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Dichiarazione di Antonio POLITO


 

«E meno male che approvammo l'indulto...»

  • (04 novembre 2009) - fonte: Il Riformista - Antonio Polito - inserita il 04 novembre 2009 da 31

    Leggendo che cosa succede nelle carceri italiane, mi sono detto: e meno male che il Parlamento approvò l’indulto nel luglio del 2006. In quel Parlamento io c’ero, come senatore, e votai a favore, con convinzione. Da allora mi hanno fatto venire un sacco di sensi di colpa. Nei giorni successivi all’approvazione della legge i giornali si riempirono di casi di cosiddetti in-dultati che, appena usciti, si erano rimessi a delinquere. Sembrava che avessimo liberato i più grandi criminali della storia. Ci fu addirittura chi disse che l’indulto segnò la fine del governo Prodi (anche se l’aveva votato pure Berlusconi e tutta Forza Italia). Poi, con il passare del tempo, si scoprì che i casi di recidiva erano molto meno numerosi, e che almeno quel provvedimento aveva svuotato temporaneamente le carceri italiane.

    Temporaneamente, appunto. Perché ora già scoppiano di nuovo. Come ha spiegato ieri Luca Ricolfi sulla Stampa, l’unico che parli in materia con dati alla mano e cognizione di causa, ci sono di nuovo 65mila detenuti, contro i 43mila posti disponibili. E aumentano al ritmo di settecento al mese. Nel 2013, a fine legislatura, saranno circa 100mila.

    Ma la situazione delle carceri italiane è tale che più detenuti ci sono, più maltrattamenti ci sono, più suicidi e tentativi di suicidi ci sono. Ieri il Riformista ha pubblicato i dati elaborati dall’associazione Ristretti orizzonti, secondo i quali dal 1990 al 2009, in meno di vent’anni, sono mille e tre i detenuti che si sono uccisi in carcere, proprio come il numero iperbolico delle conquiste spagnole del Don Giovanni di Mozart.

    Meno male dunque, che approvammo l’indulto: abbiamo evitato, con quel provvedimento, di sicuro qualche suicidio, e forse qualche maltrattamento, del genere che sempre Il Riformista ha raccontato a proposito del carcere di Teramo.
    Nel carcere di Teramo il direttore è stato registrato mentre diceva a un suo dipendente che i detenuti non si massacrano in pubblico, «si massacrano sotto», in stanze evidentemente adibite alla bisogna. E perché la grande stampa e la tv si accorgessero del caso è stata necessaria la trasmissione dell’audio: ormai le cose in Italia fanno scandalo solo se c’è un video o un audio, è la civiltà dell’immagine, così dicono.

    Qualcuno potrebbe obiettare che l’indulto però è una misura d’emergenza, un pannicello caldo che non risolve il problema. E ovviamente avrebbe ragione. Se nel frattempo non si fa altro, l’indulto può solo essere ripetuto all’infinito, ogni volta che le carceri scoppiano, scuotendo la certezza della pena cui una società ben ordinata ha invece diritto. Ma quell’altro che si potrebbe fare, non si fa.

    Come ha scritto Luca Ricolfi, si possono fare solo due cose: o produrre meno detenuti o più celle. La prima soluzione, e la più saggia, sarebbe depenalizzare un po’ di reati, evitare cioè di buttare in un carcere chi ha colpe minori che possono essere espiate in altri modi, consentire a qualche povero cristo ciò che è stato consentito a finanzieri come Callisto Tanzi o a politici come Arnaldo Forlani. Ma se invece l’Italia, travolta da un’ondata di isteria securitaria, sceglie la strada opposta e più probabile, e cioè trasformare in reato penale sempre nuovi comportamenti sociali devianti; se cioè, trainato dalla Lega, il governo si propone di mettere in carcere sempre più immigrati, sempre più tossicodipendenti, e magari anche i clienti delle prostitute e i graffitari di strada, allora ha bisogno di molte più carceri. Molte di più.

    Il guaio è che non ci sono e non ci saranno.
    Indipendentemente dal colore dei governi, infatti, sembra chiaro che lo Stato non è in grado di costruire abbastanza celle per tutti i carcerati che già ha, figurarsi per quelli che sogna di avere. Ricolfi calcola che l’ennesimo piano annunciato da questo governo, se anche davvero partisse nei tempi previsti, non coprirebbe nemmeno l’aumento dei detenuti prevedibile da oggi a quando si dovrebbe cominciare a costruire nuove carceri.

    Ci sarebbe un solo modo di avere carceri di numero e qualità soddisfacente, ma in Italia è un tabù per ragioni ideologiche: farle costruire e poi gestire ai privati. So che l’idea può essere dura da digerire, perché sembra un’abdicazione dello Stato e la cessione ad altri soggetti del monopolio della forza. Ma state sicuri che in carceri private i detenuti sarebbero trattati meglio che nelle prigioni nostrane, che non avrebbero due metri quadrati di spazio come è stato accertato nel processo in cui la Corte Europea ci ha condannato, che nessun direttore di carcere suggerirebbe di «massacrarli sotto», e che se arrivasse un detenuto nelle condizioni in cui è arrivato Stefano Cucchi l’avrebbero denunciato di corsa alla magistratura e all’opinione pubblica per non prendersene la colpa.

    Per un privato, i detenuti sarebbero fonte di reddito, non carne da macello come oggi sono in molte carceri italiane. E se neanche un governo di destra vuole seguire questa strada, allora preparatevi al prossimo indulto. E nel frattempo contate i suicidi.

    Fonte: Il Riformista - Antonio Polito | vai alla pagina

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