di Bobbio si integrava peraltro con la valorizzazione da parte sua della democratizzazione dei regimi liberali, con l'impegno per la causa dell'uguaglianza, della giustizia e del progresso sociale. Un impegno che egli avrebbe, decenni pi tardi, riaffermato con particolare forza all'indomani della caduta del comunismo. La componente socialista della sua identità di pensiero e politica era innegabile, confermata nei fatti dalla sua collaborazione col partito che incarnava quella tradizione.

    Nonostante ciò , la sua lezione - torno alla prima metà degli anni 50 - non veniva facilmente recepita:
    né dai massimi custodi dell'ideologia e delle scelte politiche di fondo della forza maggiore della sinistra italiana, quella comunista, né da generazioni più giovani di militanti e di intellettuali.
    Il paradosso stava nel fatto che la lotta politica nel paese, nei suoi termini concreti, spingeva più che mai la sinistra di opposizione a impugnare la bandiera della Costituzione repubblicana, della libertà e quindi di principi e diritti che nello stesso tempo si insisteva sul piano dottrinario a sottovalutare o relativizzare.

    Ma la forza di persuasione di un messaggio come quello di Bobbio e la forza di fatti traumatici come il ventesimo congresso del partito sovietico, cominciarono ad aprire delle brecce, a imporre delle revisioni, a cui altre sarebbero seguite negli anni e nei decenni successivi.
    Fu un'evoluzione lenta, faticosa, e quella lentezza, con il suo contorno di ambiguità, sarebbe stata pagata dalla sinistra e dal paese.
    Per me personalmente, apprendere la lezione di Bobbio fu determinante, anche perché mi sarebbe poi apparsa condurre verso l'orizzonte della socialdemocrazia europea. (...)

    Nel luglio del 1984 Bobbio era stato nominato dal Presidente Pertini senatore a vita, e avevamo così occasione di incontrarci anche a Montecitorio quando il Parlamento si riuniva in seduta comune (...).
    All'indomani di quella nomina, egli mi scrisse del disagio di dover «prendere una parte più attiva alla vita politica, che mi pare sempre più caotica e nella quale non so bene che parte prendere».

    In realtà, egli sapeva che lo sbocco cui tendere era quello di una democrazia dell'alternanza anche in Italia e che ciò presupponeva un polo di sinistra rappresentato da quel grande partito riformista di stampo socialdemocratico europeo di cui lamentava la mancanza.(...)
    L'obiettivo era reso ancora arduo dallo stato dei rapporti tra i due maggiori partiti della sinistra, e Bobbio si esprimeva criticamente su entrambi, e anche dopo la svolta del 1989 nel Pci, ne parlava come di «un mulo cocciuto» che si fermava nel momento in cui avrebbe potuto raccogliere i frutti se ne avesse tratto tutte le conseguenze dalla sua marcia di avvicinamento al socialismo democratico europeo.

    Condividevamo largamente, insomma, giudizi ed auspici; e infine - gli scrissi alla vigilia delle elezioni del 1992 - mi ritrovai vicino al suo «sconforto storico» per il fatale riprodursi, senza quasi più speranza di superarla, della contrapposizione tra i due partiti.(...)
    Nella crisi del 1992-93 Bobbio si schierò attivamente per la riforma elettorale e costituzionale. Ne discutemmo all'Università di Torino nel maggio del 1993 (ero allora Presidente della Camera). «Riforma costituzionale», egli disse in quell'occasione, «a partire dalla Costituzione presente»; «processo riformatore da condurre in Parlamento con metodo democratico», aggiunse ironizzando sulla formula «rivoluzione costituzionale» agitata da un altro studioso.

    Già in precedenza, quando ragionavamo sulle prospettive della sinistra, egli aveva indicato come motivo di dialogo serio tra quei partiti le riforme costituzionali, rispetto alle quali «non si poteva negare» osservò «che Craxi fosse stato un precursore». Nel 94 anche il progetto di riforma della Commissione Jotti abortì;
    egli, che aveva condiviso la mia diagnosi di una «impotenza a riformare» come male oscuro e grave della democrazia italiana, tornò a rilanciare tuttavia la sfida del cambiamento, ribadendo: «Guai a noi se daremo l'impressione di essere fedeli alla Costituzione sino a considerarla intoccabile» senza distinguere tra la sua prima e la sua seconda parte.

    Al di là delle problematiche e degli avvenimenti cui mi sono riferito finora, rilevo come certi accenti che ritrovo nel Bobbio di allora conservino una loro attualità. E per quanto diversi siano i soggetti politici oggi in competizione e in contrasto rispetto a quelli del periodo in cui ci scrivevamo e discorrevamo con Bobbio, posso - mi chiedo - ripetere le sue parole di una lettera del 92:
    «Ci vorrebbe un po'di equilibrio da parte di tutti»? Sono parole, se ripetute ora, destinate a lasciare il tempo che trovano? Fare, non dico «l'elogio della mitezza», ma il più naturale appello al senso della misura, al confronto costruttivo, al rispetto delle istituzioni e alla considerazione dell'interesse comune, è dunque solo un dar prova d'ingenuità? Ebbene, fosse pure questo, io non desisterò dal mio appello, rivolto come sempre in tutte le direzioni. E sono convinto che molti italiani, al di là delle loro diverse, libere scelte elettorali, lo condividano, ne avvertano la necessità.

    Le questioni politiche e ideali in cui eravamo coinvolti, ciascuno a suo modo, discutendone io e Bobbio tra di noi e con altri, più di vent'anni fa o giù di lì, mi appaiono ormai lontanissime, da tempo, per così dire, passate in giudicato.
    Naturalmente, quella è stata la mia storia: una storia non rimasta eguale al punto di partenza, ma passata attraverso decisive evoluzioni della realtà internazionale e nazionale e attraverso personali, profonde, dichiarate revisioni.
    Da quel contesto mi sono via via distaccato quanto più ero chiamato ad assumere ruoli non di parte, a farmi carico dei problemi delle istituzioni che regolano la nostra vita democratica, i diritti e i doveri dei cittadini.
    L'approccio partigiano, naturale in chi fa politica, è qualcosa di cui ci si spoglia in nome di una visione più ampia.

    Tutti i miei predecessori - a cominciare, nel primo settennato, da Luigi Einaudi - avevano ciascuno la propria storia politica:
    sapevano, venendo eletti Capo dello Stato, di doverla e poterla non nascondere, ma trascendere. Così come ci sono stati Presidenti della Repubblica eletti in Parlamento da una maggioranza che coincideva con quella di governo, talvolta ristretta o ristrettissima, o da una maggioranza eterogenea, e contingente. Ma nessuno di loro se ne è fatto condizionare.
    Quella del Capo dello Stato «potere neutro», al di sopra delle parti, fuori della mischia politica, non è una finzione, è la garanzia di moderazione e di unità nazionale posta consapevolmente nella nostra Costituzione come in altre dell'Occidente democratico.

    Per quante tensioni e difficoltà comporti l'adempiere un simile mandato, proseguirò nell'esercizio sereno e fermo dei miei doveri e delle mie prerogative costituzionali.
    E sono qui oggi anche per dirvi quanto siano state e siano per me preziose l'ispirazione civile e morale, e la lezione di saggezza, che ho tratto dal rapporto con Norberto Bobbio.
    Gliene sono ancora grato.

    (testimonianza alla Cerimonia in occasione del centenario della nascita di Norberto Bobbio. Torino, 15 ottobre 2009)

    Fonte: Il Riformista - Napolitano Giorgio | vai alla pagina

    Argomenti: sinistra, potere, socialismo, Libertà di stampa, Costituzione, libertà di espressione, diritti costituzionali, Presidente della Repubblica, Riforme costituzionali, Repubblica, diritto, liberta', socialdemocrazia | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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